Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20181 del 15/07/2021

Cassazione civile sez. I, 15/07/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 15/07/2021), n.20181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10708/2019 proposto da:

S.N., elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico, n.

38, presso lo studio dell’Avv. Marco Lanzilao, che lo rappresenta e

difende, in virtù di procura speciale posta in calce al ricorso per

cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto n. 639/2019de1 Tribunale di GENOVA, pubblicato il

25 febbraio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 25 febbraio 2019, il Tribunale di Genova ha rigettato il ricorso proposto da S.N., cittadino del Bangladesh, avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il richiedente aveva dichiarato: di avere lasciato il proprio paese di origine nel 2014 per motivi economici; di essersi rivolto a

trafficanti per poter venire in Europa e di essere stato da costoro venduto ad altri trafficanti, che lo avevano tenuto prigioniero e torturato; che suo padre, per poterlo liberare, si era indebitato anche con usurai, che minacciavano tutti i suoi familiari, non in grado di restituire il denaro.

3. Il Tribunale ha ritenuto che i fatti esposti, anche ove corrispondenti al vero, non integravano una persecuzione personale dovuta a motivi di discriminazione, poiché il ricorrente stesso aveva riferito di avere lasciato il paese per motivi economici; che in ogni caso il racconto era nel complesso attendibile per quanto riguardava la situazione di estrema povertà in cui versava tutta la famiglia; che, sebbene la situazione del Bangladesh fosse critica, non si poteva ritenere che la minaccia all’incolumità del richiedente fosse derivata da una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato; quanto alla protezione umanitaria, pur sussistendo una situazione di vulnerabilità tenuto conto della situazione politico-sociale del Bangladesh, non era emersa una particolare integrazione del richiedente nel territorio italiano, che comprendeva poco la lingua italiana e non aveva seguito alcun percorso di studio o di inserimento lavorativo, tranne che per un breve periodo nel 2016.

4. S.N. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, con riferimento alla protezione sussidiaria, l’omesso esame della condizione di pericolosità e delle situazioni di violenza generalizzata esistenti in Bangladesh; l’omessa consultazione di fonti informative e l’errata applicazione dell’onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

1.1. Premessa l’inammissibilità del motivo, formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), deve evidenziarsi che il dedotto omesso esame di fatto decisivo non sussiste perché il Tribunale ha valutato la sussistenza di una minaccia grave alla vita o alla persona del ricorrente a causa di situazioni di conflitto armato interno in corso, tali da esporre i civili a un rischio indiscriminato, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), escludendone la sussistenza sulla base di fonti internazionali, espressamente richiamate e aggiornate al 2017 (pag. 5 del provvedimento impugnato).

1.2 Del pari insussistente è il vizio dedotto di violazione di legge per l’omessa indagine istruttoria officiosa circa le condizioni sociali e politiche del Paese di provenienza, poiché, come detto, il Tribunale ha consultato e utilizzato fonti informative, assolvendo così al proprio dovere di “cooperazione istruttoria”, mentre il ricorrente, che pure si lamenta della valutazione del Tribunale, non afferma di aver prodotto fonti informative alternative sulla situazione politica, economica e sociale attuale del Bangladesh, limitandosi a contestare, la valutazione di merito espressa dalla Corte di appello, non sindacabile in questa sede.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, con riferimento alla protezione sussidiaria, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; difetto di motivazione e travisamento dei fatti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.1 Rilevata ancora una volta la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, va evidenziato che le plurime violazioni di legge oggetto di doglianza sono limitate alla mera enunciazione dei referenti normativi e non sono accompagnate sul piano argomentativo dalla necessaria illustrazione delle ragioni per cui il provvedimento impugnato le avrebbe violate.

Il motivo e’, poi, inammissibile anche in ragione della sua assoluta genericità, in assenza di qualsiasi riferimento a deduzioni specifiche svolte dal ricorrente e sottoposte al giudizio e tantomeno all’avvenuta produzione di fonti informative circa le condizioni del Paese di provenienza, salvo poi risolversi in una critica generica e riversata nel merito rivolta alle affermazioni assunte dal Tribunale sulla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, avendo il Tribunale dato atto che, a causa dell’attuale situazione politico-sociale del Bangladesh, il suo rientro in patria lo porrebbe in una condizione di vulnerabilità idonea a pregiudicare l’esercizio dei suoi diritti fondamentali, e, ciò nonostante, respinto la domanda di protezione umanitaria a causa della sua mancata integrazione in Italia.

3.1. Il motivo è infondato.

Come già ripetutamente affermato da questa Corte (cfr. per tutte Cass. S.U. 29459/019) il diritto dello straniero al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere riconosciuto in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, di per sé inidonea alla concessione della misura.

Ciò non toglie che il richiedente possa allegare a fondamento della positiva valutazione della sua condizione di vulnerabilità gli stessi fatti già allegati per ottenere il riconoscimento delle protezioni maggiori, fra i quali ben potrebbe rilevare anche una situazione generalizzata di violazione di diritti umani ovvero di conflitto, ancorché di livello minore rispetto a quella rilevante per la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.

In tale ipotesi, tuttavia, va assegnato rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado di integrazione raggiunto dallo straniero in Italia e la situazione in cui questi potrebbe venire a trovarsi in caso di rimpatrio; valutazione che, per l’appunto, il giudice del merito ha compiuto, laddove ha rilevato che, ancorché S.N. corra il rischio di compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rientro in Bangladesh, non è emersa una particolare integrazione nel nostro Paese del richiedente (il quale vive qui da diversi anni ma comprende poco la nostra lingua, non ha intrapreso un percorso di studio o di apprendimento lavorativo, ha immotivatamente lasciato il Centro di accoglienza che lo aveva inizialmente ospitato e non ha prospettato alcuna concreta possibilità di miglioramento della sua situazione personale).

4. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Nulla deve disporsi sulle spese poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

 

 

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