Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20165 del 18/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 18/08/2017, (ud. 04/07/2017, dep.18/08/2017),  n. 20165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

RIMORCHIATORI RIUNITI SPEZZINI SRL in persona del suo legale

rappresentante Dott. V.F., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA APPENNINI 60, presso lo studio dell’avvocato CARMINE DI

ZENZO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO

BARABINO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DI V.P.P. SNC non in proprio ma in qualità di

agente raccomandatario dei propri armatori, nella persona del suo

amministratore e legale rappresentante pro tempore D.V.P.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI 7, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO LUIGI CONTI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUCIO RAVERA giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 550/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 26/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/07/2017 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dopo essere stata definitivamente accertata la falsità della procura ad litem in favore dell’avv. Lucio Ravera, a seguito di querela di falso incidentale, la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 26.4.2014, dichiarò l’inammissibilità dell’appello così proposto dal detto difensore nell’interesse dell’Agenzia Di V.P.P. s.n.c., nella qualità di agente raccomandatario ex art. 288 cod. nav., avverso la sentenza del Tribunale della Spezia del 13.3.2003; con detta ultima pronuncia, era stata respinta l’opposizione a precetto proposta dall’Agenzia Di V.P.P. s.n.c. contro Rimorchiatori Riuniti Spezzini s.r.l.. Su istanza della prima, la Corte ligure corresse poi la sentenza con ordinanza del 24.12.2014, nel senso che la condanna alle spese ivi riportata doveva intendersi pronunciata nei confronti della stessa società nella spiegata qualità e non in proprio.

Rimorchiatori Riuniti Spezzini s.r.l. ricorre ora per cassazione, affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso Agenzia Di V.P.P. s.n.c. (di seguito anche Agenzia Di V.), nella qualità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, deducendo “violazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, si sostiene che Agenzia Di V., quale agente raccomandatario, non avesse interesse ex art. 100 c.p.c., a chiedere la correzione del preteso errore materiale contenuto nella sentenza d’appello, poi disposta con ordinanza del 24.12.2014. Ciò in quanto il soggetto condannato al pagamento delle spese di lite era diverso, ossia Agenzia Di V. in proprio, ed era presumibile che la Corte d’appello avesse applicato l’art. 94 c.p.c., condannando detto soggetto, appunto, perchè l’attività spiegata dal difensore privo di ius postulandi non avrebbe potuto riverberarsi sul soggetto (Agenzia Di V. n.q.) falsamente rappresentato. Pertanto, l’istanza di correzione non avrebbe potuto accogliersi.

1.2 – Con il secondo motivo, deducendo “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 82,83,84,91 e 92 c.p.c. e art. 1399 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, la ricorrente lamenta che la sentenza d’appello, così come corretta, reca condanna a carico di soggetti (gli armatori raccomandati) rimasti estranei al giudizio. Infatti, posto che la procura all’avv. Lucio Ravera era risultata falsa, l’attività da questi realizzata era da ascrivere a lui stesso in proprio, e non già al soggetto (Agenzia Di V. n.q.) falsamente rappresentato. Pertanto, la Corte d’appello non avrebbe potuto condannare l’Agenzia Di V. n.q. alla rifusione delle spese, bensì – anche d’ufficio – lo stesso avv. Ravera in proprio. A nulla rileverebbe, in proposito, come invece ritenuto dalla Corte ligure, la circostanza che Agenzia Di V. n.q. abbia rilasciato procura speciale notarile del 8.6.2004, con cui l’operato del legale è stato ratificato, perchè l’istituto della ratifica non è applicabile alla procura ad litem.

1.3 – Con il terzo motivo, infine, deducendo “violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, la ricorrente si duole del rigetto della domanda di risarcimento danni per lite temeraria dell’avv. Ravera in proprio, in quanto la circostanza che il suo operato sia stato ratificato da Agenzia Di V. n.q. sarebbe irrilevante, al contrario di quanto invece ritenuto dalla Corte genovese. Si sostiene che sia indiscutibile la malafede o colpa grave dell’avv. Lucio Ravera, che per agire in giudizio ha attestato essere vera una firma invece falsa, così avviando un procedimento che non aveva ragion d’essere, che ha avuto inevitabili lungaggini (querela di falso incidentale, con annesso regolamento di competenza) e un inutile dispendio di energie. Pertanto, trattandosi di richiesta ex art. 96 c.p.c., comma 1, alcuna prova dei danni occorreva comunque fornire, come ritenuto dal giudice d’appello, dovendo questi procedere alla loro liquidazione anche d’ufficio.

2.1 – Il primo motivo è inammissibile.

2.2 – La ricorrente, formalmente, chiede la cassazione della “decisione n. 550/14 della Corte d’appello di Genova, così come corretta con Decreto 24 dicembre 2014, con ogni conseguente provvedimento” (v. ricorso, p. 6).

