Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2016 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 24/01/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 24/01/2022), n.2016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5386-2020 proposto da:

I.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ASSUNTA FICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale presso la Prefettura

– Ufficio Territoriale del Governo di Crotone, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2175/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 14/11/2019 R.G.N. 5S10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/12/2021 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 2175 del 2019, ha confermato il provvedimento emesso dal Tribunale della stessa sede con il quale era stata respinta la domanda di protezione internazionale ed umanitaria, proposta dal richiedente in epigrafe indicato, cittadino del Pakistan.

2. Il richiedente aveva dichiarato di essere espatriato al fine di sottrarsi alla schiavitù cui era stato ridotto da parte del Capo Villaggio; in particolare, aveva specificato, essendo rimasto orfano in età adolescenziale, di avere iniziato a lavorare al servizio del Capo Villaggio per ripagare un ingente prestito di 1.500,00 rupie anticipato da questi al fine di potere coltivare a grano un terreno; in data 8.9.2014, un forte alluvione aveva distrutto i suoi raccolti rendendo impossibile la restituzione delle somme prestate nei tempi pattuiti e, malgrado una proroga concessa di ulteriori sei mesi per il pagamento, gli anziani del villaggio avevano deciso che esso richiedente, unico maschio di casa, sarebbe dovuto andare a lavorare per il capo del villaggio sino alla estinzione del debito contratto; iniziato il servizio, era stato ridotto in schiavitù dal suo datore di lavoro e costretto ad occuparsi della mungitura, della pulizia e del foraggio di una mandria di 35 bufali, attraverso un lavoro massacrante dall’alba al tramonto; dopo tre mesi aveva, quindi, deciso di espatriare.

3. A fondamento della decisione la Corte di merito, esclusa la necessità di effettuare una nuova audizione del richiedente e ritenuta la inattendibilità delle dichiarazioni per genericità e contraddittorietà, ha ritenuto insussistenti i presupposti per concedere lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a), b) e c), nonché la protezione umanitaria per la insufficienza del solo fattivo inserimento nel territorio italiano, per la mancanza di condizioni di vulnerabilità e per la presenza di elementi generici, dubbi od oscuri nel racconto.

4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il richiedente affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 46 comma 3 della Direttiva n. 2013/32, per non avere la Corte territoriale proceduto ad una nuova audizione di esso richiedente evidenziando, poi, in modo contraddittorio le rilevate lacune, approssimazioni ed incongruenze del narrato.

3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8-27, per avere omesso la Corte di merito di compiere una adeguata istruttoria in merito alla concreta ipotesi che esso richiedente, in caso di rimpatrio, venisse nuovamente a trovarsi nel pericolo di incorrere in un danno grave alla sua incolumità, o ancora potesse essere posto in una condizione di vulnerabilità tale da necessitare di adeguata protezione, essendo stato asservito ad una vera e propria condizione di schiavitù da parte del suo datore di lavoro in età ancora minore.

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per la mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

5. I motivi, da trattarsi congiuntamente perché interferenti, sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

6. In primo luogo, deve effettivamente rilevarsi un profilo di erroneità e di contraddittorietà dell’assunto della gravata sentenza, nella parte in cui, da un lato, è stata esclusa la necessità di procedere ad una nuova audizione del richiedente e, dall’altro, sono state evidenziati incongruenze, punti oscuri e contraddizioni nel racconto tali da inficiare il giudizio di credibilità; dalla giurisprudenza di legittimità tale ipotesi è stata ritenuta una di quelle in cui si imponeva, invece, l’audizione proprio per acquisire ogni chiarimento utile ai fini del decidere (Cass. n. 21584/2020; Cass. n. 22049/2020; Cass. n. 26124/2020; Cass. n. 18311/2021).

7. In secondo luogo, va specificato che la Corte di merito ha ritenuto la inverosimiglianza del racconto affidandosi ad una mera opinione soggettiva, quando invece è stato affermato, in sede di legittimità, con un orientamento cui si intende dare seguito, che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente deve essere il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri obiettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c)), senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (Cass. n. 2956/ 2020; Cass. n. 13257/2020).

8. In terzo luogo, deve precisarsi che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, una volta assolto da parte del richiedente asilo il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale nella quale siano presenti aspetti contraddittori che ne mettano in discussione la credibilità, in quanto è finalizzato proprio a raggiungere il necessario chiarimento su realtà e vicende che presentano una peculiare diversità rispetto a quelle di altri paesi e che, solo attraverso informazioni acquisite da fonti affidabili, riescono a dare una logica spiegazione alla narrazione del richiedente (Cass. n. 3016/2019; Cass. n. 24010/2020).

9. In quarto luogo, va osservato che il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13255/2020). Inoltre, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente asilo e, ove occorra, dei paesi in cui questi sono transitati, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale (Cass. n. 2355/2020; Cass. n. 30105/2018).

10. Nel caso in esame, come detto, la Corte ha operato una valutazione di non credibilità su considerazioni soggettive, senza procedere ad una nuova audizione e valorizzando, invece, soprattutto i profili di contraddittorietà ed illogicità del racconto.

11. I giudici di seconde cure avrebbero dovuto, invece, riscontrare con elementi oggettivi, acquisibili attraverso una adeguata istruttoria e la consultazione di fonti informative accreditate e aggiornate, proprio la esistenza di quel collegamento, che invece hanno di fatto escluso, tra la vicenda personale del richiedente e la violazione dei diritti umani conseguente al mancato pagamento dei debiti in Pakistan.

12. Invero, costituisce presupposto per il riconoscimento della protezione internazionale il pericolo di persecuzione nel paese di provenienza, consistente nella riduzione in schiavitù a seguito della situazione debitoria del richiedente, diffusa nel costume locale e tollerata dalle autorità statali, situazione che si differenzia dalla migrazione per ragioni economiche poiché, nel primo caso, l’espatrio non persegue un miglioramento economico, ma si rende necessario al fine di evitare trattamenti inumani o gravemente dannosi per la persona.

13. Ne consegue che, ove sia stato dedotto tale pericolo, il giudice deve svolgere d’ufficio gli accertamenti necessari a verificare che le leggi o i costumi del paese di provenienza siano tali da autorizzare o tollerare tale pratica (Cass. n. 17816/2020).

14. Tali accertamenti, nel caso concreto, avrebbero senza dubbio potuto rilevare, sia ai fini della valutazione sulla credibilità delle dichiarazioni, sotto il profilo della coerenza esterna del narrato, sia ai fini della fondatezza delle richieste della protezione sussidiaria.

15. Infine, anche in ordine alla istanza di protezione umanitaria, deve osservarsi che le censure sono fondate perché il mancato accertamento, da parte della Corte territoriale, della reale e concreta situazione di rischio, in caso di rimpatrio del richiedente, e la mancata considerazione degli elementi di integrazione sociale raggiunti in Italia, documentalmente dimostrati, hanno fatto sì che i giudici di seconde cure non svolgessero quella valutazione comparativa, secondo i parametri delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 24413/2021, determinante ai fini della concessione della chiesta tutela.

16. Alla stregua di quanto esposto, i motivi devono essere accolti per quanto di ragione. L’impugnata sentenza va, quindi, cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra menzionati e provvedendo, altresì, sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

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