Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20178 del 18/08/2017

Cassazione civile, sez. I, 18/08/2017, (ud. 25/01/2012, dep.18/08/2017),  n. 20178

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7321/2012 R.G. proposto da:

ROMA CAPITALE, rappresentata e difesa dagli avv.ti Americo Ceccarelli

ed Enrico Maggiore; con domicilio eletto in Roma, via Tempio di

Giove, n. 21, presso l’Avvocatura capitolina;

– ricorrente –

contro

R.A., – R.A.M., QUALI EREDI DI RE.AL.

rappresentati e difeso dagli avv.ti Ercole Forgione e Salvatore

Mileto; con domicilio eletto in Roma, via di Trasone, 8, presso lo

studio del primo;

– controricorrenti –

e contro

B.B.C.;

– intimata –

nonchè sul ricorso proposto in via incidentale da:

R.A. – R.A.M., QUALI EREDI DI RE.AL. come

sopra rappresentati;

– ricorrenti in via incidentale –

contro

ROMA CAPITALE, come sopra rappresentata;

– controricorrente a ricorso incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, n. 4163,

depositata in data 10 ottobre 2011;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 25 gennaio 2017

dal presidente dott. Pietro Campanile;

sentito per il controricorrente l’avv. Marcello Magnano, munito di

delega;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

dott. De Augustinis Umberto, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma ha accolto l’opposizione avanzata dal sig. Re.Al. nei confronti del Comune di Roma, ora Roma Capitale, avverso la stima effettuata dalla Commissione Provinciale in relazione ai beni oggetto di espropriazione, nell’ambito della realizzazione del c.d. Sistema Direzionale Orientale, ed ha quindi, in accoglimento delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio all’uopo espletata, ha determinato l’indennità di espropriazione in Euro 1.845.051.

2. In particolare, è stata affermata la natura edificatoria del terreno, ed è stata rilevata l’insussistenza delle condizioni per la decurtazione del 25 per cento, non potendosi attribuire all’opera la finalità di realizzare un intervento di riforma economico sociale.

3. Per la Cassazione di tale decisione il Comune di Roma propone ricorso, affidato a tre motivi, cui resistono con controricorso gli eredi del proprietario, che propongono ricorso incidentale, con un motivo” e resistito da controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendosi violazione dell’art. 112 c.p.c., si sostiene che gli interessi compensativi sulla somma determinata a titolo di indennità di espropriazione sarebbero stati attribuiti in assenza di una richiesta in tal senso della parte espropriata, nè della relativa prova.

2. La censura è inammissibile. Alla mera affermazione relativa alla mancata proposizione della domanda relativa agli interessi da parte dell’attore, per altro contestata nel controricorso, non si associa alcun riferimento agli atti processuali, inteso a consentire a questa Corte una verifica “prima facie”, della fondatezza della doglianza.

Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass., 8 giugno 2016, n. 11738; Cass., 4 luglio 2014, n. 15367; Cass., 4 marzo 2013, n. 5344).

2.1. Tale consolidato indirizzo è stato affermato anche dalle Sezioni unite di questa Corte, con la decisione del 28 luglio 2005, n. 15781, così massimata: “Affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’ autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività”.

2.2. Con riferimento, poi, al vizio denunciato in questa sede, è stato affermato che il vizio di ultrapetizione, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un “error in procedendo” in relazione al quale la Suprema Corte ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa e, in particolare, le istanze e le deduzioni formulate in giudizio dalle parti. Il dovere di riesame del fatto processuale, tuttavia, non implica anche quello della sua ricerca, salvo che non vengano denunciati vizi rilevabili d’ufficio, tra i quali non rientra quello di ultra o extrapetizione.

La parte che richiede un tale riesame, quindi, ha l’onere – per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione – al quale è condizionato il potere inquisitorio del giudice di legittimità, di specificare tutti i riferimenti necessari per individuare l’asserita violazione processuale, onde evitare che la sua censura si risolva in una affermazione apodittica, priva di qualsiasi sussidio fattuale e logico riscontrabile nel ricorso (Cass., 3 marzo 2008, n. 5743; Cass., 23 gennaio 2004, n. 1170).

