Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20167 del 18/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 18/08/2017, (ud. 12/07/2017, dep.18/08/2017),  n. 20167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14791-2015 proposto da:

N.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORTI DELLA

FARNESINA 126, presso lo dell’avvocato GIORGIO STELLA RICHTER,

rappresenta e difende giusta procura notarile;

– ricorrente –

contro

P.C., M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 603/2014 del TRIBUNALE di RAGUSA, depositata

il 30/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2017 dal Consigliere Dott. BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIORGIO STELLA RICHTER.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 30 giugno 2014 il Tribunale di Ragusa ha deciso l’opposizione agli atti esecutivi proposta da Filomena N.M., creditrice procedente, contro l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, emessa in data 22 gennaio 2008, in un procedimento di esecuzione per rilascio, intrapreso nei confronti di P.C. e P.V..

Il giudice dell’esecuzione aveva dato atto che il terreno oggetto dell’intimazione per rilascio era in parte occupato da un fabbricato detenuto dagli esecutati e in altra parte era occupato (per circa 31 mq) da un altro edificio di proprietà di tale M.G. costruito sul terreno adiacente e che sconfinava nella particella di terreno oggetto di esecuzione.

Sulla base di queste risultanze, emerse a seguito di rimessione degli atti da parte dell’ufficiale giudiziario, il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza impugnata, aveva stabilito: 1) che l’esecuzione per rilascio non potesse comprendere la porzione di fabbricato di mq. 31, in quanto apparteneva a soggetto a cui non potevano essere opposti i titoli esecutivi; 2) che il rilascio dell’altro edificio detenuto dagli esecutati ( P.) potesse avvenire mediante la consegna delle chiavi alla N., oppure con il cambio forzoso della serratura.

2. A seguito dell’opposizione proposta dalla N., che aveva chiesto che l’esecuzione fosse estesa all’intera particella (compresa la porzione di mq. 31 occupata dalla M.) e che fossero determinate le opportune misure nei confronti dei P. per esercitare il possesso sull’immobile da loro detenuto, il Tribunale ha dichiarato inammissibili entrambe le domande.

In particolare, ha ritenuto rinunciata la domanda volta ad ottenere il rilascio del terreno e dei due fabbricati ivi esistenti, in quanto in sede di precisazione delle conclusioni la N. aveva chiesto la demolizione, così formulando una domanda che il giudice ha qualificato come nuova e perciò inammissibile.

Ha aggiunto che l’opposizione è stata proposta nell’ambito di un procedimento esecutivo per rilascio, quindi non avrebbe potuto essere richiesto, con l’atto di opposizione agli atti esecutivi, un genere di esecuzione (per obblighi di fare) diverso da quello introdotto dalla stessa parte creditrice.

Con riferimento all’immobile detenuto dalla M., il giudice ha inoltre osservato che legittimati passivi dell’azione esecutiva non avrebbero potuto essere i P., in quanto non potrebbero adempiere spontaneamente alla richiesta di demolizione di tale immobile (non essendo nè detentori, nè proprietari) e dunque nei loro confronti non si sarebbe neppure potuto procedere esecutivamente.

In conseguenza della dichiarazione di inammissibilità delle domande, il Tribunale ha compensato le spese di lite, anche in considerazione del fatto che la M. era stata chiamata nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi per ordine del giudice e nei suoi confronti la N. non aveva svolto domande; ha perciò rigettato la domanda avanzata dalla M. nei confronti della N. di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

3. La sentenza è impugnata con ricorso straordinario per cassazione, basato su un solo motivo, da N.F..

Gli intimati non si difendono.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo è dedotta “violazione e falsa applicazione degli artt. 112,183,190,608,617 e 618 c.p.c., artt. 934,948 e 2909 c.c., tutti con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5, nonchè delle norme e dei principi sulla forza espansiva del giudicato, sull’interpretazione delle domande giudiziali e sulla loro rinuncia, egualmente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”.

La ricorrente censura la decisione nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che ci sia stata una modifica delle domande originarie, con rinuncia a quelle inizialmente proposte e conseguente inammissibilità di quelle prospettate in sede di precisazione delle conclusioni.

La ricorrente evidenzia che, fin dall’instaurazione del processo esecutivo, è stato chiesto il rilascio dell’intera particella di terreno, compresa la porzione immobiliare occupata dalla M.. Questa richiesta è fondata su un titolo esecutivo -costituito da una sentenza emessa nei confronti dei P.- che aveva condannato questi ultimi al rilascio dell’intero immobile in contestazione, da consegnare alla N. “nella sua consistenza originaria libero da persone e cose”, sicchè, secondo la ricorrente, avrebbe potuto essere ritenuta nuova tutt’al più la domanda di “previa demolizione”, non certo quella di rilascio; nè quest’ultima si sarebbe potuta ritenere abbandonata. Al riguardo, la ricorrente richiama la giurisprudenza per la quale, affinchè una domanda possa ritenersi rinunciata, non è sufficiente che non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni. Evidenzia quindi come appare contrario ad ogni logica ritenere che ella avesse abbandonato proprio la domanda di rilascio, dopo aver agito in giudizio per conseguire una sentenza di condanna utilizzabile come titolo esecutivo a questo scopo.

1.1. Quanto ai destinatari passivi dell’azione esecutiva, la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte per la quale l’ordine di rilascio contenuto in una sentenza di condanna spiega efficacia non solo nei confronti dei destinatari della relativa statuizione, ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene nel momento in cui la sentenza venga eseguita coattivamente (cfr. Cass. n. 3183/2003). Sostiene che, ritenendo diversamente, si vanificherebbe l’efficacia del giudicato e al tempo stesso la forza espansiva della rivendica.

