Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20152 del 15/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 15/07/2021), n.20152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCITO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto.al numero 4171 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

Mastrofini s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del

ricorso, dalìAvv.to Graziano Brugnoli, elettivamente domiciliato

presso lo studio del difensore in Roma, Via Giovanni Paisiello n.

15;

– ricorrente –

contro

ADER Agenzia delle Entrate Riscossione, in persona del Presidente pro

tempore – già Equitalia s.p.a. – rappresentata e difesa

dall’avvocatura generale dello Stato, domiciliata presso i suoi

uffici in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio n. 4570/14/14, depositata in data 8 luglio 2014,

non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24 febbraio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 4570/14/14, depositata in data 8 luglio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, accoglieva l’appello proposto da Equitalia Sud s.p.a., nei confronti di Mastrofini s.r.l. e dell’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza n. 321/36/13 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’intimazione di pagamento n. (OMISSIS) e la presupposta cartella esattoriale n. (OMISSIS) emessa ai fini Irpeg, Irap e Iva, per l’anno 2000;

– in punto di fatto, dalla sentenza impugnata si evince che: 1) avverso la intimazione di pagamento n. (OMISSIS) e la presupposta cartella di pagamento, n. (OMISSIS) emessa ai fini Irpeg, Irap e Iva, per l’anno 2000, Mastrofini s.r.l. aveva proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma che, con sentenza n. 321/36/13, l’aveva accolto rilevando l’irregolarità della notifica della cartella effettuata, ai sensi dell’art. 143 c.p.c. (irreperibilità assoluta) invece che ai sensi dell’art. 140 c.p.c. (irreperibilità relativa); 2) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello Equitalia Sud s.p.a., eccependo la regolarità della notifica della cartella di pagamento, effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c., trattandosi di irreperibilità assoluta in quanto la società non era risultata effettivamente esistente nella sede legale dichiarata di (OMISSIS); 3) la società contribuente aveva controdedotto, ribadendo la necessità della notifica della cartella ai sensi dell’art. 140 c.p.c., essendo la sede legale effettivamente a (OMISSIS), denunciando l’elevato tasso degli interessi di mora e l’importo dei compensi di riscossione, e chiedendo, in ogni caso, la conferma della sentenza della CTP;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:

1) legittima era la notifica della cartella di pagamento effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c., essendosi trattato di una fattispecie di irreperibilità assoluta poiché l’impresa, al momento della notifica, non era risultata effettivamente esistente all’indirizzo della sua sede legale;

2) le doglianze della contribuente sul conteggio degli interessi di mora e dei compensi di riscossione non erano risultate documentate;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso, Equitalia Sud s.p.a. e con “atto di costituzione” l’Agenzia delle entrate;

– l’Agenzia delle entrate e la Ader s.p.a., già Equitalia s.p.a., hanno depositato memoria ex art. 380bis1 c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 140 e 148 c.p.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, per avere la CTR ritenuto erroneamente legittima la notifica della cartella effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. (irreperibilità assoluta) ancorché, nella specie, essendo la sede sociale della contribuente effettivamente in (OMISSIS) e non essendovi alcuna prova della inesistenza a tale indirizzo della sede sociale, la notifica della cartella avrebbe dovuto essere eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., con l’invio dell’avviso raccomandato;

– il motivo è inammissibile;

– in primo luogo, la ricorrente ha omesso, in difetto del principio di autosufficienza, di trascrivere in ricorso la relata di notifica della cartella, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza in base alla sola lettura del ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31038 del 30/11/2018; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5185 del 28/02/2017);

