Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20142 del 03/10/2011

Cassazione civile sez. un., 03/10/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 03/10/2011), n.20142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di Sezione –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23326-2010 proposto da:

U. ANDRISANO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 109, presso

lo studio dell’avvocato SEBASTIO GIOVANNA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SEBASTIO ATTILIO, per delega in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L., R.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato SPADAFORA GIORGIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato VICCARI FRANCESCO, per delega a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1/2010 della CORTE D’APPELLO di Lecce –

Sezione distaccata di TARANTO, depositata il 16/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato SEBASTIO A.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per l’A.G.O..

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso al Tribunale di Taranto del 29 dicembre 1999, proposto ai sensi dell’art. 1168 cod. civ. e art. 703 cod. proc. civ., i coniugi R.C. e P.L. – quali proprietari di un fondo in contrada (OMISSIS) prospiciente la strada (OMISSIS) – esposero che la s.p.a. U. Andrisano, nell’eseguire lavori di pavimentazione e di congiunzione della predetta strada con la contigua (OMISSIS), aveva innalzato la quota di campagna della strada (OMISSIS) al fine di congiungerla alla (OMISSIS), impedendo l’accesso ai cancelli pedonale e carraio di loro proprietà, e chiesero che la Società esecutrice di tali lavori fosse condannata a reintegrarli nel possesso mediante la riduzione in pristino dei luoghi;

che, costituitasi, la s.p.a. U. Andrisano, nel chiedere la reiezione nel merito della domanda, eccepì: in primo luogo, il difetto di giurisdizione del Giudice adito in favore del Giudice amministrativo, deducendo che i lavori in questione erano stati eseguiti in regime di concessione amministrativa; in secondo luogo, l’improponibilità della domanda possessoria, non essendo ipotizzabile la condanna ad un tacere (demolizione di strada pubblica) emessa non nei confronti di una pubblica amministrazione ma di un concessionario di pubbliche funzioni cessato dall’incarico e non avente alcun potere sul bene oggetto della richiesta reintegrazione; in terzo luogo, il difetto della propria legittimazione passiva, i lavori essendo stati eseguiti dall’impresa individuale A.U.;

che il Tribunale adito, con la sentenza n. 1945/2005 del 16 giugno 2005, in accoglimento della domanda, condannò la Società resistente a reintegrare i ricorrenti nel possesso mediante riduzione in pristino dello stato dei luoghi;

che avverso tale sentenza la Società Andrisano propose appello dinanzi alla Corte di Lecce-sezione distaccata di Taranto, chiedendo, in via preliminare, che fosse dichiarata la giurisdizione del Giudice amministrativo a conoscere la controversia, e comunque che, in riforma della sentenza impugnata, la domanda di reintegrazione nel possesso fosse respinta;

che, in contraddittorio con i coniugi R. – P. – i quali resistettero all’impugnazione, la Corte adita, con la sentenza n. 1/2010 del 16 gennaio 2010, rigettò l’appello;

che in particolare, per ciò che in questa sede ancora rileva, la Corte di Lecce: a) quanto alla questione dell’eccepito difetto di giurisdizione del giudice ordinario – dopo aver premesso che “la giurisdizione del giudice ordinario in relazione ad una domanda promossa dal privato nei confronti della P.A. in conseguenza dell’attività materiale, disancorata e non sorretta da alcun provvedimento formale da questa posta in essere in ambito urbanistico, sussiste in mancanza di un provvedimento amministrativo”, e che, “ove risuiti sulla base del petitum sostanziale che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria ma il controllo di legittimità dell’esercizio del potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario” -, ha affermato: “… giammai potrebbe nella specie difettare la giurisdizione dell’AGO sia perchè il petitum sostanziale involge una questione solo possessoria … sia perchè – quel che più conta – non è stata evocata in giudizio una P.A. sibbene un’impresa privata, il che non avrebbe esonerato i ricorrenti dall’evocare la P.A. anche se l’attività in essere fosse stata considerata “delegata””; b) quanto all’eccepito difetto di legitimatio ad causam della resistente s.p.a. U. Andrisano – fondato da quest’ultima sui concorrenti rilievi che il contratto d’appalto era stato stipulato tra il Comune di Taranto ed una associazione temporanea d’imprese (A.T.I., della quale facevano parte sia la s.p.a. U. Andrisano, sia l’impresa individuale A.U.), che gli specifici lavori de quibus erano stati subappaltati a terzi dalla sola impresa individuale A.U. e che, nei confronti del privato, ciascuna impresa del raggruppamento temporaneo risponde individualmente del proprio operato -, ha affermato: “… il sistema delineato dal D.P.R. n. 554 del 1999 non opera alcuna eccezione rispetto ad azioni di spoglio che, commesse anche da una delle imprese del raggruppamento, possono postulare un autore morale del denunciato spoglio individuabile in altra impresa del raggruppamento che da quello spoglio abbia tratto vantaggio e/o in nome e nell’interesse della quale lo spoglio sia stato perpetrato. Nella specie, l’impresa A., mandataria dell’ATI costituita tra la stessa e la s.p.a. Andrisano, fu da quest’ultima delegata a compiere l’attività negoziale e l’esecuzione delle opere edili ed urbanistiche di cui oggi si discute …. Peraltro non è senza rilievo la circostanza …, secondo cui la racc.ta del 29-10-99, in risposta alla missiva del 26-10 precedente che conteneva osservazioni sui lavori stradali e richieste all’impresa esecutrice, fu inviata al Raggruppamento di imprese che pur essendo sprovvisto di personalità giuridica almeno nel senso sopra visto, era comunque un centro di imputazione di interessi non neutro ma portatore di istanze da un lato e oggetto di pretese dall’altro da parte dei terzi”; c) quanto alla sussistenza del denunciato spoglio, ha affermato che, con l’innalzamento della quota di campagna dell’ultimo tratto della via Brenna e con l’erezione di un muro di contenimento si erano realizzati sia l’oggetto dello spoglio sia l’ostruzione dell’accesso al fondo attraverso i cancelli;

