Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20145 del 25/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/07/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 25/07/2019), n.20145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Giusep – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6990/17 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente –

Contro

EURO SERVICE sas di M.N. & C. in fallimento.

– intimata –

avverso la sentenza n. 828 della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo, depositata il 15 settembre 2016.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 maggio 2019 dal Consigliere Gianluca Grasso.

Fatto

RITENUTO

che:

– la Euro Service sas di M.N. & C., esercente l’attività di distributore stradale di prodotti energetici, ha proposto opposizione avverso l’avviso di pagamento n. (OMISSIS) del 5 novembre 2012, con il quale l’Ufficio delle dogane di Pescara, a seguito di verifica da parte la Guardia di Finanza, le aveva contestato la sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici per un importo complessivo di Euro 17.228,56;

– la Commissione tributaria provinciale di Pescara, con sentenza depositata il 25 febbraio 2015, ha respinto il ricorso;

– la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo ha riformato la pronuncia di prime cure, ritenendo che gli accertamenti compiuti, per le modalità con cui erano stati effettuati (utilizzo per la misurazione di un’asta diversa da quella ritenuta attendibile per le misurazioni delle cisterne; mancanza di prova della partecipazione del contribuente alle operazioni di accertamento), non consentissero di provare effettivamente le differenze riscontrate dalla Guardia di Finanza in sede di accertamento riguardo al carburante acquistato e ceduto dalla società;

– l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

– la società contribuente, seppur regolarmente intimata, non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2700 c.c., nonchè la contestuale violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, degli artt. 115 e 116 c.p.c. Secondo parte ricorrente, la sentenza d’appello è viziata perchè il giudice ha omesso di valutare nel suo tenore letterale un mezzo di prova prodotto agli atti (violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.) e, al contempo, violando il canone ermeneutico dell’art. 1362 c.c., applicabile analogicamente al testo del processo verbale, ha violato l’art. 2700 c.c., ritenendo che potesse essere dimostrato dalla contribuente, in sede giudiziale e senza querela di falso, che il legale rappresentante non avesse presenziato alle operazioni di verifica fiscale, contrariamente a quanto era stato dichiarato nel processo verbale del pubblico ufficiale che lo aveva redatto;

– il motivo è fondato;

– secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il processo verbale di constatazione (o anche la “segnalazione”), redatto dalla Guardia di Finanza o dagli altri organi di controllo fiscale, è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., quanto ai fatti in esso descritti, sì che, per contestare tali fatti, è necessaria la proposizione della querela di falso (Cass. 21 ottobre 2013, n. 23747);

– la presenza del legale rappresentante alle operazioni di verifica effettuate dalla Guardia di Finanza costituisce dunque un fatto accaduto in presenza dei militari, che può essere contestato soltanto con la proposizione della querela di falso, contrariamente a quanto ritenuto nella pronuncia impugnata, secondo cui la partecipazione alle operazioni di verifica deve essere piena e non soltanto limitata alla sottoscrizione del verbale;

– con il secondo motivo di ricorso si deduce un error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4, per disapplicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, applicabile ex art. 61 dello stesso atto normativo nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, (motivazione irragionevole) e contestuale violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 48, comma 2. Parte ricorrente, al riguardo, denuncia la presenza di una decisione così gravemente irragionevole da configurare un difetto assoluto di motivazione in relazione allo “scarico del residuo di gasolio dall’autocarro (300 litri) nella cisterna interrata”, sul presupposto che “trattandosi di versamento di prodotto non acquistato, ha conseguentemente comportato l’erroneità di tutta la ricostruzione contabile poi effettuata il 26.5.2010”. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione tributaria regionale, il quantitativo di 300 litri di gasolio, svuotato nella cisterna interrata, non ha inciso in maniera sensibile sulla quantità complessiva del gasolio per autotrazione accertato in eccedenza. Infatti, anche sottraendo i 300 litri dalla quantità accertata, l’eccedenza risulterebbe comunque superiore a quella ammessa legalmente (t.u. sulle accise), essendo il quantitativo di litri di gasolio e di Kg di olii rivenuti nel deposito, rispetto al massimale consentito dalla licenza, di molto superiore rispetto ai trecento litri riversati nella cisterna dall’automezzo;

– il motivo è fondato;

– la motivazione appare sul punto illogica e apparente, non avendo dato conto dell’incidenza sull’eccedenza riscontrata del quantitativo che sarebbe riferibile allo scarico del residuo, giacchè le disposizioni di riferimento prevedono una sanzione anche per differenze minime rispetto a quanto dichiarato (D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 48);

– con il terzo motivo di ricorso si prospetta un error in procedendo/nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 654 c.p.p.. Secondo parte ricorrente, fermo restando che nel processo tributario la pronuncia penale di assoluzione dal reato tributario non spiega automaticamente efficacia nè di giudicato nè di prova legale, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, il giudice tributario può prenderla in considerazione come possibile fonte di prova, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui tale materiale probatorio è destinato ad operare, nel rispetto delle limitazioni della prova che vigono nel processo tributario, come il divieto della prova testimoniale. Nessuna illustrazione, invece, il giudice di secondo grado ha fornito circa le ragioni della rilevanza della sentenza penale di assoluzione nell’ambito del giudizio tributario, dandone automatica applicazione;

– il motivo è fondato;

– in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere a un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio (Cass. 24 novembre 2017, n. 28174; Cass. 13 febbraio 2015, n. 2938).

– l’affermazione contenuta in sentenza sul rilievo della decisione penale è meramente assertiva e non dà conto dell’apprezzamento compiuto dal giudice del merito, che non può limitarsi a richiamare la sola presenza di un giudizio favorevole al contribuente;

– la pronuncia va dunque cassata con rinvio, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di legittimità, alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2019

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