Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20147 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. III, 24/09/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 24/09/2020), n.20147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27911-2019 proposto da:

J.M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA PARAVANI,

rappresentato e difeso dall’avvocato VALENTINA NANULA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1059/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 09/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. RUBINO LINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – J.M.S. propone ricorso, articolato in due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Brescia, avverso la sentenza n. 1059/2019 della Corte d’Appello di Brescia, pubblicata in data 11.7.2019, non notificata, con la quale si è confermato il diniego di tutte le varie forme di protezione internazionale richieste.

2. – Il Ministero intimato non ha svolto attività difensive in questa sede.

3. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

4. – Il ricorrente, proveniente dal Gambia, riporta nel ricorso tutta la sua vicenda, esposta dettagliatamente nella sentenza impugnata: fuggiva dal paese nel 2015, perchè il padre, militare, era accusato di essere uno dei responsabili di un colpo di stato, si recava dapprima dalla madre in Senegal, ma aveva delle divergenze col nuovo marito di questa, quindi si spostava in Mali, dove lavorava come apprendista da un trasportatore di cemento, quindi in Senegal, dove pure trovava lavoro per mantenersi e infine attraversava la Libia e giungeva in Italia, ove la Commissione adita rigettava la sua domanda affermando che dopo la sua fuga si era instaurato in Gambia dal 2016 un regime democratico, per cui non aveva nulla da temere da un eventuale ritorno in patria.

5. – Tale decisione era ribadita dal tribunale e poi dalla corte d’appello.

6. – La sentenza impugnata, in particolare, ricostruiva sulla base di fonti ufficiali il cambio di situazione politica in Gambia, dove il precedente presidente che aveva dato luogo ad regime dittatoriale era stato sostituito, dal gennaio 2017, da altro presidente che aveva avviato una svolta democratica nel paese, con reintroduzione delle libertà civili, rimessione in libertà dei detenuti politici e aveva indetto regolari elezioni. Sulla base di questo nuovo corso politico, pur non contestando la credibilità della vicenda personale del ricorrente, negava il diritto alle due protezioni maggior ritenendo che il ricorrente in caso di rientro in patria non avrebbe più avuto nulla da temere, avendo la possibilità finanche di ottenere il dissequestro dei beni, sequestrati dal precedente dittatore.

6.1. – Rigettava anche la domanda volta all’ottenimento della protezione umanitaria in quanto, nel procedere al giudizio di comparazione, escludeva la situazione di vulnerabilità del ricorrente, in quanto proveniente da famiglia benestante e altolocata e dotato di alta capacità di intraprendenza e autogestione, in quanto, benchè fuggito da solo a soli 17 anni, aveva sempre trovato il modo di mantenersi nei vari paesi che aveva attraversato ed anche in Italia.

7. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per aver la corte d’appello violato il dovere di cooperazione istruttoria; sostiene che la stessa si sarebbe appiattita sulle valutazioni precedenti senza considerare che la situazione in Gambia, benchè sicuramente migliorata dopo il colpo di stato, non possa tuttora ritenersi satisfattiva sotto l’aspetto della tutela dei diritti umani. Sostiene che tuttora, un civile al rientro in Gambia sarebbe soggetto a vari rischi di subire una minaccia grave alla sua persona.

8. – Il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto è volto alla rinnovazione del giudizio in fatto, inammissibile in questa sede, a fronte peraltro di una sentenza accuratamente motivata sul punto, sulla base di informazioni aggiornate acquisite da fonti ufficiali, e pertanto redatta nel rispetto dei criteri di legge quanto alla ricostruzione della situazione nel paese di provenienza e alla valutazione della sussistenza o meno di una situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato in corso.

9. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 5, comma 6 e 19 TUI. Deduce che, in riferimento alla protezione umanitaria, la sentenza impugnata non abbia compiuto come dovuto ad un autonomo giudizio di comparazione, considerando adeguatamente la situazione interna del paese di origine del richiedente, la sua personale condizione di vulnerabilità e il percorso di integrazione compiuto in Italia.