che avverso tale sentenza la s.p.a. U. Andrisano ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;

che resistono, con controricorso, R.C. e P.L..

Considerato che, con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, artt. 34 e 35 – come successivamente modificati – e del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 18 convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203; motivazione insufficiente e contraddittoria su punti decisivi della controversia;

omesso esame di documenti essenziali ai fini del decidere; art. 362 c.p.c., e art. 360 c.p.c., nn. 2 e 5”), la ricorrente – premesso che:

1) con deliberazione del Consiglio comunale di Taranto n. 318 del 5 maggio 1995, era stata approvata la convenzione stipulata tra il Comune e I.A.T.I. (di cui faceva parte, quale mandatala, la s.p.a. U. Andrisano), con la quale il Comune aveva delegato all’A.T.I. la realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione primaria, tra cui anche le strade in questione; 2) con successiva Delib Giunta comunale 26 marzo 1997, n. 670 da ritenere equivalente a variante agli strumenti urbanistici ai sensi del richiamato D.L. n. 152 del 1991, art. 18, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 203 del 1991, l’aveva approvato i relativi progetti anche per la realizzazione delle strade in questione, fra le quali la Via (OMISSIS) con quota di sedime superiore a quella della Via (OMISSIS), che “venne, perciò, realizzata in salita”; 3) all’udienza del 7 marzo 2000, il difensore della 3 controparti aveva dichiarato che i predetti atti amministrativi, conosciuti dalle stesse parti, erano però viziati da difetto di istruttoria; 4) dalla deposizione del teste, geom. Intelligente, si desumeva comunque l’esistenza dei predetti atti amministrativi concernenti anche l’area di proprietà dei coniugi R. – P. – critica la sentenza impugnata, sostenendo che: a) nonostante la dimostrazione sia del “mandato conferito dalla P.A. al privato per la realizzazione, in regime di concessione amministrativa, della strada per cui è causa”, sia della “regolare esistenza di tutti i dovuti atti amministrativi”, i Giudici a quibus hanno omesso di esaminare tutti i predetti documenti ed hanno quindi erroneamente affermato che, nella specie, si verte in tema di meri comportamenti della Pubblica Amministrazione, anzichè – correttamente – di attività urbanistica; b) sulla base del criterio di riparto della giurisdizione secondo il petitum sostanziale, richiamato dalla Corte di Lecce, quando “il pregiudizio dedotto sia … una diretta conseguenza dell’atto amministrativo (com’era nel nostro caso), la giurisdizione spetta al G.A. non al Giudice ordinario”; c) quanto all’affermata attribuzione della causa alla giurisdizione del giudice ordinario, ” perchè – quel che più conta – non è stata evocata in giudizio una P.A, sebbene un’impresa privata, il che non avrebbe esonerato i ricorrenti dall’evocare la P.A. anche se l’attività in essere fosse stata considerata “delegata””, i Giudici dell’appello, pur rilevando la necessità della partecipazione al giudizio della Pubblica Amministrazione, non ne hanno però tratto le dovute conseguenze nè in ordine alla contestata legittimazione passiva da parte della s.p.a. U. Andrisano, nè in ordine alla invocata esistenza dei presupposti del litisconsorzio necessario;

