Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20150 del 18/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 18/08/2017, (ud. 06/04/2017, dep.18/08/2017),  n. 20150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7751/2015 proposto da:

V.M., D.C.C., D.C.A.,

R.G., B.C., elettivamente domiciliati in ROMA, V. ALCAMO

10, presso lo studio dell’avvocato OLGA DIAMANTI, rappresentati e

difesi dall’avvocato GRAZIANO CICCARELLI giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.V., VA.EN., VA.AL.MA., quali

cessionari del credito vantato da PARCO S. ANDREA SRL in

liquidazione, in persona del suo liquidatore Dott. VA.EN.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo

studio dell’avvocato CURZIO CICALA, rappresentati e difesi

dall’avvocato MAURO GADALETA giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1462/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 23/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

6/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2004 Parco S. Andrea S.r.l. in liquidazione convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani, V.M., D.C.M., D.C.A., R.G. e B.C., chiedendone la condanna, in solido, al pagamento della somma complessiva di Euro 273.083,49 a titolo di mancato pagamento di pigioni scadute, attrezzature cedute e spese anticipate, nonchè al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese e competenze di causa.

Dedusse la predetta società che: 1) quale titolare di un complesso edilizio sito in (OMISSIS), e destinato ad attività di ristorazione con sala ricevimenti, con scrittura privata del 13 marzo 2001, aveva ceduto in affitto l’azienda alla società La Rose S.r.l.; 2) era stato pattuito l’utilizzo della struttura per le attività indicate in contratto, la durata del rapporto e il canone mensile; 3) erano state regolamentate le modalità di pagamento e di recesso anticipato dal contratto nonchè le garanzie; 4) tra le garanzie era prevista una fideiussione da parte dei convenuti; 5) tale contratto era stato riportato nella scrittura privata del 25 maggio 2001, autenticata nelle sottoscrizioni dinanzi al notaio L. di (OMISSIS); 6) la locataria aveva omesso il pagamento della cauzione, dei canoni scaduti, delle attrezzature cedute, delle spese anticipate e non aveva acceso la polizza assicurativa; 7) con ordinanza del 30 aprile 2002, il Tribunale aveva concesso nei confronti dei fideiussori e della società debitrice il sequestro giudiziario e conservativo; 8) era stato promosso giudizio arbitrale, all’esito del quale era stata dichiarata l’invalidità della clausola compromissoria; 9) nelle more l’attrice aveva ottenuto la restituzione del complesso aziendale e la società La Rose era stata dichiarata fallita.

Si costituirono i fideiussori e chiesero il rigetto della domanda, sostenendo che la scrittura autenticata del 25 maggio 2001 aveva modificato, novandolo, il contratto stipulato il 13 marzo 2001; che nel nuovo contratto non era stata prevista alcuna fideiussione; eccepirono pertanto la carenza di legittimazione passiva e, inoltre, la nullità della fideiussione per violazione dell’art. 1938 c.c., la violazione dell’art. 1956 c.c. e contestarono, infine, l’entità del credito.

L’attrice contenne la domanda nei limiti di Euro 251.385.44 e rinunciò ad alcuni capi dell’atto di citazione.

Con sentenza n. 117/09, depositata il 2 febbraio 2009, il Tribunale di Trani accolse la domanda e condannò i convenuti, in solido, al pagamento della somma di Euro 251.385,44, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nonchè al pagamento delle spese e competenze di causa.

Avverso tale sentenza proposero appello V.M., D.C.C., D.C.A., R.G. e B.G..

Resistettero al gravame P.V., Va.Al.Ma. e Va.En., quali cessionari della Parco S. Andrea S.r.l. in liquidazione, i quali proposero, a loro volta, appello incidentale, chiedendo la condanna degli appellanti al pagamento delle maggiori spese della fase cautelare e di attuazione delle misure cautelari autorizzate ante causam.

La Corte di appello di Bari, con sentenza del 23 settembre 2014, rigettò l’appello principale, accolse l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata, condannò gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento, in favore degli appellati, delle spese della fase cautelare e di attuazione delle misure cautelari autorizzate ante causam, che liquidò in complessivi Euro 4.600,00, oltre rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%, IVA e CAP come per legge; confermò nel resto la sentenza impugnata e condannò gli appellanti, in solido tra loro, alle spese di quel grado di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte di merito V.M., D.C.C., D.C.A., R.A. e B.A. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di otto motivi.

