Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20181 del 18/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 18/08/2017, (ud. 22/02/2017, dep.18/08/2017),  n. 20181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27966/2011 R.G. proposto da:

Intesa Sanpaolo S.p.a., rappresentata da G.F., in virtù di

procura speciale per notaio B.D. del (OMISSIS),

rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Radaelli, con domicilio

eletto presso lo studio dell’Avv. Saverio Gianni in Roma, via Pompeo

Magno, n. 3;

– ricorrente e controricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) S.p.a. in liquidazione, in persona dei

curatori p.t. Dott. E.R. e F.M., rappresentati

e difesi dall’Avv. Paolo Longhi, con domicilio eletto presso lo

studio dell’Avv. Maria Chiara Morabito in Roma, via Benaco, n. 5;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto del Tribunale di Vigevano depositato il 12 ottobre

2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22 febbraio 2017

dal Consigliere Guido Mercolino;

uditi gli Avv. Saverio Gianni e Franca Mortati per delega dei

difensori delle parti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale CAPASSO Lucio, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del

ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Intesa San Paolo S.p.a. propose opposizione allo stato passivo del fallimento della (OMISSIS) S.p.a. in liquidazione, chiedendo l’ammissione al passivo di un credito di Euro 177.966,00, pari al saldo debitore di un conto corrente intestato alla società fallita, comprensivo degl’interessi.

Si costituì il curatore, ed eccepì l’inammissibilità della produzione di nuovi documenti, chiedendo il rigetto della domanda.

1.1. Con decreto del 12 ottobre 2011, il Tribunale di Vigevano ha rigettato la domanda.

A fondamento della decisione, il Tribunale ha innanzitutto escluso l’inammissibilità dei documenti prodotti, osservando che, anche a voler attribuire natura impugnatoria al giudizio di opposizione allo stato passivo, doveva escludersi l’applicabilità dell’art. 345 c.p.c., non trattandosi di un giudizio di appello in senso stretto; ha aggiunto che il termine di decadenza previsto dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 93, comma 7, ormai abrogato, era ritenuto riferibile al solo procedimento di verificazione dei crediti, osservando comunque che l’ammissibilità di nuovi documenti trova conferma nella L. Fall., art. 99, che prevede espressamente l’onere d’indicarli nel ricorso, a pena di decadenza.

Tanto premesso, e rilevato che a sostegno della domanda erano stati prodotti gli estratti conto con decorrenza dall’anno 2000, mentre il rapporto di conto corrente aveva avuto inizio nell’anno 1992, il Tribunale ha ritenuto non provato il credito azionato, osservando che la limitazione all’ultimo decennio dell’obbligo di conservazione delle scritture contabili escludeva soltanto che la banca potesse essere chiamata a rispondere per la mancata conservazione delle stesse per un periodo più ampio, ma non la dispensava dall’onere di dare piena prova del credito vantato. Ha aggiunto che sulla valenza probatoria dei documenti contabili formati dalla stessa creditrice incideva anche la circostanza che il giudizio si svolgeva nei confronti del fallimento, dovendo la creditrice assolvere in modo rigoroso il proprio onere probatorio, senza potersi avvalere degli effetti previsti dall’art. 1832 c.c. nè del riconoscimento del debito da parte della società fallita, che avrebbe potuto assumere rilievo soltanto ai fini della prova dell’anteriorità del credito rispetto alla dichiarazione di fallimento.

2. Avverso il predetto decreto l’Intesa Sanpaolo ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. I curatori del fallimento hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, al quale la ricorrente ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, il cui esame risulta logicamente prioritario rispetto a quello del ricorso principale, i curatori denunciano l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato per aver omesso di pronunciare in ordine all’eccezione d’inammissibilità dell’opposizione, da loro sollevata in relazione alla mancata presentazione da parte dell’Intesa Sanpaolo di osservazioni al progetto di stato passivo nel termine di cui alla L. Fall., art. 95, comma 2. Premesso che tale disposizione mira a favorire la definizione di tutte le questioni concernenti l’ammissione dei crediti nell’ambito del procedimento dinanzi al giudice delegato, in tal senso deponendo anche l’imposizione a carico del curatore dell’onere di depositare il progetto almeno quindici giorni prima dell’udienza fissata per la verificazione, affermano che la mancata presentazione delle osservazioni comporta acquiescenza alle decisioni del curatore, precludendo quindi la proposizione dell’opposizione, a meno che la stessa non si fondi su circostanze sopravvenute all’istanza d’insinuazione al passivo.

