Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20179 del 03/10/2011

Cassazione civile sez. I, 03/10/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 03/10/2011), n.20179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI VITERBO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 22, presso l’avvocato BRENCIAGLIA

ENRICO, rappresentato e difeso dall’avvocato COSTA CESARE, giusta

procura in calce al ricorso; C.F. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

COSMOFIN S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIO VENETO 108, presso l’avvocato ROSSANO CLAUDIO, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3636/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2011 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel novembre 1998 il Comune di Viterbo, che nel corso di occupazione d’urgenza aveva irreversibilmente trasformato, realizzando rampe di accesso allo stadio comunale (OMISSIS), un suolo di proprietà della Cosmofin s.p.a., convenne quest’ultima in giudizio per sentir dichiarare che aveva acquisito per accessione invertita la proprietà del suolo già appartenente alla convenuta. Chiese, altresì, accertarsi l’inadempimento di quest’ultima all’obbligazione di mettere a disposizione il parcheggio di cui era proprietaria, retrostante lo stadio, in occasione delle manifestazioni che si svolgevano nello stadio medesimo.

La convenuta resistette e chiese, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno.

L’adito Tribunale di Viterbo respinse le domande principali e accolse la domanda riconvenzionale.

Il Comune propose appello, cui nuovamente resistette la società, e la Corte di Roma lo respinse, condannando il Comune alle spese del grado.

In particolare la Corte:

confermò il carattere usurpativo dell’occupazione, già affermato dal Tribunale;

disattese la richiesta dell’appellante di dichiarare cessata la materia del contendere a seguito della sopravvenuta emissione di decreto di acquisizione dell’area al patrimonio indisponibile comunale, ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 43 anzitutto perchè l’appellante aveva invece inammissibilmente introdotto una domanda nuova basata appunto sul decreto di acquisizione, e comunque perchè il medesimo decreto era da disapplicare, non trovando a sua volta applicazione il richiamato art. 43, dato che il suolo era precedentemente ritornato, da anni, nella disponibilità della proprietaria, sicchè difettava il requisito dell’attualità della sua utilizzazione a fini pubblici;

escluse, altresì, che nell’obbligazione della società di “mettere a disposizione gratuitamente” il parcheggio – impostale dall’autorizzazione sindacale del parcheggio stesso – rientrasse anche, come invece preteso dal Comune, la messa a disposizione del personale necessario all’apertura e alla chiusura, non essendo ciò previsto dal titolo e dovendosi, quindi, far riferimento al comportamento conludente delle parti, dal quale emergeva la prassi, comprovata da una nota del Comune e dalla testimonianza di un dirigente della “Viterbese calcio”, della mera consegna delle chiavi da parte della società a un incaricato dell’amministrazione comunale.

Il Comune di Viterbo ha quindi proposto ricorso per cassazione per sei motivi, cui la Cosmofin s.p.a. ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha anche presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si ripropone la tesi della cessazione della materia del contendere per effetto della sopraggiunta emissione, nelle more del giudizio, del decreto di acquisizione ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43.

1.1. – La tesi non può essere accolta.

La cessazione della materia del contendere consiste in un mutamento della situazione sostanziale che fa venir meno la ragion d’essere della lite e, dunque, l’interesse dei contendenti alla sua definizione. Di essa, allora, non è a parlarsi nel nostro caso, perchè l’emissione del decreto di acquisizione è tutt’altro che idonea ad eliminare le ragioni della contesa fra le parti: semmai estende il contenzioso al nuovo titolo dedotto dalla parte attrice.

Le ragioni della lite si sarebbero potute dire superate ove la società avesse accettato quel decreto e i suoi effetti, ma dagli atti emerge invece il contrario.

2. – Con il secondo motivo si contesta la tesi, subordinatamente sostenuta nella sentenza impugnata, della inapplicabilità, nella specie, del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43.

2.1. – Il motivo è inammissibile perchè attiene a domanda nuova, non proponibile in appello, come già esattamente rilevato in via principale dalla Corte di merito. Infatti l’acquisizione della proprietà per effetto del decreto emesso ai sensi dell’art. 43, cit., costituisce mutatio libelli per mutamento della causa petendi.

3. – Con il terzo motivo si censura il rigetto della domanda concernente l’obbligazione della società di mettere a disposizione il parcheggio in occasione di manifestazioni tenute nello stadio.

Il ricorrente denuncia vizio di motivazione, sostenendo che il titolo non prevedeva alcuna collaborazione da parte del Comune, creditore della messa a disposizione del parcheggio, e che, se il Comune avesse dovuto provvedere con proprio personale all’apertura e chiusura del parcheggio, sarebbe stata contraddetta la previsione di gratuità della messa a disposizione.