Nell’illustrazione del motivo in esame, tuttavia, essa si duole della illegittimità dell’ordinanza di correzione, arrivando a sostenere che l’istanza ex art. 287 c.p.c., avrebbe dovuto essere respinta per difetto d’interesse ad ottenere la correzione stessa in capo all’Agenzia Di V. quale agente raccomandatario, posto che la condanna al pagamento delle spese di lite – a suo dire – era stata dapprima emessa nel confronti dell’Agenzia in proprio, in verosimile applicazione dell’art. 94 c.p.c..

Così stando le cose, è del tutto evidente che l’oggetto specifico della doglianza – come anche eccepito dalla controricorrente – sia proprio l’ordinanza di correzione, e non già la sentenza come risultante dalla correzione, che è il solo provvedimento impugnabile ex art. 288 c.p.c., comma 4. Ciò è tanto vero che la ricorrente contrappone il decisum derivante dalla correzione a quello originario, che invece assume corretto, riportando testuali passaggi della motivazione dell’ordinanza e lamentando proprio la carenza di una condizione dell’azione rispetto alla (sola) istanza di correzione.

In realtà, ritiene la Corte come l’ordinanza di correzione del 24.12.2014 si muova nella sua tipica connotazione meramente amministrativa (v., ex multis, Cass. n. 1207/2015), giacchè l’Agenzia Di V. – da quanto è dato desumere dal ricorso, dalla sentenza impugnata e dal controricorso – ha svolto l’attività processuale in appello, a partire dalla costituzione con ratifica dell’operato dell’avv. Ravera (su cui v. infra), nell’esclusiva qualità di raccomandataria ex art. 288 Cod. Nav., e non mai in proprio. La scissione soggettiva, nel senso voluto dall’odierna ricorrente, avrebbe semmai potuto ipotizzarsi qualora fosse stata messa in discussione la portata del rapporto sostanziale tra l’agente raccomandatario e gli armatori raccomandanti: per gli effetti di cui all’art. 288 Cod. Nav., infatti, il potere di rappresentanza processuale ex art. 77 c.p.c. del raccomandatario ha la medesima estensione del mandato sottostante (v. sul punto, Cass. n. 9354/2012). Ciò, tuttavia, non risulta dagli atti, potendo anzi da essi desumersi che la questione non sia mai stata sollevata da alcuno nel corso del giudizio.

Pertanto, non soltanto deve escludersi che la Corte ligure avesse voluto applicare l’art. 94 c.p.c., nel testo della sentenza ante correzione (come affermato dalla ricorrente), ma può anche affermarsi che di essa non vi sia traccia nella motivazione della sentenza impugnata proprio perchè ciò sarebbe stato assolutamente privo di ogni senso (come invece esattamente affermato dalla Corte ligure nella contestata ordinanza): nella misura in cui l’Agenzia Di V. ha agito in rappresentanza degli armatori raccomandanti e nei limiti del mandato, com’è pacifico, non può che derivarne la non configurabilità di atti da essi esorbitanti, ex art. 1711 c.c., e quindi l’Agenzia non può essere chiamata a rispondere, in proprio, dell’esecuzione del mandato stesso, come nella sostanza pretenderebbe Rimorchiatori Riuniti Spezzini. In altre parole, è stata proprio l’Agenzia Di V. n.q., e non in proprio, a ratificare l’operato del falsus procurator, che nell’interesse della stessa (e, ripetesi, in detta qualità) aveva proposto l’appello. E ciò è tanto vero che, nel dispositivo della sentenza impugnata, e già nel testo antecedente alla correzione, si legge che la declaratoria di inammissibilità concerne “l’atto di appello proposto dall’Agenzia Di V.P.P. s.n.c., nella qualità di agente raccomandatario ex art. 288 Cod. Nav.”.

Che poi la ricorrente abbia voluto incentrare le proprie doglianze in via esclusiva sull’ordinanza di correzione, e non già sulla sentenza come corretta, è infine confermato proprio dalla circostanza che essa lamenti il difetto di una condizione dell’azione (l’interesse a ricorrere) specificamente riferito all’istanza ex art. 287 c.p.c., e, quindi, al relativo (sub)procedimento.

Pertanto, il motivo va dichiarato inammissibile, l’ordinanza di correzione non essendo ricorribile per cassazione, neanche ex art. 111 Cost., comma 7, (v. Cass. n. 16205/2013; Cass. n. 2819/2016).

2.3 – Le ulteriori eccezioni di inammissibilità del motivo, sollevate dalla controricorrente, restano assorbite.

3.1 – Il secondo e il terzo motivo devono esaminarsi congiuntamente, stante l’intima connessione.