– inoltre, va osservato che sul tema, costituisce ius receptum di questa Corte (Cass. sez. V, n. 7523/16; n. 19152/16) il principio per cui “la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 c.p.c., quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perché questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui al citato art. 60, lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perché risulta trasferito in luogo sconosciuto, accertamento, questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel comune dov’e’ situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune” (conf. Cass. n. 25436 del 2015, Cass. n. 23332 del 2015, Cass. n. 24260 del 2014, Cass. n. 14030 del 2011, Cass. n. 20425 del 2007, Cass. n. 7268 del 2002), con la precisazione che non sono necessarie nuove ed ulteriori ricerche, essendo sufficiente che “il messo notificatore non reperisca il contribuente perché sconosciuto all’indirizzo indicato” (Cass. sez. V, n. 23588 del 2015; conf. Cass. n. 25272 del 2014, Cass. n. 17064 del 2006, Cass. n. 906 del 2002, Cass. n. 8071 del 1995). Più in generale (v. Cass. sez. V, n. 8630/15) è stato ribadito: a) che “la disciplina delle notificazioni degli alti tributari si fonda sui criterio del domicilio fiscale e sull’onere preventivo del contribuente di indicare all’Ufficio tributario il proprio domicilio fiscale e di tenere detto ufficio costantemente informato delle eventuali variazioni; il mancato adempimento, originario o successivo, di tale onere di comunicazione legittima l’Ufficio procedente ad eseguire le notifiche comunque nel domicilio fiscale per ultimo noto, eventualmente nella forma semplificata di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e)” (Cass. n. 1206 del 2011, Cass. n. 25272 del 2014); b) che “e’ legittima l’effettuazione della notificazione degli atti tributari, da parte del messo notificatore, ai sensi del D.P.R n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), nel caso in cui i mutamenti anagrafici siano intervenuti successivamente alla notifica medesima, in quanto l’ignoranza del nuovo indirizzo del contribuente non può addebitarsi all’amministrazione notificante, alla quale non può essere richiesta un’opera di investigazione che vada oltre quanto risultante dai registri pubblici (nella specie, i registri anagrafici comunali), avendo, peraltro, il legislatore posto a carico del contribuente l’onere di provvedere tempestivamente alle predette variazioni (Cass., n. 15919 del 2011, Cass. n. 1440 del 2013); c) che “il modello di notificazione in questione è già stato reputato in linea con un’interpretazione costituzionalmente orientata, in base alle considerazioni espresse dalla Corte (con sentenza 3 aprile 2006, n. 7773), secondo cui la notificazione dell’avviso di accertamento in base all’art. 60, lett. e), s’innesta nell’ambito di un preesistente rapporto con il fisco, che presuppone il compimento da parte del contribuente di atti idonei a mettere in moto il meccanismo impositivo, e non costituisce quindi un fatto imprevedibile per il destinatario, a carico del quale è posto, proprio per tale motivo, l’onere di eleggere domicilio nel luogo del proprio domicilio fiscale, ed in ogni caso di comunicare le variazioni;

l’assolvimento di un tale onere, che si deve ritenere esteso all’indicazione di un indirizzo utile a consentire la notificazione, non risulta così gravoso da incidere sulle garanzie del contribuente, né si tradisce in un ingiustificato privilegio per il fisco, essendo la norma conformata alla specificità del complessivo rapporto impositivo, nonché strumentale alle esigenze funzionali ed operative dell’amministrazione finanziaria, rispondenti all’interesse generale” (Cass. sez. V. n. 6661 del 2014). Quanto al criterio discretivo per attivare il procedimento notificatorio previsto per l’irreperibilità cd. “assoluta”, ovvero per quella ed. “relativa”, si rammenta che questa Corte ha ravvisato la prima ipotesi nel caso di “mero contrasto tra la risultanza anagrafica e l’accertamento compiuto in loco dall’Ufficiale giudiziario” (Cass. sez. V, 5122/16; cfr. Cass. n. 8676/15, che ha ritenuto necessaria la notifica ex art. 60 cit., lett. e), in una fattispecie in cui l’avviso di ricevimento della lettera raccomandata inviata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., era stato restituito al messo notificatore con l’indicazione “sconosciuto”). Occorre altresì richiamare il consolidato orientamento di questa Corte per cui, in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., “la relata di notificazione fa fede, fino a querela di falso, circa le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente e limitatamente ai soli elementi positivi di essa, mentre non sono assistite da pubblica fede le attestazioni negative, come l’ignoranza circa la nuova residenza del destinatario della notificazione” (Cass., sez. I, n. 20971 del 2012; sez. III, n. 6462 del 2007); pertanto, “nel caso in cui l’ufficiale giudiziario attesti di non avere rinvenuto il destinatario della notifica nel luogo indicato dalla parte richiedente, perché, secondo quanto appreso dai vicini, trasferitosi altrove, l’attestazione del mancato rinvenimento del destinatario ed il contenuto estrinseco della notizia appresa sono assistite da fede fino a querela di falso, attenendo a circostanze frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale. Invece, il contenuto intrinseco della notizia appresa dai vicini, in quanto terzi rispetto alle parti dell’atto da notificare, è assistito da presunzione iuris tantum, che, in assenza di prova contraria, non consente al giudice di disconoscere la regolarità dell’attività di notificazione” (Cass., sez. II, n. 25860 del 2008), incombendo a chi ne contesta la veridicità fornire adeguata prova del contrario (cfr. Cass. n. 19021 del 2013, Cass. n. 3906 del 2012, Cass. n. 8306 del 2011, Cass. n. 322 del 2007, Cass. n. 6953 del 2006, Cass. n. 4844 del 1993, in tema di notificazione ex art. 140 c.p.c., e con riguardo al rapporto di parentela tra destinatario e consegnatario dell’atto);

