Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20146 del 23/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/09/2010, (ud. 15/07/2010, dep. 23/09/2010), n.20146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. FOGLIA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VALADIER 44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SCHILLACI, che

la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.I., elettivamente domiciliatali ROMA, VIA CAIO

MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato PALENZONA GIORGIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMANO CAMILLO, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5993/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/10/2005 r.g.n. 4297/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/07/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FOGLIA;

udito l’Avvocato SCHILLACI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato MARIO PISTOLESE per delega ROMANO CAMILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 18.12.2000 al Tribunale del lavoro di Roma, O. M., premesso di aver adito il Giudice con altro, precedente ricorso al fine:

a) di ottenere il pagamento di differenze retributive di cui era rimasta creditrice nei confronti del proprio datore di lavoro ( A.M.) e, successivamente dell’erede di quest’ultimo, A.I.;

b) di ottenere la declaratoria dell’inefficacia del licenziamento intimatole verbalmente in data 8.1.1996;

c) di tener presente che la controversia era stata transatta in sede giudiziaria, in data 30.6.1999 nel quale era previsto che la controparte – le corrispondesse la somma di L. 200 milioni in cambio della rinuncia alle domande dedotte in giudizio.

Cio’ premesso, la ricorrente osservava che la somma indicata titolo transattivo trovava fondamento nel precorso rapporto di lavoro ed era da ritenere assoggettata a contribuzione previdenziale. Chiedeva, pertanto, la condanna della A.I. a versare all’INPS l’importo corrispondente ai contributi previdenziali omessi e non prescritti, esigibili sulla maggiore retribuzione riconosciuta nella transazione, nonche’ la condanna della erede A.I. al risarcimento, ex art. 2116 c.c. del danno subito per omesso versamento dei contributi previdenziali prescritti.

Costituitasi in giudizio, la convenuta invocava il rigetto della domanda attrice, assumendo che in presenza di una transazione di contenuto “novativo” non era possibile ascrivere agli importi erogati natura retributiva.

Con sentenza 19.9.2002, il Tribunale di Roma accoglieva la domanda della O. rilevando che la transazione non aveva immutato l’originario rapporto di lavoro e, che le somme corrisposte, aventi natura retributiva, dovevano essere assoggettate a contribuzione L. n. 169 del 1963, ex art. 12.

Avverso detta sentenza proponeva appello l’ A. lamentando: a) col primo motivo, l’erroneita’ della decisione, nella parte in cui aveva respinto l’eccezione di inammissibilita’ della domanda per preclusione ex art. 2113 c.c.;

b) l’erroneita’ della medesima sentenza nella parte in cui non aveva ritenuto la natura novativa della transazione;

c) l’illegittimita’ della decisione nella parte in cui aveva dichiarato ammissibile l’azione risarcitoria della O. ai soli fini della condanna generica;

d) l’omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta, con la quale quest’ultima aveva chiesto, in subordine, la condanna della controparte a mallevarla e a risarcirla, anche a titolo di ingiustificato arricchimento, per ogni somma posta a suo carico.

Con sentenza del 14.10.2005, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata, ha respinto l’originaria domanda, compensando le spese di lite del doppio grado tra le parti.

Avverso la sentenza di appello ricorre per cassazione la O. articolando cinque motivi. Resiste l’ A. con controricorso e successiva memoria illustrativa depositata, ex art. 378 c.p.c., in prossimita’ dell’udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, la O. – denunciando l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio – osserva che la sentenza della Corte di appello e’ errata perche’, affermando che con il verbale di conciliazione la O. avrebbe rinunziato ad ogni diritto connesso al precorso rapporto, ha esaminato il verbale di conciliazione senza tener conto del paragrafo 15 del ricorso introduttivo nel quale la O. aveva inserito la seguente clausola “ci si riserva di agire in separata sede per far valere ogni ulteriore diritto spettante alla ricorrente costituendo il presente atto formale messa in mora”;

precisazione, questa, con la quale la O. certamente non aveva rinunciato alla domanda relativa al versamento dei contributi previdenziali.