3.2 – Preliminarmente, va al riguardo rilevato che – contrariamente all’assunto della controricorrente – la valutazione operata dalla Corte d’appello circa la mancata condanna al pagamento delle spese dell’avv. Ravera in proprio non attiene al merito, trattandosi, in tesi, della pretesa violazione (che è correttamente denunciata) delle norme rubricate nel secondo motivo. Vero è che quest’ultimo pare in netta contraddizione col primo motivo, apparendo un fuor d’opera insistere dapprima per l’accertamento dell’erroneità della condanna di Agenzia Di V. n.q., per poi chiedere la cassazione della sentenza per non aver disposto la condanna del suo difensore in proprio. Nè, del resto, onde raggiungere la finalità indicata in memoria (p. 3), la ricorrente avrebbe avuto alcuna necessità di proporre la prima censura, sufficiente essendo svolgere direttamente la seconda, e ciò alla luce delle ragioni poste a suo sostegno.

L’anomala scelta di Rimorchiatori Riuniti Spezzini non incide, però, sull’ammissibilità delle doglianze in esame, almeno sotto tale profilo, giacchè esse sono dotate di autonoma rilevanza e decisività.

3.3 – Sempre in via preliminare, va rilevato che la controricorrente invoca, specie riguardo al terzo motivo ed in relazione alle considerazioni svolte in ricorso riguardo all’operato dell’avv. Ravera, le sanzioni di cui agli artt. 88 e 89 c.p.c., chiedendo anche la condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c.. Dette istanze, tuttavia, sono palesemente inammissibili, in quanto il terzo motivo è diretto unicamente nei confronti dell’avv. Ravera in proprio, che tuttavia non ha resistito, benchè intimato: Agenzia Di V. n.q. non è quindi legittimata ad avanzarle. Del resto, per quanto il disposto dell’art. 89 c.p.c., consenta al giudice di provvedere anche d’ufficio, va tuttavia rilevato che non c’è nulla di sconveniente o offensivo nell’illustrazione del motivo in discorso, essendosi limitata la ricorrente a riportare meramente gli accadimenti processuali e a descrivere le conseguenze che, dall’operato dell’avv. Ravera, sono a suo avviso derivate riguardo al regolamento delle spese, lato sensu intese.

infondati. Infatti, nella giurisprudenza di questa Corte, è ormai consolidato il principio secondo cui “In materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di inesistenza della procura “ad litem” o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l’atto è speso), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura “ad litem”, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l’attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benchè sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l’instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo” (così, Cass., Sez. Un., n. 10706/2006; v. anche, ex multis, Cass. n. 24281/2006; Cass. n. 961/2009; Cass. n. 7319/2015; Cass. n. 11551/2015; Cass. n. 58/2016).

Pertanto, la ragione per cui – in caso di procura inesistente o falsa – le spese del procedimento devono restare a carico del difensore, consiste nel fatto che l’attività di questi non è ascrivibile alla parte falsamente rappresentata: cioè, di esse non può rispondere un soggetto che non è mai stato parte del procedimento. Ora, la ratifica operata nel corso del giudizio d’appello da Agenzia Di V. n.q., se certamente non vale a “salvare” l’impugnazione, ben può valere ad escludere l’ascrivibilità dell’operato del difensore a lui stesso ai fini del regolamento delle spese, cui è tenuta la parte rappresentata, come pure nella sostanza correttamente ritenuto dalla Corte ligure; pertanto, con la ratifica, Agenzia Di V. n.q. è divenuta parte del procedimento con effetto ex nunc, disponendo del proprio diritto a non essere considerata tale, giacchè – a tenore del riportato insegnamento – avrebbe dovuto considerarsi parte (seppur limitatamente a tale profilo) il solo difensore privo di procura.

La procura speciale notarile, con ratifica, del 8.6.2004 (riportata nel controricorso) ha quindi avuto due effetti: il primo, quello di consentire l’ingresso nel processo, ex nunc, del soggetto (falsamente) rappresentato, ossia di Agenzia Di V. n.q.; il secondo, quello di far perdere al difensore, avv. Ravera, l’anomala posizione di parte (si ripete, a tale limitato effetto – v. Cass., Sez. Un., n. 10706/2006, in motivazione), recuperandogli la mera veste di procuratore.

Se così è, l’avv. Ravera non poteva essere condannato in proprio perchè non poteva ormai considerarsi parte del processo, nè riguardo alle spese di lite, nè alla connessa responsabilità aggravata, come nella sostanza correttamente ritenuto dalla Corte ligure: le relative domande proposte da Rimorchiatori Riuniti Spezzini avrebbero dovuto essere quindi dirette nei confronti di Agenzia Di V. n.q., e non nei confronti dell’avv. Ravera in proprio, giacchè la prima, con la ratifica, aveva fatto propria la condotta processuale del suoZ-2 (originariamente falso) procuratore. Pertanto, i motivi in esame si palesano da un lato inammissibili, perchè diretti nei confronti di un soggetto (l’avv. Ravera) che non può considerarsi parte del giudizio, benchè intimato; dall’altro, comunque infondati, perchè le relative statuizioni del giudice d’appello sono comunque corrette.

4.1 – In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 4 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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