1.1. Il motivo è infondato.

In tema di accertamento del passivo, questa Corte ha avuto modo di affermare ripetutamente che la mancata presentazione, da parte del creditore, di osservazioni al progetto di stato passivo depositato dal curatore non comporta la decadenza dalla facoltà di proporre opposizione: da un lato, infatti, tale comportamento non implica acquiescenza alla proposta formulata dal curatore, non potendo trovare applicazione il disposto dell’art. 329 c.p.c., non riferibile ad un provvedimento giudiziale non ancora emesso; dall’altro, deve escludersi la possibilità di ricollegare un effetto preclusivo alla scadenza del termine di cui alla L. Fall., art. 95, comma 2, il quale si limita a prevedere che i creditori “possano” esaminare il progetto, senza porre a loro carico un onere di replicare alle difese ed alle eccezioni del curatore entro la prima udienza fissata per l’esame dello stato passivo, impedendo pertanto di ricollegare al mancato esercizio di tale facoltà la definitiva e non più emendabile individuazione delle questioni controverse riguardanti la domanda di ammissione al passivo (cfr. Cass., Sez. 6, 4/11/ 2014, n. 23462; 6/09/2013, n. 20583; Cass., Sez. 1, 10/04/2012, n. 5659).

2. Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2704 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, osservando che, nel ritenere insufficiente la produzione degli estratti conto relativi all’ultimo decennio, il decreto impugnato non ha considerato che fino al 14 settembre 2005 il conto corrente intestato alla società fallita aveva fatto registrare un andamento variabile con consistenti saldi attivi. Premesso inoltre che non spetta al creditore l’onere di ricostruire l’intero rapporto di conto corrente, afferma che la relativa prova non richiede forme tipiche e tassative, e poteva pertanto ben essere costituita dai predetti estratti conto, risultando irrilevanti quelli relativi al periodo anteriore al 2005. Aggiunge che il decreto impugnato non ha fatto alcun cenno all’avvenuta produzione della relazione del commissario giudiziale nominato nella procedura di concordato preventivo che aveva preceduto la dichiarazione di fallimento, recante il riconoscimento dell’esistenza del credito, osservando che il contenuto della relazione aveva efficacia di piena prova, dal momento che nell’esercizio delle sue funzioni il commissario giudiziale è pubblico ufficiale. Il decreto impugnato ha omesso infine di menzionare gli altri documenti prodotti in giudizio, non contestati dal curatore e comunque rilevanti ai fini della prova presuntiva del credito, nonchè di quella della sua anteriorità al fallimento.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1309,1988,2697,2727 e 2729 c.c. e della L. Fall., art. 165, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, rilevando che la Corte di merito non ha tenuto conto nè della relazione del commissario giudiziale nè di un piano di rientro sottoscritto il 25 giugno 2007, il quale, costituendo un chiaro riconoscimento del debito, comportava un’inversione dell’onere della prova o poteva comunque assumere rilievo in relazione all’art. 2727 c.c., anche ai fini della certezza della data del credito, in quanto recante un timbro postale di data anteriore al fallimento. Per effetto di tali documenti, l’onere di provare la sopravvenienza di fatti idonei ad escludere l’esistenza del credito incombeva ai curatori, i quali si erano invece limitati ad eccepire l’intervenuta applicazione d’interessi anatocistici e della commissione di massimo scoperto, che non avrebbe potuto giustificare il rigetto totale della domanda.

4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto profili diversi della medesima questione, sono infondati.

La stessa ricorrente ammette che le contestazioni sollevate dai curatori non riguardavano esclusivamente la prova del credito, così come fornita nel procedimento di verificazione del passivo, ma si estendevano all’importo dovuto, la cui determinazione in misura pari al saldo debitore del conto corrente era stata posta in discussione, in relazione all’indebita applicazione di interessi anatocistici e della commissione di massimo scoperto. In tale prospettiva, la produzione degli estratti conto relativi ad una parte soltanto della durata del rapporto non poteva considerarsi sufficiente ai fini della prova del credito, non consentendo di verificare l’effettiva applicazione delle clausole contestate, nonchè, in caso di accertamento della fondatezza delle predette eccezioni, di provvedere alla rideterminazione del saldo dovuto, attraverso la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto.

