Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20155 del 15/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2021, (ud. 26/03/2021, dep. 15/07/2021), n.20155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4622/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Consorzio Eurocoop Scarl in liquidazione in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Alessandro Riccioni

ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Properzio n. 5 giusta

procura speciale depositata unitamente alla comparsa di costituzione

di nuovo difensore.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 4384/38/14 depositata il 30.6.2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.3.2021 dal

Consigliere Rosaria Maria Castorina.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate notificava al Consorzio Eurocoop soc. coop a r.l. tre avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2007, 2008 e 2009 ai fini IVA, IRES ed IRAP, emessi sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. della G.d.F., da cui era emerso che la società contribuente aveva emesso in atto un “meccanismo fraudolento” diretto alla creazione di costi fittizi e crediti IVA inesistenti, realizzato attraverso l’interposizione fittizia, nei servizi di pulizia e facchinaggio resi a favore di propri clienti, mediante l’impiego di soci lavoratori delle società partecipanti al consorzio.

La CTP di Roma accoglieva il ricorso.

La CTR del Lazio, con la sentenza 4384/38/2014 depositata il 30.6.2014 rigettava l’appello dell’ufficio finanziario sul presupposto che, non essendo stata esercitata l’azione penale, a seguito della modifica della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, era venuto meno l’ostacolo alla deducibilità dei costi oggetto di accertamento e sulla cui base era stata operata la ricostruzione induttiva del reddito.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione, affidando il suo mezzo a tre motivi.

La contribuente resiste con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere formato con trascrizioni compilative degli atti di causa precedenti, senza una sintesi dei contenuti. Nel caso in esame, la materiale integrazione del ricorso per cassazione con atti processuali delle fasi di merito non determina il paventato vizio, in quanto i documenti integralmente riprodotti, risultano facilmente individuabili ed isolabili, il che consente di enucleare, con sufficiente chiarezza, i fatti salienti della vicenda processuale, e le ragioni dell’impugnazione (Cass. n. 13334 del 2019; Cass. n. 2913 del 2019; Cass. n. 20112 del 2018, Cass. n. 18363 del 2015, Cass. n. 1957 del 2004).

2. Con il primo motivo l’ufficio deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta che la CTR aveva omesso di pronunciare in ordine al motivo di appello dell’ufficio volto alla conferma del rilievo Iva contenuto nei tre avvisi di accertamento impugnati.

La censura è fondata.

L’appello dell’ufficio, riprodotto in ossequio al principio di t autosufficienza, aveva censurato la sentenza di primo grado, riproducendo la contestazione dell’avviso di accertamento sia con riferimento all’iva che alle imposte dirette, contestando l’indetraibilità dell’Iva in ordine alle fatture fittizie emesse dalle società cooperative e pertanto riferite a operazioni inesistenti.

La sentenza impugnata ha omesso, totalmente, la motivazione sul punto.

3. Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per carenza di motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta che La CTR aveva dato per scontato, senza motivare, che ai fini delle imposte dirette vi era stato un accertamento con modalità analitica nel cui ambito erano stati disconosciuti alcuni costi, che tali costi si riferivano ad operazioni inesistenti sotto il profilo soggettivo e che nella specie operava il disposto della L. n. 537 del 1993, art. 14, non essendo i beni acquisiti destinati a finalità illecita, con esclusione della indeducibilità.

La censura è inammissibile.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Le censure motivazionali non conferiscono, dunque, al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742 del 2015).

Nella specie la sentenza impugnata si sottrae alla censura.

3. Con il terzo motivo deduce la nullità per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e art. 35, comma 3, e dell’art. 112 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta che la CTR, una volta ritenuta la indeducibilità dei costi relativi alle fatture emesse dalle cooperative non avrebbe dovuto annullare l’avviso ma rideterminare il reddito ripreso a tassazione.

La censura è fondata.

Il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, posto a base della decisione della CTR prevede che “ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi”, applicandosi in tal caso solo una sanzione amministrativa. Tenuto conto del disposto del comma 3 – per il quale le disposizioni di cui al citato comma 1, “si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore” dello stesso comma 1, “ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi” – appare evidente che le innovazioni sopra richiamate hanno portata retroattiva e, ove rilevanti, sono applicabili anche d’ufficio (cfr. Cass. n. 7896 del 20/04/2016; Cass. n. 22430 del 19/12/2014 e la giurisprudenza ivi richiamata).

Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 16 del 2012, che la nuova normativa comporta che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati – di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento) – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Pertanto, in tema di imposte sui redditi, a norma della L. n. 37 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta con il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti (non utilizzati direttamente per commettere il reato), anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del T.U. delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 10167 del 20/06/2012; Cass. n. 24426 del 30/10/2013; Cass. n. 26461 del 17/12/2014; Cass. n. 25249 del 07/12/2016).

Con riguardo, invece, alle operazioni oggettivamente inesistenti grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, ove direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass. n. 7896 del 2016, cit.; Cass. n. 22430 del 2014, cit.; Cass. n. 25967 del 20/11/2013; Cass.20831 del 30.9.2020).

In definitiva, che si tratti di operazioni soggettivamente inesistenti ovvero di operazioni oggettivamente inesistenti, la CTR, qualificate le operazioni poste in essere dalla cooperativa resistente, avrebbe dovuto considerare l’incidenza dei costi aventi le caratteristiche previste dalla legge ai fini della rettifica del reddito e rideterminare il reddito ripreso a tassazione.

A tanto provvederà il giudice di rinvio.

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie i motivi uno e tre del ricorso, inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

 

 

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