Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20162 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/09/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 24/09/2020), n.20162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25723-2014 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

SAVORELLI 11, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PEVERINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO CAVALIERE;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA

CORETTI, VINCENZO TRIOLO e VINCENZO STUMPO;

– controricorrente –

nonchè contro

CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7745/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/10/2013, R.G.N. 6127/2009.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

G.F., già dipendente della (OMISSIS) s.p.a., licenziato per giusta causa con missiva del 20/7/2000, adiva il Tribunale di Latina chiedendo accertarsi il diritto alla indennità di disoccupazione e all’indennità di malattia, in relazione al periodo 30/4/2001 al 22/6/2001, nonchè condannarsi l’Inps alla corresponsione degli importi a tale titolo spettanti e la (OMISSIS) s.p.a., alla regolarizzazione contributiva.

Il Tribunale dichiarava nullo il ricorso per carenza di “indicazione delle circostanze di fatto essenziali alla corretta instaurazione del contraddittorio”.

La Corte distrettuale, con sentenza resa pubblica il 24/10/2013, rigettava l’appello proposto dal G. avverso tale pronuncia, disponendo condanna del soccombente alla rifusione delle spese del grado nei confronti delle parti appellate.

E giudice del gravame – premessa la conformità del ricorso ai requisiti previsti dall’art. 414 c.p.c., – perveniva a tali conclusioni dopo aver rilevato che con sentenza n. 2660/2002 passata in giudicato, era stata acclarata l’intimazione da parte della (OMISSIS) s.p.a., del licenziamento per giusta causa del G., in data 20/7/2000 con decorrenza 16/3/2001 (termine del periodo di malattia), nonchè l’insussistenza di alcun diritto alla indennità di preavviso.

Muovendo da tali accertamenti, dichiarava la intervenuta decadenza del lavoratore dal diritto alla indennità di disoccupazione rivendicata, essendo stata la domanda proposta il 22/6/2001, oltre il termine di 60 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Reputava infondata la censura proposta dall’appellante, alla cui stregua la cessazione del rapporto doveva ritenersi procrastinata di 45 giorni rispetto a quella indicata dalla società, in considerazione del termine di preavviso riconosciuto dalla contrattazione collettiva: in tale prospettiva, secondo il ricorrente, la domanda volta a conseguire l’indennità di disoccupazione, proposta nel corso di detto periodo, sarebbe stata ritualmente proposta.

La Corte di merito argomentava, per contro, che tale prospettazione offerta da parte ricorrente era inficiata dal passaggio in giudicato della sentenza resa dal Tribunale di Latina in data 4/12/2002, con la quale “era stata accertata l’inesistenza del diritto all’indennità di mancato preavviso… sussistendo una giusta causa di licenziamento”, sicchè il rapporto di lavoro inter partes doveva ritenersi risolto in data 16/3/2001.

Per le medesime ragioni riteneva priva di pregio l’ulteriore istanza di liquidazione della indennità di malattia, perchè inerente a fatti verificatisi in epoca successiva alla risoluzione del rapporto.

Respingeva, quindi, ogni ulteriore pretesa avanzata dal ricorrente nei confronti dalla società datoriale, medio tempore fallita.

Condannava, infine, l’appellante alla rifusione delle spese del grado, reputando inapplicabile l’esonero disposto dall’art. 152 disp. att. c.p.c., per non avere depositato l’apposita dichiarazione prevista dalla disposizione.

Avverso tale decisione il G. interpone ricorso per cassazione sostenuto da plurimi motivi, cui oppone difese l’Inps con controricorso illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Il fallimento (OMISSIS) s.p.a. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonchè degli artt. 112 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Così testualmente il ricorrente deduce che il giudice d’appello aveva “errato, per avere falsamente applicato l’art. 346 c.p.c., non potendo lo stesso giudice decidere su un rilievo coperto da giudicato interno, ex art. 112 c.p.c., ovvero l’eccezione di giudicato (esterno) reso nella sentenza n. 2660/2002 tra le parti G.F. e la società (OMISSIS) s.p.a. in persona del suo legale rappresentante pro tempore, nella causa proposta in via subordinata, tra le parti G., (OMISSIS) s.p.a., e non in via principale dall’odierno ricorrente.

Nel caso di specie la Corte di Cassazione dovrà valutare, anche se la declaratoria di nullità del ricorso di primo grado abbia comportato il passaggio in giudicato, del dedotto giudicato esterno, in difetto di tempestiva impugnazione della pronunzia implicita di rigetto, da parte della resistente società, rimasta soccombente implicita, in primo grado, nel caso di rigetto in rito e non nel merito della domanda del ricorrente”.

