Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20158 del 25/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/07/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 25/07/2019), n.20158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4070-2018 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI

n. 36, presso lo studio dell’avvocato CARLO MARTUCCELLI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE GENZIANA S.R.L. (già IMMOBILIARE GENZIANA DI

T.A. & C S.A.S.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GAVINANA n. 1,

presso lo studio dell’avvocato EUGENIO VILLA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PATRIZIA PANNUNZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6634/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/04/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO;

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 29.7.2006 la Immobiliare Genziana di T. & C. S.n.c. in liquidazione evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Tivoli G.M. per sentir dichiarare la sua proprietà esclusiva di un box sito all’interno di un immobile in Comune di Guidonia Montecelio, via delle Ginestre, e precisamente di quello contraddistinto dal numero 11 e l’illegittimità del possesso di detto bene realizzato dalla convenuta, nonchè la condanna di quest’ultima al rilascio dell’immobile e al pagamento della correlativa indennità di occupazione.

Si costituiva la G. resistendo alla pretesa attorea, precisando di aver ricevuto in consegna le chiavi del box di cui è causa unitamente alla sottoscrizione del relativo atto di acquisto da parte del suo dante causa e di averlo posseduto liberamente, unitamente a quest’ultimo, per oltre dieci anni dopo l’acquisto. In via riconvenzionale, spiegava domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione di detto cespite a proprio favore ex art. 1159 c.c..

Con sentenza n. 178/2010 il Tribunale rigettava la domanda principale.

Interponeva appello la società originaria attrice e si costituiva in seconde cure la G., invocando il rigetto del gravame principale e spiegando a sua volta appello incidentale in relazione alla domanda di accertamento dell’usucapione.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 6634/2017, la Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame, dichiarando la proprietà del box controverso in capo alla società Immobiliare Genziana e condannando la G. al rilascio, al pagamento dell’indennità di occupazione e alle spese del doppio grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione G.M. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso la Immobiliare Genziana S.r.l. Ambo le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello non avrebbe indagato la comune volontà delle parti al di là del tenore letterale del documento negoziale, limitandosi al semplice esame della portata letterale delle clausole contenute nel contratto di compravendita intercorso tra i paciscenti.

La doglianza è inammissibile ex artt. 360-bis c.p.c., n. 1 alla luce del consolidato principio affermato da questa Corte, secondo cui “Nei contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam, la ricerca della comune intenzione delle parti, utilizzabile ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve essere compiuta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scritto. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2216 del 05/02/2004, Rv.569915; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14444 del 22/06/2006, Rv.590561 e Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5112 del 05/03/2018, Rv.648107).

Posto che nel caso di specie si discute di una compravendita di beni immobili, assistita dalla forma vincolata ex art. 1350 c.c., correttamente la Corte romana ha dato rilievo esclusivo alle risultanze contenute nel documento traslativo della proprietà.

Con il secondo motivo il quale la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1159 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e l’apparenza della motivazione perchè la Corte di Appello non avrebbe considerato il suo possesso indisturbato del bene immobile oggetto di causa, protrattosi per oltre dieci anni dalla data del suo acquisto.

Anche questa censura è inammissibile: la Corte territoriale ha motivato sul punto, ritenendo che l’atto di compravendita (nel quale era indicato un diverso box rispetto a quello effettivamente consegnato al dante causa della ricorrente e da quest’ultimo prima, e dalla ricorrente stessa poi, detenuto) non costituisse titolo valido per il trasferimento del box di cui è causa e che, di conseguenza, la G. non potesse invocare in proprio favore il termine breve previsto dall’art. 1159 c.c.(cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata). Trattasi di valutazione non ricostruibile in termini di motivazione apparente e quindi non utilmente sindacabile in Cassazione in relazione ai limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo in vigore a seguito della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) per la deduzione del vizio motivazionale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Peraltro la decisione della Corte capitolina è, come già affermato in relazione al primo motivo di ricorso, del tutto coerente ai precedenti di questa Corte.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono regolate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della società controricorrente delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2019

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