Col secondo motivo – deducendo l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa altri fatti controversi e decisivi per il giudizio – si osserva che nel verbale di conciliazione le parti hanno voluto precisare espressamente che la somma convenuta fosse “netta”. Inoltre nel verbale di conciliazione le parti non hanno indicato a quale titolo sia stata erogata la somma convenuta.

Col terzo motivo la ricorrente rileva che la sentenza di appello e’ illegittima anche per violazione della L. n. 169 del 1969, art. 12 che obbliga il datore di lavoro a versare i contributi su tutte e somme di natura retributiva corrisposte in dipendenza dei rapporti di lavoro.

Secondo Cass. n. 4809 del 1985 “a norma dell’art. 12 ….anche in presenza di una transazione intervenuta a seguito di lite giudiziaria l’indagine del giudice sulla natura retributiva o meno di determinate somme erogate al lavoratore non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni.

Ad una fattispecie del tutto identica a quella presente, la Cass. (sent. n. 710/1999) ha escluso il carattere novativo della transazione in quanto “i rapporti di lavoro dedotti in giudizio non erano mutati ne’ per il titolo, ne’ per l’oggetto, ma erano stati diversamente disciplinati. Tale e’ il caso di specie nel quale l’accordo transattivo si e’ limitato a precisare che la somma complessiva netta di L. 200 milioni e’ convenuta “a totale e definitivo saldo, stralcio, tacitazione, e rinuncia ad ogni azione e qualsiasi diritto nel ricorso introduttivo del presente giudizio”.

Con il quarto e quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2113 e 2116 c.c. Quanto alla prima norma si osserva che i crediti per contributi assicurativi obbligatori sono indisponibili, e quindi non possono essere oggetto di transazione ne’ di rinunzia.

Quanto alla seconda norma, la sentenza di appello e’ illegittima per violazione dell’art. 2116 c.c., comma 2 il quale obbliga il datore di lavoro a risarcire il danno subito dal lavoratore nel caso in cui l’Inps, per mancata o irregolare contribuzione non sia tenuto a corrispondere (in tutto o in parte) le prestazioni previdenziali dovute.

Alle censure formulate dalla O. replica l’ A. con controricorso nei seguenti termini:

1) Il presente giudizio non si riferisce ad insufficiente e/o omessa contribuzione previdenziale sulle retribuzioni regolarmente percepite dalla O. nel corso del suo rapporto di lavoro dal 1981 al gennaio 1996. Tale contribuzione e’ stata regolarmente versata dalla ricorrente, ma si riferisce solo a pretesa contribuzione sulla somma pattuita e percepita con la conciliazione, somma che, a dire della ricorrente, avrebbe natura retributiva.

2) La formula della transazione e’ assolutamente ampia, tale da esaurire tutte le pretese della O. comunque deducibili dal rapporto di lavoro.

3) La transazione riguarda non solo i diritti azionati, ma anche ogni diritto attinente al precorso rapporto di lavoro, compreso quello relativo al preteso risarcimento danni per asseriti contributi prescritti.

4) Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte di appello non ha omesso di valutare il fatto che la somma accettata in transazione era stata pattuita come “netta” e che nella medesima transazione non e’ indicato il titolo della erogazione per cui si tratterebbe di transazione “non novativa”. Al contrario, la Corte territoriale e’ stata rispettosa di tutti i criteri ermeneutici, ne’ alcuna violazione di tali criteri e’ stata dedotta dalla ricorrente:

trattasi pertanto di questioni di fatto non sindacabili in sede di legittimita’.