– la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 258/2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, nella parte in cui stabilisce che, anche nei casi di irreperibilità relativa, la notificazione si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett e), dovendo invece in tali casi applicarsi le disposizioni dell’art. 140 c.p.c., che prescrive le seguenti attività dell’ufficiale a) il deposito dell’atto nel Comune; b) l’affissione dell’avviso di deposito in busta chiusa e sigillata, alla porta dell’abitazione, ufficio o azienda del destinatario; c) la comunicazione, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, dell’avvenuto deposito dell’atto; d) il ricevimento della lettera raccomandata informativa, o comunque il decorso del termine di dieci gg. dalla data di spedizione della raccomandata informativa (sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010);

– illustrato il quadro normativo di cui sopra, nella specie, il motivo, pur prospettando una violazione degli artt. 140 e 148 c.p.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, in realtà tende inammissibilmente ad una rivisitazione di una questione di merito, avendo la CTR, con un accertamento in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, rilevato che dalla retata di notifica della cartella si evinceva la inesistenza della impresa sociale presso l’indirizzo della sua sede legale, e, dunque, che trattavasi di una fattispecie di irreperibilità assoluta, con conseguente legittimità della notifica effettuata, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., cui corrisponde, in ambito tributario, la disciplina di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la CTR, in assenza di motivazione, apoditticamente affermato che l’impresa, al momento della notifica, non risultava effettivamente esistente all’indirizzo della sua sede legale, senza valutare fatti oggettivi storici già dedotti in primo grado (visura storica camerale e assenza di ricerche anagrafiche);

– in disparte il profilo di inammissibilità per avere la ricorrente richiamato in rubrica l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in luogo del medesimo art., n. 4, denunciandosi, in sostanza, una nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, il motivo è privo di pregio, in quanto, la CTR nell’affermare che “l’impresa al momento della notifica non risultava effettivamente esistente all’indirizzo della sua sede legale, trattandosi, pertanto di una fattispecie di irreperibilità assoluta” ha chiaramente disvelato la ratio decidendi e l’iter logico- giuridico posto a fondamento della decisione di rilevata legittimità della notifica della cartella eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. (cui corrisponde, in ambito tributario, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e));

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, per avere la CTR confermato il calcolo degli interessi di mora di cui alla intimazione di pagamento, ancorché la concessionaria avesse fatto riferimento per la determinazione degli stessi a un D.M. Finanze del 2000, nella specie, non applicabile, il cui tasso risultava usuraio, con conseguente necessaria rideterminazione di questi ultimi nella misura corrispondente al saggio legale;

– il motivo è inammissibile, non avendo la contribuente assolto, in punto di autosufficienza, all’onere di riportare in ricorso, nelle parti rilevanti, il contenuto degli atti difensivi dei gradi di merito in ordine all’eccepito illegittimo calcolo degli interessi di mora in base ad un assunto D.M. del 2000, onde consentire a questa Corte verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006 e Cass. n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015);

– peraltro, in base all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il “decisum” della sentenza gravata (così ad es. sez. 5 n. 17125 del 2007 e sez. 1 n. 4036 del 2011). In altri termini, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento ai ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi della citata disposizione (così Cass., sez. 5, n. 21296 del 2016; Sez. 6 – 5, n. 187 del 08/01/2014; Sez. 5, n. 17125 del 03/08/2007; sez. 3, n. 359 del 2005 e altre); nella specie, il motivo in questione non menziona alcun passaggio della sentenza impugnata e non aggredisce specificamente quanto affermato in merito agli interessi di mora dal giudice di appello (“le doglianze della contribuente sul conteggio degli interessi di mora e dei compensi di riscossione non risultano documentate”);

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, tenendo anche presente l’attività difensiva svolta dall’Agenzia delle entrate mediante deposito di memoria ex art. 380bis.1. c.p.c..

P.Q.M.

la Corte:

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore di Ader s.p.a., già Equitalia s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessive Euro 7.000,00, oltre alle spese generali a 15% e agli accessori di legge nonché al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessive Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito; Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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