10. – Il motivo è fondato e va accolto.

10.1. – Come indicato da Cass. S.U. n. 29459 del 2019, i presupposti utili a ottenere la protezione umanitaria devono identificarsi autonomamente rispetto a quelli previsti per le due protezioni maggiori, e le due valutazioni non sono sovrapponibili. Non si può trascurare la necessità di collegare la norma che prevede la protezione umanitaria ai diritti fondamentali che l’alimentano. Gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali; sicchè, come già puntualizzato da questa Corte ancor prima della pronuncia a sezioni unite, l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (tra varie, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096).

10.2. – Come ricordato dalle Sezioni unite, le basi normative non sono affatto fragili, ma a compasso largo: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione.

10.3. – In conformità all’approccio scelto dall’orientamento della Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, seguita, tra varie, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, nonchè, a quanto consta, dalla preponderante giurisprudenza di merito) e condiviso dalle Sezioni Unite, occorre accordare rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

10.4. – Non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072). Si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304).

10.5. – Ne consegue che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, in primo luogo, dev’essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti e dovendo il relativo accertamento fondarsi su uno scrutinio circa l’esistenza non più di un conflitto armato generalizzato nel paese di provenienza, e di una situazione di violenza indiscriminata, ma delle condizioni di vulnerabilità del richiedente che ne integrano i requisiti secondo i criteri indicati (cfr. Cass. 28990/2018; Cass. n. 10922 del 2019). Per far ciò, questa Corte ha avuto già modo di affermare che il giudice di merito non può legittimamente ritenersi preclusa ogni valutazione in merito al diritto del richiedente alla protezione umanitaria neppure quando la complessiva ricostruzione dei fatti offerta dal richiedente non gli sia sembrata convincente.

10.6. – Nel giudizio di comparazione occorre tener conto sia delle condizioni in cui si troverebbe il ricorrente in caso di reinserimento nel paese di origine, sulla base di dati il più possibile oggettivi, sia delle sue prospettive di inserimento attuali in Italia, anche quelle sulla base di dati il più possibile oggettivi, offerti come allegazione dal ricorrente ed integrati sul piano probatorio ove necessario a mezzo della cooperazione istruttoria, ed anche della condizione soggettiva, di minore o maggior fragilità, del richiedente.

10.7. – La corte d’appello non si è attenuta a questi principi laddove da un lato ha ricostruito su base meramente ipotetica e contrastante con i dati oggettivi dalla stessa riportati in sentenza il successo di un eventuale ritorno in patria del richiedente, dando per scontati il suo reinserimento familiare e sociale, nonchè la possibilità di ottenere il dissequestro dei beni di famiglia, al momento sequestrati dallo Stato; dall’altro non ha menzionato neppure quale sia la condizione attuale del ricorrente in Italia, al termine del percorso di integrazione compiuto fino al momento della decisione di secondo grado.

10.8. – Infine, sotto il profilo della condizione soggettiva del ricorrente, ha dato atto della particolare resilienza e capacità di affrontare le avversità dimostrate dal giovane ricorrente (che è stato capace di fuggire da solo, ancora minorenne, cercando rifugio prima dalla madre e poi affrontando da solo l’attraversamento del continente africano trovando sempre il modo di mantenersi e poi arrivando in Italia, riuscendo a documentare a sufficienza il suo percorso ed anche qui affrontando e portando a termine un percorso di integrazione linguistica e lavorativa), non all’interno di un giudizio complessivo di meritevolezza della protezione richiesta, ma a contrario, per dedurne che sarà in grado di adattarsi ovunque, a qualsiasi tipo di situazione, e che quindi la protezione può essergli negata, in tal modo ritorcendo a danno del richiedente le sue stesse qualità e rendendole il criterio prevalente per escluderne la vulnerabilità prescindendo dalla considerazione degli elementi oggettivi su citati.

11. – Il secondo motivo di ricorso va accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Brescia che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso il Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

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