5) Sulla pretesa violazione della L. n. 153 del 1969, art. 12 vale quanto affermato dalla sentenza di appello sulla “transazione novativa” (cfr. Cass. n. 4811/99) con la precisazione che l’accertamento dell’animus novandi costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’ se sorretto da adeguata e congrua motivazione (Cass. n. 4008/2006).

Va sottolineato che la pretesa contribuiva della ricorrente non e’ affatto un diritto inderogabile, poiche’ tale contribuzione non e’ richiesta su somme pacificamente ricevute a fronte di attivita’ lavorativa espletata, ma solo pretesa su somme a sua volta solo pretese e che nessun giudice ha accertato essere dovute. La pretesa di trasferire l’obbligazione contributiva sulla somma percepita a titolo conciliativo e’ del tutto pretestuosa e non sorretta da alcuna circostanza ne’ di fatto ne’ di diritto.

Non invocabile e’ la sentenza n. 710/1999 citata dalla ricorrente (supra punto 3): trattasi di fattispecie diversa, riguardante una conciliazione in cui una parte accetta espressamente il licenziamento intimato all’altra, mostrando cosi’ il legame con il rapporto precedente, per cui la conciliazione, in quel caso, non ha effettivamente natura novativa.

6) Infondata e’ altresi’ la pretesa violazione dell’art. 2113 c.c. poiche’ nel presente caso non si verte in materia di conciliazione su diritti indisponibili, atteso che i contributi previdenziali obbligatori, cioe’ i contributi dovuti sulle retribuzioni effettivamente percepite dalla O. nel corso dell’intero rapporto di lavoro, sono stati regolarmente assolti. Pertanto la sentenza di appello non ha violato l’art. 2113 c.c. ne’, avendo negato la natura retributiva della somma erogata in conciliazione, ha legittimato l’elusione del pagamento dei contributi.

7) Quanto, infine all’art. 2116 c.c. osserva la resistente che la corte d’appello non e’ incorsa in alcuna violazione: la censura muove dal presupposto – non accettabile – che la somma di L. 200 milioni abbia natura retributiva e che essa costituirebbe specifica integrazione retributiva afferente al periodo 1981 – 1996.

In proposito, la giurisprudenza di legittimita’ ha escluso che le somme versate in via transattiva giudiziale costituiscano retribuzione imponibile.

Il ricorso non e’ fondato con riferimento ad alcuno dei motivi denunciati.

Va premesso che nel giudizio conclusosi con la transazione l’attrice aveva formulato due domande nei confronti della A.: a) di condanna al pagamento della complessiva somma di L. 165.101.204 per differenze retributive, mensilita’ aggiuntive e t.f.r.; b) di accertamento della nullita’ ed inefficacia del licenziamento verbale e del diritto al ripristino della funzionalita’ del rapporto di lavoro. Questo il tenore testuale del verbale della conciliazione giudiziale:

“La parte convenuta offre a titolo conciliativo la somma complessiva di L. 200.000.000 che la ricorrente accetta a totale e definitivo saldo, stralcio, transazione, tacitazione e rinunzia ad ogni azione ed a qualsiasi titolo dedotto nel ricorso introduttivo del presente giudizio, o, comunque nel medesimo giudizio azionato nei confronti della sig.ra A. in proprio e nella qualita’…….La sig.ra O. accetta la somma come sopra indicata a totale e definitivo stralcio, transazione, tacitazione e rinunzia ad ogni azione e a qualsiasi titolo dedotto nel ricorso introduttivo del presente giudizio o, comunque nel giudizio medesimo azionato nei confronti della sig.ra A……….Con la sottoscrizione del presente atto cessa la materia del contendere e, pertanto, le parti chiedono che venga dichiarata l’estinzione del processo…..Con il buon esito del pagamento, la sig.ra O. non avra’ null’altro a pretendere per alcun titolo dedotto in ricorso e qualunque altra ragione o/e azione scaturente in via diretta o mediata dal rapporto dedotto in giudizio.