2.3. Il rilievo circa la carenza probatoria del diritto agli interessi compensativi, ancorchè esulante dal perimetro della violazione denunciata, ma comunque riconducibile nella previsione degli artt. 1282 e 1284 c.c., è del pari inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., essendo stato correttamente applicato il consolidato principio secondo cui le obbligazioni di pagare l’indennità di espropriazione e di occupazione legittima costituiscono debiti di valuta, sicchè, nel caso in cui, in esito ad opposizione alla stima effettuata in sede amministrativa, venga riconosciuto all’espropriato una maggiore somma a titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere, solo su detta maggiore somma, gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della somma medesima (Cass., 20 giugno 2011, n. 13456; Cass., 30 aprile 2008, n. 10929).

3. Il secondo motivo, con il quale si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per non essersi prese in considerazioni le osservazioni svolte dal consulente tecnico di parte, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, è del pari inammissibile.

Deve in proposito osservarsi che, a prescindere dai rilievi, meramente accennati, all’assenza di opere di urbanizzazione, che avrebbero reso il terreno “privo di potenzialità edificatorie effettive”, nel ricorso non sono state adeguatamente specificate le modalità e i termini con cui le critiche svolte al suddetto elaborato sarebbero state avanzate nel corso del giudizio svoltosi davanti alla Corte di appello. Mette conto di ribadire, sotto tale profilo, il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass., 3 giugno 2016, n. 11482; Cass., 17 luglio 1014, 16368).

3.1. A sostegno del ricorso viene, al contrario, interamente trascritta una decisione della stessa Corte di appello, relativa ad un’area attigua, che sarebbe pervenuta a una diversa determinazione dei valori unitari, senza che risulti in alcun modo allegato che i fondi, ancorchè situati nella stessa zona, presentassero le medesime caratteristiche, e senza che sia neppure allegato che la sentenza invocata, emessa in data anteriore rispetto a quella impugnata, e del cui eventuale passaggio in giudicato si tace, sia stata prodotta nel corso del giudizio di merito.

3.2. In definitiva, ancorchè debba confermarsi l’orientamento secondo cui, allorchè ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte, il giudice che intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (cfr., da ultimo, Cass., 21 novembre 2016, n. 23637), l’inadeguata prospettazione della doglianza, con riferimento all’omessa indicazione, in maniera da renderle intellegibili, delle argomentazioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio e delle critiche mosse dal consulente di parte, rende la censura inammissibile.

4. A non diverse conclusioni deve pervenirsi per quanto riguarda il terzo mezzo, con il quale si lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’esclusione della riduzione dell’indennità nella misura del 25 per cento, trattandosi di espropriazione finalizzata ad attuare un intervento di riforma economico – sociale.

Trattasi, a ben vedere, della prospettazione non già di un vizio motivazionale, bensi della violazione della norma introdotta dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, che ha modificato nel senso sopra indicato il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37.

4.1. Orbene, anche a voler prescindere dalla rubrica del motivo, in ossequio al principio secondo cui l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non ne determina “ex se” l’inammissibilità, se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass., 3 agosto 2012, n. 14026; Cass., 29 agosto 2013, n. 19882; Cass., 30 marzo 2007, n. 7981, proprio in relazione alle ragioni in diritto desumibili dall’esposizione del motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve rilevarsi che la doglianza non si sottrae alla censura di inammissibilità, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c..

4.2. Infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, in relazione al quale il ricorso non offre alcuna prospettazione per modificarlo, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale del criterio di indennizzo di cui al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito, con modifiche, nella L. 8 agosto 1992, n. 359 ed al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2, da parte della sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale, lo “jus superveniens” costituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, si applica retroattivamente, in virtù del disposto contenuto nella stessa L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, per i soli procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi in corso (v. per tutte, Cass., Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 5265).

4.3. Il presente procedimento, iniziato con atto di citazione notificato in data 8 aprile 2006, era già pendente al momento dell’entrata in vigore della norma introdotta con la citata L. n. 244 del 2007, ragion per cui va esclusa in apicibus l’applicabilità dell’invocata decurtazione.

5. L’inammissibilità del ricorso principale determina l’inefficacia, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, dell’incidentale, in quanto notificato tardivamente rispetto al termine previsto dall’art. 527 c.p.c..

7 – Le spese liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, inefficace l’incidentale, e condanna l’ente ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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