In tema di rapporti bancari in conto corrente, e con riferimento alla capitalizzazione trimestrale degl’interessi, questa Corte ha infatti affermato il principio, riferibile anche alla commissione di massimo scoperto, secondo cui, una volta accertata la nullità delle relative clausole, rispettivamente per contrasto con l’art. 1283 c.c. e per difetto di causa, la rideterminazione del saldo del conto postula l’acquisizione dei relativi estratti a partire dalla data della sua apertura, in modo tale da poter ricostruire integralmente le partite di dare e avere sulla base di dati contabili certi relativi alle operazioni annotate in conto, non essendo invece utilizzabili, a tal fine, criteri meramente presuntivi o comunque approssimativi (cfr. Cass., Sez. 1, 13/10/ 2016, n. 20693; 20/09/2013, n. 21597; 19/09/2013, n. 21466). L’onere di produrre tale documentazione incombe alla Banca, in ragione della qualità di attrice dalla stessa rivestita nel procedimento di verificazione e nel conseguente giudizio di opposizione allo stato passivo, nonchè della posizione di terzo che, nei medesimi procedimenti, il curatore assume sia nei confronti dei creditori che richiedono l’ammissione al passivo, sia nei confronti del fallito, rispetto al quale non può essere considerato nè un sostituto nè un successore, con la conseguenza tra l’altro che, non essendo egli annoverabile tra i soggetti considerati dagli artt. 2709 e 2710 c.c., operanti soltanto tra imprenditori che agiscano come controparti nei rapporti d’impresa, deve escludersi, nei suoi confronti, l’efficacia probatoria che le predette disposizioni attribuiscono ai libri contabili regolarmente tenuti (cfr. Cass., Sez. Un., 20/02/2013, n. 4213; Cass., Sez. 1, 7/07/2015, n. 14054; 9/05/2013, n. 11017).

4.1. La medesima posizione di terzo del curatore esclude poi, in sede di accertamento del passivo, la possibilità di attribuire alla ricognizione di debito proveniente dal fallito l’effetto tipico previsto dall’art. 1988 c.c., impedendo pertanto di condividere la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui nella specie incombeva ai curatori l’onere di fornire la prova dell’inesistenza o dell’avvenuta estinzione del credito risultante dal piano di rientro prodotto in giudizio.

4.2. Quanto infine alla relazione predisposta, ai sensi della L. Fall., art. 172, dal commissario giudiziale nominato nell’ambito della procedura di concordato preventivo svoltasi prima dell’apertura del fallimento, è noto che, non essendo prevista nell’ambito di tale procedura una fase preliminare di verifica dei crediti, il cui accertamento, nel caso in cui insorgano contestazioni, può ben essere chiesto nelle forme ordinarie dinanzi al giudice individuato sulla base della disciplina generale della competenza, i riscontri eventualmente compiuti dagli organi della procedura in ordine alla sussistenza ed al rango degli stessi, ivi compresi quelli risultanti dalla sentenza di omologazione, assumono rilievo esclusivamente ai fini dell’esercizio del diritto di voto e del computo delle maggioranze necessarie per l’approvazione del concordato, e non precludono pertanto la successiva contestazione del credito, nè dispensano il creditore dall’onere di fornire la relativa prova ove, come nella specie, intenda ottenerne l’ammissione al passivo in caso di successivo fallimento del debitore (cfr. Cass., Sez. 1, 20/04/2016, n. 7972; 14/ 02/2002, n. 2104; 26/02/2002, n. 2780).

5. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’artt. 116 c.p.c. e dell’art. 2727 c.c., osservando che, nel ritenere non provato il fatto costitutivo del credito, in virtù della mancata produzione integrale degli estratti conto, il decreto impugnato ha attribuito a questi ultimi un valore legale tipico non previsto dalla legge, non avendo proceduto ad un’adeguata valutazione degli stessi nel più ampio quadro degli elementi probatori acquisiti.

5.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

Nell’escludere la sufficienza degli estratti conto prodotti in giudizio ai fini della prova del credito azionato, il decreto impugnato non ha affatto attribuito un valore legale tipico a tali documenti, non avendo negato nè l’assoggettabilità degli stessi al prudente apprezzamento del giudice, ai fini della libera formazione del suo convincimento, nè, per altro verso, la possibilità di fornire con altri mezzi elementi utili alla ricostruzione dell’andamento del conto negli anni precedenti al 2000, ma essendosi limitata a ribadire la necessità di una prova rigorosa del credito, nonchè ad escludere, in conformità dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, la possibilità di fare ricorso, a tal fine, a presunzioni o ai meccanismi di semplificazione probatoria normalmente operanti nei rapporti tra banche e clienti, come quello previsto dall’art. 1832 c.c. (cfr. Cass., Sez. 1, 26/01/2006, n. 1543; 9/05/2001, n. 6465). Tale affermazione non risulta in alcun modo inficiata dalle considerazioni svolte dalla ricorrente, la quale, nell’insistere ancora una volta sulla necessità di una valutazione globale delle risultanze istruttorie, propone una censura non attinente alla ricognizione della fattispecie astratta contemplata dalle norme invocate, ma alla ricostruzione dei fatti emergente dalla sentenza impugnata, senza peraltro essere in grado di indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla Corte di merito, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la censura di violazione di legge, un riesame della controversia, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di procedere ad una nuova valutazione dei fatti, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. 1, 4/11/2013, n. 24679; Cass., Sez. 5, 16/12/2011, n. 27197; Cass., Sez. lav., 18/03/2011, n. 6288).

6. Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati.

La soccombenza reciproca giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

PQM

 

rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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