Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20178 del 03/10/2011

Cassazione civile sez. I, 03/10/2011, (ud. 01/06/2011, dep. 03/10/2011), n.20178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

25/08/2008, n. 1391/08 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/06/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.A., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia di lavoro pubblico instaurato dinanzi al T.A.R. Campania nel novembre 2000.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 25 agosto 2008, ritenuta una durata ragionevole di tre anni, liquidava a titolo di danno non patrimoniale per la ulteriore durata irragionevole del giudizio presupposto la somma di Euro 4.150,00 oltre interessi legali e metà delle spese del procedimento.

Avverso tale decreto B.A. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 23 maggio 2009, formulando sette motivi. Il Ministero non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con i primi cinque motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, par. 1 C.E.D.U.) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la C.E.D.U. come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ed omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.). Secondo l’istante, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi, applicando la normativa C.E.D.U. secondo la giurisprudenza della Corte europea e disapplicando la L. n. 89 del 2001, art. 2 che con essa contrasti, in relazione non già al tempo eccedente la ragionevole durata bensì all’intera durata del processo, ed in misura non inferiore a Euro 1000,00 – 1.500,00 per anno. Nella specie peraltro il decreto non avrebbe sufficientemente motivato in ordine alla mancata osservanza di detti parametri, ed inoltre non ha liquidato un bonus di Euro 2.000,00 ratione materiae, trattandosi di controversia su diritti inerenti a rapporti di lavoro, ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda così violando l’art. 112 c.p.c. e l’obbligo di motivazione su un punto decisivo.

1.1.- I motivi sesto e settimo denunciano violazione e falsa applicazione di legge (artt. 91 e 92 cod. proc. civ.) in relazione alla erronea compensazione per metà delle spese processuali nonostante l’accoglimento della domanda, nonchè vizio di motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

2.- I motivi indicati nel par. 1, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono infondati.

2.1- Quanto al rapporto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra tali normative possa essere risolto semplicemente con la “non applicazione” della norma interna.

Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001:

qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007). D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo, di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008).

Rettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato, facendo peraltro espresso richiamo ai principii qui esposti.

2.2- Quanto alla liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale, va osservato che la Corte di merito, riconoscendo al ricorrente a tale titolo la somma di Euro 4.150,00 per quattro anni e tre mesi circa di durata irragionevole, non si è discostato dal parametro base europeo di Euro 1.000,00 per anno, al quale ha fatto riferimento, precisando i criterii (concreta posta in gioco, conseguente entità presumibile del patema d’animo per il protrarsi irragionevole della durata del procedimento) sui quali ha fondato la sua valutazione. Ha dunque, nel rispetto dello standard della CEDU ed esponendo congrua motivazione, validamente esercitato la sua discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo, che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius.

2.3- Quanto al diniego di una somma forfetaria di Euro 2.000,00 (c.d.

bonus) in relazione alla circostanza che il giudizio presupposto aveva ad oggetto una controversia di lavoro, deve respingersi la tesi che tale somma ulteriore vada riconosciuta automaticamente in ogni caso di controversia di lavoro o previdenziale. La ragione di tale bonus, che la giurisprudenza europea riconosce laddove la particolare importanza di taluni giudizi induca a ritenere che il pregiudizio per la loro durata irragionevole sia stato maggiore di quello che si verifica nella generalità dei casi, postula l’accertamento e la valutazione nel caso specifico delle particolari circostanze alle quali sia da ricondurre tale eventuale maggior pregiudizio. Sì che, quando il giudice del merito nega tale ulteriore indennizzo forfetario, nella specie peraltro esprimendone le ragioni nella modestia della posta in gioco tale da escludere che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato dall’istante, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetterebbe ratione materiae ed era stato richiesto – tanto meno, nella specie, che la decisione negativa non sarebbe motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni – e se del caso alle prove- addotte nel giudizio di merito. Ciò che non è dato riscontrare nel ricorso in esame.

3. Anche i motivi indicati nel par. 1.1, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono infondati, in quanto: a)le spese del procedimento non sono state poste a carico della parte totalmente vittoriosa, bensì compensate per metà; b) la Corte di merito ha legittimamente esercitato tale facoltà discrezionale, rimessa al suo prudente apprezzamento, esponendo specifica motivazione (notevole ridimensionamento della pretesa del ricorrente di Euro 12.750,00) non illogica nè contraddittoria (cfr.

Cass. n. 24531/2010).

4. Il rigetto del ricorso si impone dunque, senza provvedere sulle spese di questo giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 1 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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