P.A., Va.Al.Ma. e Va.Al.Ma. hanno resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., in ordine alla ritenuta infondatezza, da parte della Corte di merito, dell’eccezione di carenza di legittimazione di P.V., Va.Al.Ma. e Va.En., quali cessionari della Parco S. Andrea S.r.l., sul rilievo dell’irrilevanza della mancata notifica della cessione agli attuali ricorrenti. Questi ultimi sostengono che detta cessione non sarebbe stata loro mai “comunicata” e di aver appreso della stessa solo con la proposizione dell’atto di appello e in difetto di qualsiasi prova in ordine all’atto di cessione.

2.1. Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di legittimità la natura consensuale del contratto comporta che il credito si trasferisce dal patrimonio del cedente a quello del cessionario per effetto dell’accordo, mentre l’efficacia e la legittimazione del cessionario a pretendere la prestazione dal debitore (in quanto alla semplice conoscenza della cessione da parte di costui si ricollega l’unica conseguenza della non liberatorietà del pagamento effettuato al cedente) conseguono alla notificazione o all’accettazione della cessione al contraente ceduto (Cass. 16/06/2006, n. 13954), con la precisazione che la notificazione della cessione del credito al debitore ceduto – non identificandosi con quella effettuata ai sensi dell’ordinamento processuale, ma dovendosi intendere la stessa come attività diretta a produrre la conoscenza di un atto in capo al destinatario – costituisce un atto a forma libera, non soggetto a particolari discipline o formalità (Cass. 21/12/2005, n. 28300, Cass. 7/02/2012, n. 1684).

A tanto deve aggiungersi che dalla sentenza impugnata (v. p. 3) risulta che gli appellati hanno depositato in allegato alla comparsa di costituzione copia dell’atto di cessione del credito intervenuto tra gli stessi e la società cedente, “provando così la loro successione nel credito e la conseguente legittimazione a partecipare al giudizio di secondo grado per tutelare il loro diritto di credito”. Tali affermazioni della Corte di merito non sono state specificamente censurate dai ricorrenti, essendosi gli stessi limitati a asserire che la prova dell’avvenuta cessione non sarebbe stata fornita dagli attuali controricorrenti, essendosi essi “limitati unicamente a qualificarsi quali cessionari del credito”, nè risulta che la scrittura in parola sia stata impugnata o contestata prima della comparsa conclusionale in appello, come dedotto dai controricorrenti (v. controricorso p. 8).

3. Con il secondo motivo, lamentando “Violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 – 1364 c.c., in riferimento all’art. 1230 c.c. e art. 1231 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3”, i ricorrenti sostengono che il contratto stipulato in data 25 maggio 2001 avrebbe sostanzialmente modificato l’atto del 13 marzo 2001 e censurano la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto sussistente la fideiussione in favore della locatrice nel contratto del 25 maggio 2001, pur se non espressamente prevista, per non essersi verificata alcuna novazione 4. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano “Violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1364 c.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, per aver la Corte di merito omesso di esaminare il contratto del 25 maggio 2011 “nella parte in cui non prevede tutte le clausole” contenute nella scrittura del 13 marzo 2001.

5. Con il quarto motivo, dolendosi di “Omesso esame degli atti di causa in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”, i ricorrenti sostengono che la Corte di merito avrebbe omesso di esaminare e qualificare l’atto del 25 maggio 2001 che, a loro avviso costituirebbe l’atto definitivo, unica fonte dei diritti e delle obbligazioni tra le parti, che avrebbe sostituito il precedente che dovrebbe essere qualificato come atto preliminare; in particolare, la Corte di merito avrebbe ignorato ed escluso l’efficacia novativa della scrittura privata del 25 maggio 2001, pur avendo le parti modificato sostanzialmente alcune clausole contrattuali ed omesso integralmente altre invece previste nell’atto precedente. Sostengono, altresì, i ricorrenti che le parti, con la stipula dell’atto definitivo del 25 maggio 2001 avrebbero “concretizzato una risoluzione per mutuo dissenso del contratto del 13.3.2001”.