In virtu’ della formulazione testuale, l’espressione “rinunzia ad ogni azione e a qualsivoglia titolo dedotto nel ricorso introduttivo…..sta ad indicare che l’accordo conciliativo era diretto proprio a prevenire non solo l’accertamento giudiziale della fondatezza delle pretese della ricorrente, ma anche l’insorgere di altre controversie concernenti diritti comunque riconducibili all’intercorso rapporto di lavoro, ormai definitivamente cessato.

L’accordo transattivo in esame rientra nello schema della transazione novativa la cui caratteristica e’ di essere – al pari della transazione propria -un negozio di secondo grado, ma non un negozio “ausiliario”, ancorche’ “principale” con la conseguenza che i diritti e gli obblighi delle parti avranno, come “unica fonte” il contratto di transazione e non, come la transazione propria, il fatto causativo del rapporto originario. Ne consegue che al fine della L. n. 169 del 1963, art. 12 (nel testo vigente all’epoca), la somma dovuta – ancorche’ avente natura retribuiva in esecuzione di una transazione novativa, in quanto del tutto disancorata dal preesistente, estinto rapporto, non puo’ essere considerata come “corrisposta in dipendenza del rapporto di lavoro” ormai scomparso dalla “scena giuridica” con l’ulteriore conseguenza che non puo’ essere computata per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale (conf. Cass., n. 5313 del 1996).

Questa Corte (sent. ult. cit.) ha chiarito che, per determinare il carattere novativo o conservativo della transazione, occorre accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano o meno inteso addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, diretto a costituire, in sostituzione di quello precedente, nuove ed autonome statuizioni. Tale accertamento — riservato al giudice di merito – risulta compiuto dalla Corte di appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, in base ad elementi interpretativi desunti dalla volonta’ delle parti e dal tenore delle clausole contrattuali, valutando specificamente la compatibilita’ della transazione con le obbligazioni scaturenti dal precedente rapporto.

Avverte la sentenza della Corte di appello qui impugnata, che, nel caso in esame il rapporto di lavoro – che le parti ritengono ormai definitivamente cessato il che e’, tra l’altro, desumibile dal complessivo tenore dell’accordo che non contempla alcuna riassunzione o riammissione al lavoro – assume le caratteristiche di un antefatto storico che, pur avendo dato origine al giudizio, non costituisce piu’ la fonte delle nuove obbligazioni, reciprocamente assunte dalle parti in sede di conciliazione.

In particolare la somma di L. 200.000.000 non risulta pattuita in favore della O. a titolo di riconoscimento – totale o parziale di singoli diritti fatti valere in giudizio, non essendo a cio’ sufficiente il fatto che la conciliazione sia intervenuta nel corso e a definizione del processo in cui erano azionati diritti specifici. La somma risulta, pertanto, convenuta proprio al fine di evitare e prevenire l’accertamento giudiziale avente ad oggetto le pretese della ricorrente, le quali erano state contestate dalla, convenuta e sulle quali nessuna pronuncia e’ piu’ intervenuta. …

In conclusione, con il verbale di conciliazione le parti non hanno pattuito una nuova regolamentazione del rapporto di lavoro – la quale, altrimenti, sarebbe rimasta esposta all’operativita’ di tutte le norme speciali invocate dalla O. nel ricorso – ma hanno convenuto una diversa ed autonoma obbligazione, con rinuncia, da parte della ricorrente “di ogni diritto azionato e non, connesso al precorso rapporto”.

Da quanto precede non puo’ essere accolto il ricorso promosso dalla O. avverso la sentenza n. 5993 del 14 ottobre 2005 della Corte di appello di Roma, con attribuzione delle spese a carico della ricorrente, nelle misure di cui al dispositivo che segue.

P.Q.M.

LA CORTE respinge il ricorso; pone a carico della ricorrente le spese del presente giudizio pari ad Euro 50,00 oltre ad Euro 2.000,00 per onorari e altri accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2010

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