Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20151 del 18/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 18/08/2017, (ud. 06/04/2017, dep.18/08/2017),  n. 20151

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18248/2015 proposto da:

C.O.N.M., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

SILVESTRI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE FERRARA

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M.;

– intimata –

nonchè da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, V. MICHELE MERCATI

17/A, presso lo studio dell’avvocato MARIA FRANCESCA QUATTRONE, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SANTI MAURIZIO

SPINA giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

C.O.N.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1324/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata in data 8/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha

concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale e del ricorso

incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.O.N.M. ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi e illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 1324/2015 che, rigettando sia l’appello principale, proposto dalla C., sia l’appello incidentale, proposto da G.M., ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 22 giugno 2012 che, accogliendo la domanda di restituzione di un appartamento, di un box e di un locale seminterrato siti in Milano, proposta dalla G. nei confronti della nuora C., sull’assunto che il comodato stipulato a favore del figlio, R.M., fosse cessato per la morte di quest’ultimo, aveva accertato l’avvenuta risoluzione dei contratto di comodato relativo ai predetti immobili e condannato la convenuta al rilascio immediato degli stessi.

G.M. ha resistito con controricorso contenente pure ricorso incidentale, basato su un unico motivo e illustrato da memoria.

Il P.M. ha depositato le sue conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Va anzitutto osservato che, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, sicchè va disattesa l’istanza al riguardo proposta dal difensore della G. che, nella memoria, ha rappresentato l’intervenuto decesso, in data 2 settembre 2015, della sua assistita (Cass. 29/01/2016, n. 1757; Cass. 31/10/2011, n. 22624).

3. Ricorso principale.

4. Con il primo motivo si lamenta “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1809 e 1810 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Sostiene la ricorrente di aver vissuto nell’immobile in parola con il Ragni anche in regime di famiglia di fatto e, quindi, prima del matrimonio sicchè la destinazione ad uso di abitazione familiare del bene sarebbe desumibile ab origine, e la prova al riguardo sarebbe stata raggiunta con le prime risultanze. Inoltre la G., donando pro quota la nuda proprietà dell’immobile in questione al figlio e concedendo successivamente allo stesso l’uso gratuito del predetto bene sine die, anche dopo il matrimonio con la C., avrebbe di fatto riconosciuto tacitamente la destinazione a casa coniugale impressa dai coniugi a tale immobile, sicchè il termine finale risulterebbe implicitamente previsto, nè la G. avrebbe mai manifestato espressamente di aver concesso l’immobile in questione in modo precario ma, al contrario, avrebbe riconosciuto lo stesso quale centro di aggregazione della famiglia R. – C..

Ad avviso della ricorrente principale, mancherebbe, invece, la prova della circostanza che a suo tempo sarebbe stato concluso con la G. e il figlio un contratto di comodato con durata sino alla morte del predetto.

La ricorrente, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito, sostiene di aver assolto l’onere probatorio a suo carico.

Secondo la C., stante la destinazione dell’immobile a casa familiare, il comodante può riprendersi il bene in caso di bisogno sopravvenuto ed urgente, da provare, senza che rilevino bisogni non attuali nè concreti o solo astrattamente ipotizzabili, mentre le ragioni poste dalla G. (che godrebbe di una propria pensione, della propria abitazione e di numerosi immobili di proprietà) a fondamento della sua domanda atterrebbero ad interessi economici in assenza di comprovate esigenze.

4.1. Il motivo risulta inammissibile nella parte in cui la ricorrente principale invoca un nuovo accertamento in fatto in contrasto con quello già operato dalla Corte di merito, secondo la quale non è stata acquisita prova della circostanza che la comodante avesse avuto la volontà di destinare il bene posto a disposizione del figlio a casa familiare di quest’ultimo e dell’odierna ricorrente.

4.2. Risulta, invece, infondato il motivo nella parte in cui la C. lamenta la violazione di legge, assumendo che, nonostante il matrimonio tra lei e il R. fosse sopravvenuto alla iniziale stipulazione del comodato, la circostanza che il diritto di godimento fosse stato accordato alla coppia anche dopo la formalizzazione del loro vincolo avrebbe dovuto far presumere che la comodante avesse inteso riconoscere, tacitamente, ed in itinere, la destinazione dell’immobile a casa familiare.

