Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20166 del 18/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 18/08/2017, (ud. 04/07/2017, dep.18/08/2017),  n. 20166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29001-2015 proposto da:

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MARIO MONZINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI TURRONI giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente-

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268/A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO MADONNA giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 632/2015 del TRIBUNALE di RAVENNA, depositata

il 21/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/07/2017 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 21.5.2015, il Tribunale di Ravenna accolse l’opposizione ex art. 615 c.p.c., proposta da M.M., n.q. di amministratore di sostegno di B.E., avverso l’atto di pignoramento presso terzi ad istanza di G.V.. Il primo giudice rilevò infatti che l’assegno bancario di Euro 400.000,00, azionato in executivis dal G., costituiva liberalità elargita dal B. a titolo di remunerazione per i servigi resigli da G.A. (padre del creditore procedente), ma priva della prescritta forma solenne ex art. 782 c.c. e, quindi, nulla, con conseguente insussistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata.

La Corte d’appello di Bologna, adita da G.V., dichiarò l’appello inammissibile ex art. 348 bis c.p.c., con ordinanza del 4.11.2015.

G.V. ricorre ora per cassazione, affidandosi ad un unico motivo. Resiste con controricorso M.M. n.q..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, deducendo “in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione delle norme, di cui agli artt. 112,113 e 115 c.p.c., art. 770 c.c., comma 2, e art. 2034 c.c.”, si denuncia il malgoverno delle norme citate riguardo alla valutazione del materiale istruttorio da parte del primo giudice Rileva il G. essere pacifico che: 1) il padre di esso ricorrente aveva lavorato per tantissimi anni gratuitamente per padre B.E., all’epoca parroco della (OMISSIS), sia materialmente, sia aiutandolo nella raccolta delle offerte per la costruzione della nuova chiesa, sia accogliendolo nella propria casa, ove si recava a mangiare almeno tre volte a settimana; 2) il B. voleva contraccambiare i servigi resi da G.A., ormai deceduto; 3) il patrimonio del B. è pari a circa 2 min. di Euro. Inoltre, 4) non è emerso che Valter G. abbia in qualche modo influenzato padre B. circa la dazione dell’assegno.

Il Tribunale ha inquadrato la fattispecie nell’ambito dell’art. 770 c.c., comma 1, come donazione remuneratoria, escludendo che fosse configurabile l’adempimento di un’obbligazione naturale, ex art. 2034 c.c., giacchè i servigi erano stati resi gratuitamente “per ragioni ideali… o affettive, per spirito di solidarietà o per senso di compassione” (v. sentenza impugnata, p. 3), nè era ravvisabile alcun dovere morale di ricompensare chi li aveva resi.

Tuttavia, secondo il ricorrente, da nessun elemento ritualmente acquisito poteva evincersi quanto affermato dal Tribunale: anzi, sia dagli elementi pacifici sopra riportati, sia in particolare dalla stessa dichiarazione rilasciata dal B. (doc. 5 avversario in primo grado), si evinceva l’esatto contrario. In sostanza, il B. si sentiva obbligato alla elargizione, che quindi non doveva rivestire la forma di atto pubblico a pena di nullità, non essendo essa qualificabile neppure come donazione remuneratoria. Poteva trattarsi comunque, e al più, di una liberalità d’uso, non esclusa dalla rilevante cifra portata dall’assegno, stante la proporzione rispetto al patrimonio del B.. In definitiva, il Tribunale, in ossequio al disposto degli artt. 112,113 e 115 c.p.c., avrebbe dovuto verificare se i fatti potessero integrare la fattispecie del negotium mixtum cum donatione.

2.1 – Il ricorso è inammissibile.

Infatti, nell’esporre sommariamente i fatti, il ricorrente s’è limitato a dar conto dello svolgimento del processo di primo grado, riportando assai succintamente i motivi d’appello e l’esito del giudizio di secondo grado, conclusosi con ordinanza di inammissibilità del 27.10.2015, comunicata il 4.11.2015; egli non ha tuttavia indicato analiticamente nè la data di proposizione dell’appello, nè i motivi come integralmente proposti, nè infine il contenuto dell’ordinanza (di cui non viene neanche specificata la natura; che si tratti di ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., stando al contenuto del ricorso, può evincersi dalla sola circostanza che è stata impugnata la sentenza di primo grado, conformemente alla previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c.). Pertanto, deve richiamarsi quella oramai consolidata giurisprudenza, secondo cui “Nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa menzione dei motivi di appello e della motivazione dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame” (ex multis, Cass. n. 10722/2014; Cass., Sez. un., n. 10876/2015; Cass. n. 26936/2016).

La necessità che il ricorso ex art. 348 ter c.p.c., sia connotato dal detto contenuto risulta ancor più plasticamente evidenziata nel caso in esame, giacchè il G. s’è limitato a riferire che la Corte del merito aveva emesso una (mera) pronuncia di inammissibilità, senza altro specificare e senza minimamente far cenno alla motivazione: dalla lettura del ricorso, pertanto, non solo si pone il problema del giudicato interno, ut supra, ma alla luce dell’insegnamento di Cass., Sez. un., n. 1914/2016, non può neanche escludersi che il G. avrebbe dovuto direttamente impugnare la stessa ordinanza, qualora essa fosse stata fondata su causa diversa da quella prevista dall’art. 348 bis c.p.c., ed avesse avuto, quindi, natura di sentenza.

4.1 – In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

 

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 4 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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