che, con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 102 e 354 c.p.c., dell’art. 1168 c.c. e della L. 11 febbraio 1994, n. 109, ari. 10 nonchè dei principi di diritto in tema di legittimazione passiva; omesso esame di un mezzo di impugnazione chiaramente prospettato; motivazione contraddittoria, insufficiente e incongrua, in relazione a punti decisivi della controversia; art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”), la ricorrente critica ancora la sentenza impugnata, sostenendo che la Corte Leccese: a) ha omesso totalmente di considerare la pur evocata sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario che avrebbe comportato la rimessione della causa al Giudice di primo grado; b) pur avendo ammesso che i lavori oggetto della domanda di reintegrazione nel possesso, erano stati compiuti da impresa diversa dalla ricorrente, ha erroneamente affermato che quest’ultima “fosse “autore morale” dello spoglio, perchè “mandataria” dello stesso”;

che, con il terzo motivo (con cui deduce: “Omesso esame di una doglianza chiaramente prospettata, e/o di un punto decisivo della controversia; art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”), la ricorrente critica infine la sentenza impugnata, sostenendo che la Corte leccese ha omesso totalmente di motivare sulla dedotta insussistenza dell’animus spoliandi;

che il ricorso non merita accoglimento; che il primo motivo è infondato;

che, secondo i consolidati principi affermati dalle sezioni unite di questa Corte: a) il criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinano e giudici speciali si individua nel cosiddetto “petitum sostanziale”, il quale si risolve nell’irrilevanza delle formule giuridiche utilizzate dall’attore e delle richieste rivolte al giudice adito e nella valorizzazione invece della causa petendi, cioè della situazione giuridica soggettiva di cui si chiede tutela (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10375 del 2007 e 17641 del 2006);

b) le azioni possessorie sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione (e di chi agisca per conto di essa) quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, non supportata da atti o provvedimenti amministrativi formali, mentre ove risulti, sulla base del criterio del petitum sostanziale, che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria, ma il controllo di legittimità dell’esercizio del potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, competente essendo il giudice amministrativo (cfr., ex plurimis, la citata sentenza n. 10375 del 2007, nonchè l’ordinanza n. 23561 del 2008, proprio relativamente ad una fattispecie nella quale le stesse sezioni unite hanno affermato la giurisdizione dell’A.G.O. in relazione ad un giudizio possessorio promosso da un privato nei confronti di un Comune che – avendo deliberato l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un immobile oggetto del proprio patrimonio disponibile, senza in alcun modo indicare, nei propri provvedimenti, la necessità di occupare beni appartenenti a privati – aveva abusivamente invaso una strada privata, rimuovendo il cancello d’ingresso ed elevando un muro in violazione delle distanze legali);

che, nella specie, dal ricorso introduttivo del presente giudizio, depositato dinanzi al Tribunale di Taranto il 20 dicembre 1999, si desume agevolmente che gli odierni controricorrenti hanno inteso tutelare esclusivamente il loro possesso sull’immobile in questione, sena fare alcun riferimento ad atti o a provvedimenti amministrativi del Comune di Taranto;

che infatti, con tale atto – proposto ai sensi dell’art. 1168 cod. civ. e art. 703 cod. proc. civ., i coniugi C. – P. hanno denunciato che “… nel giugno 1999, clandestinamente e violentemente, l’impresa di costruzioni Umberto Andrisano s.p.a. …

eseguiva l’innalzamento della quota di campagna della Via (OMISSIS) al fine di unirla alla superiore Via (OMISSIS), nel cui comprensorio la medesima impresa realizzava un complesso edilizio per civili abitazioni” e che la stessa impresa, “in dispregio dei più elementari diritti altrui, … edificava un muro di contenimento della quota innalzata, ostruendo definitivamente i passi carrabile e pedonale del fondo degli esponenti …”, ed hanno chiesto che il Tribunale adito “voglia ordinare all’impresa Umberto Andrisano s.p.a.

la immediata riduzione in pristino stato dei luoghi, a sue esclusive cure e spese …”;

che è dunque evidente che la situazione giuridica soggettiva fatta valere dinanzi al Tribunale di Taranto nei confronti della Società Andrisano è il possesso dell’immobile oggetto dello spoglio, senza che in detto ricorso introduttivo si faccia riferimento alcuno all’esercizio di poteri della pubblica amministrazione o alla qualità della Società Andrisano, ai rapporti di quest’ultima con il Comune di Taranto, ovvero ad atti o a provvedimenti di tale ente locale riconducibili in qualche modo allo spoglio denunciato;

che inoltre, al riguardo, deve aggiungersi che, trattandosi di controversia vertente tra privati, l’estraneità al giudizio della pubblica amministrazione comporta che le eventuali questioni concernenti la valutazione di aspetti di pubblico interesse, ovvero la disapplicazione o il sindacato di legittimità di provvedimenti amministrativi in via meramente incidentale, attengono al merito e non alla giurisdizione (cfr., ex plurimis, le ordinanze delle sezioni unite nn. 7800 del 2005, 6409 del 2010, 13639 del 2011), sicchè il profilo di censura con il quale si denuncia l’omessa considerazione di tutti gli atti ed i provvedimenti amministrativi menzionati nel motivo in esame è privo di rilevanza ai fini della decisione della questione di giurisdizione, in quanto essi – come già rilevato – non sono riconducibili, neppure indirettamente, al perpetrato spoglio;