La tesi propugnata dalla ricorrente su quest’ultimo punto non è, infatti, condivisibile, atteso che, per un verso, la volontà di assoggettare il bene a vincoli d’uso particolarmente gravosi, quali la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta ma va positivamente provata e accertata, dovendo, in mancanza, essere adottata la soluzione più favorevole alla sua cessazione (Cass., 21/11/2014, n. 24838) e, per altro verso, nell’ipotesi in cui il vincolo matrimoniale del comodatario sopravvenga, occorre che sia dimostrato come il proprietario abbia inteso, in virtù di scelta sopravvenuta, trasformare la natura del comodato, rispetto alla sua precedente finalità, ancorando la destinazione del bene alle esigenze del gruppo familiare neocostituito (Cass., sez. un., 29/09/2014, n. 20448).

Non, può, pertanto condividersi la tesi del ricorrente, secondo cui la tolleranza del godimento dei beni in questione non più con riferimento al solo figlio R.M. ma alla coppia familiare possa far presumere la trasformazione dei caratteri del rapporto e la sua riconduzione alla fattispecie prevista dall’art. 1810 c.c., comma 2.

5. Con il secondo motivo, deducendo “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, la ricorrente si duole esclusivamente della valutazione delle prove operata dai giudice del merito.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Ed invero, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nel caso di specie ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass., sez. un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 9/07/2015, n. 14324).

6. Appello incidentale.

7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,342,343 e 434 c.p.c.”, la G. deduce di aver richiesto, tra l’altro, nell’atto introduttivo del giudizio anche la condanna della C. al pagamento dell’indennità di occupazione degli immobili in questione dal decesso del R. (27 ottobre 2008) sino all’effettivo rilascio, nella misura da determinarsi con separato giudizio, e sostiene che il Tribunale di Milano, pur ritenendo, in motivazione, fondata tale domanda – in relazione al periodo compreso tra il 19 novembre 2008 e l’effettiva riconsegna degli immobili – ed ivi affermando che l’entità del danno sarebbe stata “oggetto di delibazione in separato procedimento”, avrebbe, tuttavia, omesso di provvedere su tale domanda in dispositivo. La ricorrente rappresenta, inoltre, di aver, al riguardo, proposto appello incidentale e si duole che esso sia stato ritenuto inammissibile e rigettato dalla Corte di merito, in difetto di una specifica ed analitica censura alla sentenza prospettata come una dimenticanza.

Tale decisione, ad avviso della ricorrente incidentale, sarebbe illegittima ed infondata, sostenendo la G. che la specificità dei motivi va valutata in correlazione al tenore della motivazione della sentenza impugnata; nella specie, a fronte di una articolata prospettazione delle ragioni del gravame incidentale, la Corte di appello avrebbe trascurato il dato oggettivo della difformità esistente tra la domanda della G. in ordine all’indennità di occupazione e quanto dal Tribunale non pronunciato e non avrebbe considerato nel contempo la valenza giuridica delle argomentazioni rassegnate nel “corpo dell’appello incidentale”.

7.1. Il motivo è fondato, risultando la censura proposta dalla G., con l’appello incidentale, sufficientemente specifica, in considerazione della motivazione della sentenza di primo grado in relazione alla censura avverso la stessa proposta.

8. Alla luce delle argomentazioni che precedono, in conclusione, il ricorso principale va rigettato, il ricorso incidentale va accolto e la sentenza impugnata va, in relazione, cassata.

9. La causa si presta ad essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va, alla luce di quanto sopra evidenziato, in accoglimento dell’appello incidentale, dichiarato il diritto della controricorrente ricorrente incidentale al risarcimento del danno per illegittima occupazione degli immobili di cui si discute in causa a far data dal 19 novembre 2008 (data della ricezione, da parte della C. della comunicazione avente ad oggetto la risoluzione del contratto e la richiesta di rilascio, v. sentenza di primo grado e conclusioni dell’appellante incidentale riportate pure a p. 5 della sentenza impugnata in questa sede) fino all’effettiva riconsegna degli stessi, danno la cui entità sarà determinata in separato giudizio.

10. Va confermata la liquidazione delle spese del giudizio di appello già operata dalla Corte di merito, come indicato in dispositivo.

11. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte, pronunciando sui ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e cassa in relazione la sentenza impugnata; decidendo nel merito, in accoglimento dell’appello incidentale, dichiara il diritto della controricorrente ricorrente incidentale al risarcimento del danno per illegittima occupazione degli immobili di cui si discute in causa a far data dal 19 novembre 2008 fino all’effettiva riconsegna degli stessi, danno la cui entità sarà determinata in separato giudizio; condanna C.O.N.M. al pagamento, in favore di G.M., delle spese del giudizio di secondo grado che liquida in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge; condanna la ricorrente principale alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente ricorrente incidentale, in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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