3.1. – Il motivo è inammissibile, perchè sollecita semplicemente una diversa interpretazione del titolo, piuttosto che individuare vizi logici dell’interpretazione fattane dai giudici di merito.

Gratuità, infatti, ben può significare (e, anzi, normalmente significa, anche nel linguaggio comune) come ha ritenuto la Corte d’appello – semplice assenza di corrispettivo in favore della controparte, non già attribuzione a quest’ultima anche del carico delle spese eventualmente necessarie al creditore per godere del bene messo a sua disposizione.

4. – Il quarto e il quinto motivo, fra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.

4.1. – Con il quarto motivo si lamenta l’omessa pronuncia sul quarto motivo di appello, con cui era stato censurato l’accoglimento della domanda riconvenzionale della società convenuta osservando che il danno era stato erroneamente liquidato dal Tribunale nella somma necessaria per demolire le rampe, nonostante la demolizione non fosse stata ancora eseguita.

4.2. – Con il quinto motivo si lamenta l’omessa pronuncia su altro capo del quarto motivo di appello, con cui era stato censurato il riconoscimento degli interessi legali sulla somma liquidata a titolo di risarcimento, nonostante si trattasse di somma non ancora sborsata dalla società perchè non aveva provveduto alla demolizione.

4.3. – I due motivi sono inammissibili, come eccepisce la controricorrente. La quale fa presente che le censure di cui trattasi non furono dall’appellante riproposte nelle conclusioni finali, con cui si limitò invece a chiedere la declaratoria di cessazione della materia del contendere per effetto della sopravvenuta acquisizione della proprietà in capo al Comune ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43.

La sentenza impugnata, invero, non fa alcun riferimento a quelle censure, mentre riferisce delle conclusioni assunte dall’appellante nei sensi della mera declaratoria di cessazione della materia del contendere. Pertanto, in difetto di specifiche indicazioni contrarie nel ricorso per cassazione, deve concludersi che effettivamente tali censure, se pure formulate nell’atto di appello, non furono poi tenute ferme in sede di conclusioni finali e dunque uscirono dal thema decidendum.

5. – Con il sesto motivo si censura la liquidazione delle spese processuali, determinate dalla Corte d’appello in Euro 16.000,00, di cui 4.000,00 per diritti e 1.000,00 per spese, oltre accessori, a fronte di una causa di valore indeterminabile per la quale, dunque, l’ammontare dei diritti non poteva superare gli Euro 1.318,00 (somma delle singole voci spettanti, analiticamente indicate dal ricorrente). Le spese vive, poi liquidate, in Euro 1.000,00, erano prive di qualsiasi giustificazione e anche per gli onorari, pur liquidabili nella somma massima di Euro 11.965,00 – dunque superiore agli Euro 11.000,00 liquidati in concreto – vi sarebbe stato superamento dei limiti di tariffa in caso di esclusione della voce relativa alla memoria di replica, incidente per Euro 3.385,00, “se la stessa non fosse stata redatta”.

5.1. – Il motivo è fondato quanto alle spese vive per Euro 1.000,00, non essendo indicata neppure nel controricorso l’esistenza di documenti giustificativi o comunque di giustificazioni di tale importo, e quanto ai diritti, dovendo effettivamente ritenersi la causa di valore indeterminabile o, più esattamente, di valore compreso fra gli Euro 51.700,01 e 103.300,00 (il che è, ai fini dei valori massimi, lo stesso), dato che all’interno di esso si colloca l’unica pretesa con un ammontare determinato, sia pure in sentenza, ossia la riconvenzionale della società per i danni, liquidati in Euro 84.914,00 (gli interessi non rilevano, essendo stati riconosciuti solo a decorrere dalla domanda, mentre ai fini dell’art. 10 c.p.c., comma 2, ult. parte, cui rinvia l’art. 6, comma 1, della tariffa professionale, contano solo gli interessi già maturati alla data della domanda stessa).

Inammissibile è invece la doglianza relativa agli onorari, dato il suo carattere perplesso a proposito dell’avvenuta, o meno, redazione della memoria di replica di controparte.

6. – La sentenza impugnata va pertanto cassata limitatamente alla liquidazione delle spese vive e dei diritti relativi al giudizio di appello.

Non è necessario, tuttavia, far luogo al giudizio di rinvio perchè, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere la questione nel merito in questa sede, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, riliquidando le spese processuali senza riconoscere il rimborso delle spese vive di Euro 1.000,00 e riducendo (sul che concorda la stessa società controricorrente) l’ammontare dei diritti ad Euro 1.318,00.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza, di gran lunga prevalente, del ricorrente e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna il Comune di Viterbo alle spese del giudizio di secondo grado liquidate in Euro 11.000,00 per onorari e 1.318,00 per diritti, oltre accessori di legge; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.700,00, di cui 2.500,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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