che – una volta stabilito che la fattispecie attiene ad azione possessoria promossa da un privato nei confronti di altro privato e che, secondo la stessa prospettazione della ricorrente, il Comune di Taranto potrebbe al più essere qualificato come autore morale dello spoglio – perde qualsiasi consistenza la tesi dell’evocato litisconsorzio necessario tra la ricorrente e detto ente locale, in quanto lo spoglio e la turbativa costituiscono fatti illeciti e determinano la responsabilità individuale dei singoli autori degli stessi, con la conseguenza che nei giudizi possessori e nunciatori, quando il fatto lesivo del possesso sia riferibile a diversi soggetti, l’uno quale esecutore materiale e l’altro quale autore morale, sussiste la legittimazione passiva di entrambi, ma non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo la pretesa essere proposta anche nei confronti di uno solo dei responsabili (cfr., ex plurimis, le sentenze n, 11916 del 2000 e n. 7748 del 2011);

che il secondo motivo è inammissibile;

che, al riguardo – ferme tutte le considerazioni che precedono -, deve osservarsi che la Corte di Lecce ha affermato che, nella specie, l’impresa individuale A.U., mandataria dell’A.T.I. costituita tra la stessa impresa e la s.p.a. U. Andrisano, è stata “delegata da quest’ultima … a compiere l’attività negoziale e l’esecuzione delle opere edili ed urbanistiche di cui oggi si discute” e che anche lo spoglio commesso da una delle imprese del raggruppamento può “postulare un autore morale del denunciato spoglio individuabile in altra impresa dei raggruppamento che da quello spoglio abbia tratto vantaggio e/o in nome e nell’interesse della quale lo spoglio sia stato perpetrato”: ha affermato, in altre parole, che lo spoglio è stato materialmente commesso dall’impresa individuale Umberto Andrisano – quale delegata dalla s.p.a. Andrisano (non già certamente allo spoglio, ma) al compimento delle opere nel corso di esecuzione delle quali è stato perpetrato lo spoglio denunciato – e che l’autore morale di tale spoglio deve individuarsi nella Società delegante, sia perchè questa ha tratto da esso concreto vantaggio, sia perchè lo spoglio è stato perpetrato in suo nome e nel suo interesse;

che la ricorrente non censura specificamente tale ratio decidendi;

che essa, infatti, non ha censurato nè il presupposto da cui muove la Corte Leccese – costituito dall’affermazione che l’impresa individuale Umberto Andrisano ha eseguito i lavori, nel corso dei quali è stato commesso lo spoglio, a seguito di delega della Società Andrisano, nè la conseguenza che la stessa Corte ne ha tratto, cioè che la Società Andrisano deve qualificarsi autore morale dello spoglio quale soggetto delegante ed avvantaggiato dallo spoglio medesimo, limitandosi invece a criticare, peraltro in modo generico, la sentenza impugnata con riferimento alla struttura dell’associazione temporanea di imprese, alla autonoma soggettività di ciascuna impresa del raggruppamento ed alla sua conseguente responsabilità “individuale”;

che, infine, anche il terzo motivo – con il quale si denuncia l’omessa motivazione in punto sussistenza, nella specie, dell’animus spoliandi – è infondato;

che, infatti, l’elemento soggettivo che completa i presupposti dell’azione di spoglio risiede nella coscienza e volontà dell’autore di compiere l’atto materiale nel quale si sostanzia lo spoglio, indipendentemente dalla convinzione dell’agente di operare secondo diritto (cfr., ex plurimis e tra le ultime, la sentenza n. 2316 del 2011);

che, nella specie, i Giudici a quibus, circa l’esistenza dello spoglio, hanno affermato che, “con l’innalzamento della quota di campagna nell’ultimo tratto della via Brenna e l’erezione di un muro di contenimento erano realizzati sia l’oggetto dello spoglio sia l’ostruzione dell’accesso al fondo attraverso i cancelli”, con ciò evidenziando l’insita consapevolezza dell’autore materiale dello spoglio di impedire, con il compimento dei predetti atti, l’accesso all’immobile degli odierni controricorrenti, consapevolezza che, del resto, non poteva non essere comune alla Società Andrisano, posto che dagli scritti difensivi delle parti emerge il dato pacifico che Umberto Andrisano era sia titolare dell’omonima impresa individuale sia legale rappresentante della Società per azioni U. Andrisano;

che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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