2. Il motivo si presenta inammissibile sotto plurimi concorrenti profili.

Va infatti rammentato l’insegnamento di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione in cui sia denunciata puramente e semplicemente la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” ai sensi dell’art. 112 c.p.c., senza alcun riferimento alle conseguenze che l’errore (sulla legge) processuale comporta, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento, (vedi Cass. 28/9/2015 n. 19124, Cass. S.U. 24/7/2013 n. 17931). I vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono infatti posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato “error in procedendo”, con conseguente onere dell’impugnante di indicare il danno concreto arrecatogli dall’invocata nullità processuale, (vedi Cass. 9/7/2014 n. 15676).

Nello specifico il ricorrente si è limitato ad argomentare esclusivamente in ordine alla violazione di legge (art. 2909 c.c., artt. 346 e 112 c.p.c.) omettendo di indicare gli effetti derivanti dall’errore sulla legge processuale e così non sottraendosi ad un giudizio di inammissibilità.

3. Sotto altro versante, si impone l’evidenza della non conformità del motivo, ai dettami di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6.

Ed invero, secondo i condivisi dicta di questa Corte, i requisiti di contenuto – forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (vedi Cass. 13/11/2018 n. 29093).

Il principio di specificità del ricorso per cassazione è volto infatti ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda.

Orbene, la tecnica redazionale adottata a sostegno della critica, si presenta evidentemente carente sotto il profilo della specificità, giacchè si omette di riportare integralmente il tenore della sentenza del Tribunale di Latina n. 2660/2002 passata in giudicato, e posta dalla Corte di merito a fondamento del decisum.

La giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ha posto in evidenza il necessario coordinamento tra il principio secondo cui l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, e il principio della necessaria autosufficienza del ricorso. E’ stato, infatti, affermato che “l’interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale”. (vedi in motivazione Cass. 31/7/2012 n. 13658, Cass. 15/10/2012 n. 17649, cui adde Cass. 13/12/2006, n. 26627, Cass. Sez. Un. 27/1/2004 n 1416).

Tale orientamento ha rimarcato come i motivi di ricorso per cassazione fondati su giudicato esterno, debbano rispondere ai dettami di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, che del principio di autosufficienza rappresenta il precipitato normativo (cfr. Cass. 18/10/2011 n. 21560, Cass. 13/3/2009 n. 6184; Cass. 30/4/2010 n. 10537); tanto sia sotto il profilo nella riproduzione del testo della sentenza passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa (cfr. Cass. 11/2/2015 n. 2617), sia sotto il profilo della specifica indicazione della sede in cui essa sarebbe rinvenibile ed esaminabile in questo giudizio di legittimità (vedi Cass. cit. n. 21560/2011, cui adde Cass. n. 15737 del 23/06/2017, Cass. n. 13988 del 31/05/2018).

Nello specifico il motivo articolato si palesa del tutto inidoneo ad enucleare le effettive carenze che connotano la pronuncia impugnata, in quanto il suo vaglio richiede l’esame di atti processuali ultronei rispetto allo stesso ricorso, che, per quanto sinora detto, non risultano riportati nella loro interezza, nè prodotti in coerenza con le prescrizioni di cui all’art. 369 c.p.c..

4. In ogni caso la censura va disattesa anche perchè, secondo i principi affermati da questa Corte, l’esistenza del giudicato esterno, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo (anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata), trattandosi di un elemento che può essere assimilato agli elementi normativi astratti, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto; sicchè, il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (vedi ex plurimis, Cass. 26/6/2018 n. 16847, Cass. 3/4/2017 n. 8607).

Nello specifico il giudice del gravame si è attenuto agli enunciati dicta avendo dato rilievo alla precedente decisione in materia di licenziamento, ritualmente allegata alla produzione di primo grado della società, onde la relativa statuizione si sottrae, anche sotto l’enunciato profilo, alle critiche formulate.

5. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si deduce che “l’accertamento compiuto dal Tribunale di Latina con la sentenza n. 2660/2002 era rivolto esclusivamente all’indennità di mancato preavviso e non alla legittimità del licenziamento”. Si lamenta che la Corte di merito “non indicando precisamente i punti d’identità tra i fatti giudicati rispetto a quelli oggetto del giudizio pendente, incorreva nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., dovendo la stessa indicare le circostanze che evidenziavano ragioni d’identità fattuali…”.

6. Anche tale censura palesa profili di inammissibilità, presentando le medesime criticità – quanto alla tecnica redazionale “aspecifica” adottata nella stesura, ed al difetto di allegazione agli atti della sentenza coperta dal giudicato – già evidenziate al precedente punto 3.