6. Con il quinto motivo, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1941 – 1942 c.c. – art. 1346 c.c. e art. 1418 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento alla ritenuta validità della fideiussione omnibus”, i ricorrenti si dolgono che la Corte di appello, con l’impugnata sentenza, oltre a ritenere sussistente, presumendola, la garanzia fideiussoria, pur se non più prevista, abbia ritenuto valida tale garanzia considerandola, sotto il profilo del suo contenuto, “delimitata e definita, riferendosi solo alle obbligazioni sorte in dipendenza del contratto del 13 marzo 2001, in cui sono circostanziati i crediti futuri, quali quelli derivanti dagli obblighi di pagamento dei canoni, del prezzo delle merci, del deposito cauzionale”. Secondo i ricorrenti, pur a voler ritenere ancora sussistente in base al secondo contratto la garanzia, l’importo della stessa non sarebbe stato determinato o determinabile al momento della sottoscrizione.

7. Con il sesto motivo, dolendosi di “Omesso esame circa un fatto decisivo come vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata sotto il profilo della illogicità della motivazione nella parte in cui sarebbe stato valutato “secondo criteri incongruenti” quanto previsto al punto 26) della scrittura del 13 marzo 2001, che prevedeva che quel contratto sarebbe stato redatto “nei modi previsti dalla legge (atto notarile o autentica di firme) entro il 31.3.2011” – così stabilendosi, ad avviso dei ricorrenti, che alla scrittura del 13.3.2001 avrebbe fatto seguito la stipula del contratto definitivo, il che sarebbe avvenuto il 25 maggio 2001 -, in quanto la Corte di merito avrebbe ritenuto unica fonte negoziale dei rapporti obbligatori tra le parti la scrittura del 13 marzo 2001.

8. I motivi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi.

8.1. Ed invero vanno dichiarate inammissibili le censure motivazionali.

Al riguardo, precisato che non è comunque applicabile ratione temporis la disposizione di cui dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, pure sostanzialmente invocata nella memoria dai controricorrenti, essendo stato il giudizio di appello iniziato con atto di citazione notificato in data 1 aprile 2009 (v. sentenza impugnata p. 3), deve, infatti, rilevarsi che il presente ricorso è, ratione temporis, soggetto all’applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. In relazione a tale modificazione, queste Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare il principio secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7/04/2014, nn. 8053, 8054 e Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257), non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300).

Le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze sopra ricordate, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

A tanto deve aggiungersi che l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto l’interpretazione di clausole negoziali non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi (Cass. 8/03/2017, n. 5795).

8.2. Quanto alle ulteriori doglianze sollevate con i motivi all’esame, si osserva che, con accertamento in fatto, nella specie non validamente censurato, la Corte di merito ha ritenuto insussistente la dedotta novazione (Cass. 9/03/2010, n. 5665; Cass. 8/05/2001, n. 6380; Cass. 8/11/1996, n. 9766) e neppure risulta validamente censurata l’interpretazione dei contratti operata dalla Corte di merito.

8.3. Peraltro i mezzi in scrutinio difettano pure di specificità, non essendo stato riportato il tenore integrale degli atti cui i motivi in parola fanno riferimento.

9. Con il settimo motivo, rubricato “Violazione di legge e omesso esame degli atti di causa in riferimento all’art. 91 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto fondato l’appello incidentale proposto dagli appellati e, applicando l’art. 91 c.p.c., ha incluso nelle spese di giudizio da liquidarsi anche quelle “della fase cautelare” anteriore al giudizio di appello, “omettendo di esaminare i fatti processuali intercorsi tra le parti” e lamentano, altresì, l’illegittimità della condanna alle spese di lite “anche per tale fase monitoria”, non meglio specificata, statuita dalla Corte di merito “omettendo di esaminare gli atti di causa e l’intera vicenda intercorsa tra le parti”.

10. Con l’ottavo motivo, deducendo “Violazione di legge ed omesso esame ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in riferimento all’art. 345 c.p.c.”, i ricorrenti sostengono che “l’appello incidentale” sarebbe fondato “su una eccezione nuova che controparte introduce per la prima volta con la costituzione nell’odierno giudizio, come tale inammissibile, introducendo un thema decidendum nuovo rispetto all’impugnata sentenza che non può trovare ingresso nell’odierno giudizio”. Inoltre assumono i ricorrenti che altro thema novum introdotto ed inammissibile sarebbe quello relativo ad un procedimento arbitrale del 2003 in cui non si sarebbe formato alcun contraddittorio sicchè non si sarebbe formato alcun giudicato e la Corte di merito avrebbe omesso ogni esame al riguardo.

11. I due motivi che precedono sono entrambi inammissibili, in base all’assorbente rilievo del loro difetto di specificità, che impedisce anche una sufficiente comprensibilità degli stessi.

12. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

13. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

14. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti, in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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