Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20172 del 25/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/07/2019, (ud. 12/04/2019, dep. 25/07/2019), n.20172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Mario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4019-2018 proposto da:

B.R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 53

INT. 2, presso lo studio dell’avvocato CARLO CORBUCCI, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIUSEPPE DE CARLO;

– ricorrente –

contro

A.C. MILANESE CORVETTO 1920 ASD, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

48, presso lo studio dell’avvocato FRANCISCO CORVASCE che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO SATURNINO DE

GAETANO;

– controricorrente –

e contro

ALLIANZ SPA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma Via Crescenzio n. 17/A presso lo

studio dell’Avvocato Michele Clemente che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2906/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che, con sentenza resa in data 26/6/2017, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da B.R.C. per la condanna dell’Associazione Calcio Milanese Corvetto 1920 ASD al risarcimento dei danni subiti dall’attore nel corso di una partita di calcio svoltasi presso il Centro sportivo convenuto, in occasione della quale il B., il tentativo di recuperare un pallone giunto a fondocampo, incappava con il piede in un canale di deflusso delle acque posto nelle vicinanze del campo di gioco, procurandosi una frattura della gamba sinistra;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice, tenuto conto che il sinistro dedotto in giudizio si era verificato per la colpevole distrazione del giocatore, non avvedutosi delle condizioni del percorso seguito, in concreto ben percepibile con una minima ed esigibile attenzione;

che, avverso la sentenza d’appello, B.R.C. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

che l’Associazione Calcio Milanese Corvetto 1920 ASD e la Allianz s.p.a. (quest’ultima originariamente chiamata in giudizio a fini di manleva) resistono con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. le parti non hanno presentato memoria;

considerato che, con il motivo d’impugnazione proposto, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè per violazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., e degli artt. 113 e 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che spettasse alla vittima dimostrare che la cosa in custodia avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l’oggettiva responsabilità del custode, in contrasto con il principio che stabilisce la responsabilità di questi sulla base della mera sussistenza del nesso di causalità tra l’uso della cosa in custodia e il danno, salva la prova del caso fortuito, della cui dimostrazione deve ritenersi onerato il custode;

che, preliminarmente, dev’essere rilevata l’inammissibilità della censura avanzata dal ricorrente in relazione alla violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo il B. totalmente trascurato di evidenziare il ricorso di fatti, oggettivamente decisivi e controversi tra le parti, ii cui esame sarebbe stato asseritamente omesso dai giudice d’appello;

che, sotto altro profilo, deve ritenersi manifestamente infondata la dedotta violazione dell’art. 2051 c.c., essendosi la corte territoriale correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte laddove evidenza come, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggi diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione (anche ufficiosa) dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicchè, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nei dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (cfr., ex plurimis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 2480 del 01/02/2018 (Rv. 647934 – 01);

che, in particolare, nel caso di specie, la corte territoriale ha coerentemente ed espressamente sottolineato come il sinistro dedotto in giudizio fosse integralmente addebitabile alla colpevole distrazione del danneggiato, per non essersi quest’ultimo avveduto delle condizioni del percorso seguito, in concreto ben percepibile con una minima ed esigibile attenzione (cfr. il folio 5 della sentenza impugnata);

che, infine, devono ritenersi inammissibili le censure sollevate dal ricorrente con riguardo alla pretesa violazione degli artt. 113 e 115 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c.;

che, al riguardo varrà considerare come – ferma la totale incongruenza dell’immotivato richiamo all’art. 113 c.p.c. – la censura illustrata dal ricorrente non contenga alcuna denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c., e di quello dell’art. 115 c.p.c., limitandosi a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;

che, sul punto, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale la violazione dell’art. 2697 c.c. sì configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sìa riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016) (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione);

che, conseguentemente, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2019

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