La non conformità al principio di specificità che governa il ricorso per cassazione, rende la censura inidonea ad enucleare le denunciate carenze che connotano la pronuncia impugnata, in quanto il suo vaglio richiede l’esame di atti processuali ultronei rispetto allo stesso ricorso, che, per quanto sinora detto, non risultano riportati nella loro interezza, nè prodotti ir coerenza con le prescrizioni di cui all’art. 369 c.p.c..

7. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 42,44 e 112 c.p.c. e della L.Fall. art. 24.

Ci si duole della erroneità della sentenza impugnata per violazione del principio secondo cui competente nel caso del fallimento è il Tribunale Fallimentare nel caso di liquidazione delle indennità quali quelle rivendicate in giudizio.

8. Il motivo va disatteso, considerato che è principio generale indiscusso che alla radice di ogni impugnazione dev’essere individuato un interesse giuridicamente tutelato, identificabile nella possibilità di conseguire una concreta utilità, un risultato giuridicamente apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata e non già in un mero interesse astratto a una più corretta soluzione di una questione giuridica non avente riflessi pratici sulla soluzione adottata. L’interesse all’impugnazione, sebbene di carattere strettamente processuale, non può considerarsi avulso dalla necessità di provocare o di far mantenere una decisione attinente al riconoscimento o al disconoscimento di un bene a favore di un determinato soggetto (vedi ex plurimis, Cass. 28/4/2006 n. 9877, Cass. 19/5/2008 n. 12637).

E nella specie non appare ravvisabile alcun interesse del ricorrente, concreto ed attuale, a conseguire una pronunzia dotata di utilità suscettibile di giuridico rilievo, in relazione alla propria posizione giuridica soggettiva.

9. Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 32 C.C.N.L. terziario, degli artt. 2096, 2110, 2116 e 2119 c.c., della L. n. 604 del 1966 e la L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 2 e 3.

Ci si duole che il giudice di primo grado abbia ritenuto che il licenziamento fosse stato intimato per giusta causa, invece che per giustificato motivo, con il riconoscimento del periodo di preavviso, secondo i dettami della contrattazione collettiva di settore.

10. Al di là di ogni considerazione in ordine alle ragioni di improcedibilità che connotano il motivo per mancata produzione in forma integrale del C.C.N.L. di riferimento – desumibili dai principi affermati da questa Corte secondo cui nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per “applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. (vedi Cass. 4/3/19 n. 6255, Cass. 4/3/2015 n. 4350) – deve ritenersi che in ogni caso le ragioni di doglianza restino assorbite alla stregua delle – argomentazioni sinora esposte, perchè il motivo muove dal presupposto della esclusione di un dato (licenziamento per giusta causa) che secondo la sentenza qui impugnata, con statuizione non inficiata dalle pregresse censure, risulta invece accertato con effetto di giudicato.

11. Il quinto motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. e dell’art. 91c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta che la Corte di merito abbia applicato la richiamata disposizione di attuazione del codice di rito, nella versione di testo non applicabile ratione temporis. Si deduce, infatti, che il ricorso di primo grado era stato depositato il 16/9/2002, anteriormente alla entrata in vigore della riforma della norma, intervenuta il primo ottobre 2003, imponendo l’onere di allegare dichiarazione del reddito imponibile.

In tale prospettiva doveva ritenersi erronea la statuizione di condanna al pagamento delle spese di lite, non essendo tenuto al deposito di documentazione attestante le proprie condizioni reddituali, secondo i dettami del novellato art. 152 disp. att. c.p.c..

12. Anche questo motivo non è meritevole di accoglimento.

Va infatti considerato che la richiamata disposizione, nella versione di testo applicabile ratione temporis, prevede che il lavoratore soccombente non è assoggettato al pagamento di spese competenze ed onorari a favore degli istituti di assistenza e previdenza, a meno che la pretesa sia manifestamente infondata o temeraria.

Nello specifico deve ritenersi che il diritto azionato fosse manifestamente infondato, essendo stato il giudizio di gravame introdotto allorquando la sentenza che accertava la cessazione del rapporto di lavoro inter partes al 16/3/2001 e l’insussistenza di un diritto all’indennità di preavviso integranti i presupposti logico-giuridici delle domande oggetto di scrutinio nella presente sede – era già passata in cosa giudicata, escludendo ogni possibilità di ipotizzare la fondatezza dei diritti azionati in questa sede.

13. In definitiva, al lume delle sinora esposte considerazioni, il ricorso è respinto.

La regolazione delle spese nei confronti dell’Istituto previdenziale, inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata, non ricorrendo le condizioni di esonero previste dal citato disposto di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c..

Nessuna statuizione va emessa nei confronti della curatela del Fallimento (OMISSIS) s.p.a. che non ha svolto attività difensiva.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Inps che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

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