Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20153 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/09/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 24/09/2020), n.20153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25076-2014 proposto da:

ITALBET S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo

studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCO DI TEODORO;

– ricorrente –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. società di cartolarizzazione

dei crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati ESTER ADA SCIPLINO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati LELIO MARITATO, CARLA

D’ALOISIO e ANTONINO SGROI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 279/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 27/03/2013, R.G.N. 379/2013.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. il Tribunale di Teramo accoglieva l’opposizione proposta dalla società Italbet s.r.l. avverso l’iscrizione a ruolo dei contributi di cui alla cartella di pagamento n. (OMISSIS), notificata il 30.9.2008, relativa a pretesa contributiva di Euro 301.546,40, traente origine da verbale di accertamento del (OMISSIS), con il quale i contratti a progetto intercorsi tra la società e dodici collaboratori erano stati ritenuti dagli ispettori INPS fittizi, con conseguente assoggettamento della prima a contribuzione e sanzioni;

2. la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 29.4.2014, accoglieva il gravame dell’Istituto ed, in riforma della sentenza impugnata, respingeva l’opposizione proposta dalla società appellata avverso la cartella di pagamento, osservando che tutti i progetti riportavano al punto 3 lo stesso oggetto, riferito a “conduzione del sistema ippico e sportivo in piena autonomia di quote ed ottimizzazione delle pubbliche relazioni con la clientela” con indicazione, tra le attività, della predisposizione e studio di tutte le quote, ippiche e sportive da inserire nei palinsesti, del monitoraggio continuo di tutte le operazioni di giuoco …”, senza riferirsi a situazioni particolari e teleologicamente individuate, ma indicando attività connesse ad una necessità strutturale dell’azienda o per indefinite o modificabili esigenze aziendali;

3. osservava che era di tutta evidenza che il “progetto” individuato nei contratti in questione coincidesse con l’oggetto sociale della Italbet s.r.l. che gestiva agenzia di scommesse, come tale inidoneo a configurare quel progetto o programma richiesto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 62, non presentando un’ autonomia rispetto al generico interesse produttivo dell’azienda; riteneva che la fattispecie era presidiata, quanto a disciplina sanzionatoria, dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, con conseguente affermazione dell’obbligo contributivo a carico della società appellata;

4. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste l’INPS, con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. la s.r.l. Italbet denunzia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, degli artt. 2094 e 2697 c.c., adducendo che la sentenza della Corte d’appello sia errata in quanto ha interpretato D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, non tenendo conto del testo vigente ratione temporis, ma interpretandolo come se fosse già stato modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, che impone una interpretazione più restrittiva; ritiene che il fatto che si trattasse dello stesso progetto per tutti i lavoratori non poteva indurre la Corte d’appello a ritenere integrata la presunzione di subordinazione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69;

2. la ricorrente trascrive le deposizioni rese da alcuni testi escussi in primo grado che conforterebbero, secondo la tesi ricostruttiva patrocinata, una sostanziale e genuina natura autonoma dei rapporti e la mancanza di eterodirezione;

3. il ricorso è da disattendere;

4. Il vecchio testo dell’art. 1 prevedeva che: 1. Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c., n. 3, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa;

5. la modifica normativa apportata dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23 è nei seguenti termini: Al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’art. 61, comma 1, è sostituito dal seguente: “1. Ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c., n. 3), devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”; b) l’art. 62, comma 1, lett. b), è sostituita dalla seguente: “b) descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire”;

6. l’Inps sostiene che non abbia costituito oggetto di impugnazione il capo della sentenza in cui la Corte territoriale ha ritenuto applicabile ai pretesi rapporti a progetto tra la società ed i prestatori indicati nel verbale di accertamento la sanzione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1; osserva che le altre critiche si sostanzino in una rivisitazione del merito;

7. pur se la censura non ha a specifico oggetto l’applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, la doglianza, per come prospettata, deve necessariamente ritenersi riferita anche alla illegittimità della sanzione connessa alla ricostruzione operata dalla Corte del merito;

8. tuttavia, anche ove intesa in tali più estensivi termini, la critica non è condivisibile in relazione alla ricostruzione in fatto operata dalla Corte del merito, rispetto alla quale la disciplina normativa vigente ratione temporis è stata correttamente applicata dal giudice del gravame, in modo conforme a legge ed alla giurisprudenza di legittimità, risolvendosi piuttosto il motivo, per come si deduce dalla sua articolazione argomentativa, in una richiesta di riesame del merito;

9. questa Corte ha evidenziato come la nozione di “specifico progetto”, di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, quale deriva dalla esegesi normativa, deve ritenersi consistere – tenuto conto delle precisazioni introdotte nella L. n. 92 del 2012, art. 61 cit., – in un’attività produttiva chiaramente descritta ed identificata e funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato finale, cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore” (cfr. Cass. 16.10.2017 n. 24379; Cass. 25.2.2019 n. 5418, tra le altre);

10. la critica della ricorrente si articola in censure che, peraltro, non scalfiscono in maniera esaustiva e puntuale l’impianto argomentativo della decisione impugnata, essendo omessa la trascrizione del contenuto dei progetti e non indicandosene la sede di rinvenimento nei fascicoli depositati nel giudizio merito, ciò che preclude la verifica di corrispondenza del singolo contratto al modello legale di cui all’art. 61 (abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 52, di attuazione del c.d. Jobs Act) – in base al quale, come già detto, per la configurazione della fattispecie, oltre alla presenza di tutti i caratteri della già nota figura delle collaborazioni continuative e coordinate, è necessaria, la riconducibilità dell’attività “a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa” – ed ai requisiti di forma di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 62;

11. si contravviene in tal modo ai consolidati principi di specificità e autosufficienza, che impongono di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dei documenti stessi, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali ed assolvendo, così, il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. SU 11/4/2012, n. 5698; Cass. SU 3/11/2011, n. 22726);

12. alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso va complessivamente respinto;

13. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;

14. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del citato D.P.R. art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

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