2. Il motivo è infondato quanto a quest’ultima censura.

Il principio di diritto richiamato dalla ricorrente sta a fondamento dell’inammissibilità dell’esecuzione per rilascio ritenuta dal giudice di merito. Questi ha, infatti, precisato più volte nel corso della motivazione che unici soggetti esecutati -nei confronti dei quali cioè la N. ha rivolto la propria azione esecutiva per rilascio – sono i P.. Dato ciò, ha reputato che costoro siano legittimati passivi dell’azione esecutiva con riferimento al fabbricato da loro stessi realizzato (su una parte del fondo da rilasciare) e da loro detenuto; ma ne ha escluso la legittimazione passiva con riferimento alla porzione di terreno occupata dalla M. e da questa detenuta, in quanto parte di un edificio di maggiore consistenza di proprietà della stessa M..

2.1. La sentenza è conforme a diritto.

Nell’esecuzione forzata in forma specifica la qualità di parte del processo esecutivo è collegata agli effetti dell’esecuzione. Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione è ripetutamente affermato il principio di diritto per cui, sia nell’esecuzione per obblighi di fare (cfr. Cass. n. 8056/01 e n. 11583/05), sia nell’esecuzione per consegna e rilascio (cfr. Cass. n. 6330/85, n. 149/91, n. 11090/93, n. 7026/99), la parte nei cui confronti va rivolta l’azione esecutiva è il soggetto che si trova rispetto al bene nella situazione di possesso o di detenzione che gli consente di adempiere al comando contenuto nella sentenza di condanna. Pertanto soggetto passivo dell’esecuzione per rilascio non può che essere colui che, nel momento in cui la sentenza è eseguita coattivamente, si trova a detenere il bene (come affermato d’altronde anche da Cass. n. 3183/2003, citata dalla ricorrente, nonchè, di recente, da Cass. n. 24637/16).

Ne consegue che, a prescindere dalla questione dell’opponibilità del titolo esecutivo alla M. (questione, che non ha formato oggetto della decisione impugnata), ciò che rileva è l’errata individuazione dei P. come unici legittimati passivi dell’azione esecutiva per rilascio. Evidentemente, costoro non possono rilasciare un bene attualmente detenuto da un terzo soggetto, quale è la M..

La censura fin qui esaminata va perciò rigettata.

3. Le restanti censure sono inammissibili.

La giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’abbandono delle domande non riproposta in sede di precisazioni delle conclusioni non è univoca, poichè, accanto a pronunce che ritengono trattarsi di una mera presunzione (cfr. Cass. n. 3593/10 e n. 1603/12, ma anche Cass. n. 15860/14), ve ne sono altre che, in linea di principio, sostengono la prevalenza della volontà espressa su quella inespressa (cfr. Cass. n. 2093/13 e 16840/13). Tuttavia, i precedenti convergono nella conclusione che, se le domande siano pregiudiziali o strettamente connesse, la domanda pretermessa non possa ritenersi rinunciata se non in presenza di una volontà inequivoca in tal senso.

Pertanto, si può convenire con la parte ricorrente quando afferma che la domanda di demolizione, essendo stata collegata al contenuto del titolo esecutivo azionato per il rilascio, non fosse così incompatibile con la domanda di rilascio da far ritenere al giudice che la proposizione della prima avesse comportato una rinuncia alla seconda (non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni).

Tuttavia, questa considerazione non consente di superare l’affermazione di inammissibilità della domanda di demolizione, che la stessa parte ricorrente riconosce di non aver proposto con l’atto introduttivo.

La demolizione, come rilevato dal giudice a quo, comporta attività esecutive diverse da quelle finalizzate soltanto al rilascio, perciò la relativa domanda è inammissibile se avanzata nel corso di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi nell’ambito di un processo esecutivo per rilascio.

3.1. Quest’ultimo argomento è speso in sentenza anche al fine di evidenziare come – ottenuto dal giudice dell’esecuzione il rilascio del fabbricato in comproprietà con i P. (in quanto non è contestato che con l’ordinanza del 22 gennaio 2008 il g.e. stabilì che il rilascio “potesse avvenire mediante la consegna delle chiavi alla N. oppure con il cambio forzoso della serratura”)- non vi fosse spazio, nell’ambito del processo esecutivo iniziato ai sensi degli artt. 605 e seg. c.p.c. (esecuzione per rilascio), per ordinare agli esecutati il compimento di altre attività materiali; infatti, a questo scopo la N. avrebbe dovuto agire ai sensi degli artt. 612 e seg. c.p.c.(con esecuzione per obblighi di fare).

3.2. L’affermazione, oltre ad apparire astrattamente corretta in diritto, costituisce una ragione idonea a sorreggere da sola la decisione del Tribunale di inammissibilità di ogni altra pretesa esecutiva (diversa da quella già soddisfatta con la consegna delle chiavi od il cambio della serratura) invocata dalla creditrice opponente nei confronti degli esecutati P., con riferimento al fabbricato edificato da costoro su una porzione del fondo in comproprietà con la N.. Infatti, anche a voler ritenere la domanda di rilascio non abbandonata, essa -secondo l’impostazione del Tribunale – non avrebbe potuto condurre ad alcun ulteriore risultato utile per la creditrice, poichè, per costringere i P. al compimento di altre attività, ella avrebbe dovuto agire ai sensi degli artt. 612 e seg. c.p.c..

Per questo aspetto, la sentenza non è specificamente censurata.

La mancata censura di tale ulteriore ed autonoma ratio decidendi comporta l’inammissibilità per carenza di interesse (cfr. Cass. S.U. n. 7931/13 e numerose altre) delle doglianze concernenti la presunzione di abbandono della domanda di rilascio.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione perchè gli intimati non si sono difesi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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