Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2014 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. I, 28/01/2010, (ud. 05/11/2009, dep. 28/01/2010), n.2014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4576/2007 proposto da:

D.C.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso l’avvocato COZZI ARIELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato BALDASSINI Rocco, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

16/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI SCHIAVON che chiede che la Corte di Cassazione, in Camera di

consiglio, accolga il ricorso, per quanto di ragione, per manifesta

fondatezza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., con ogni conseguenza dì

legge.

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con decreto del 16 novembre 2006, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere a D.C.M., dipendente pubblico, un’indennità di Euro 10.000,00 oltre agli interessi legali per l’irragionevole durata di un procedimento in materia di inquadramento nella qualifica superiore iniziato davanti al TAR Lazio con ricorso del 21 novembre 1987, e concluso in primo grado con sentenza del 19 febbraio 1997, – proseguito in appello con ricorso del 18 aprile 1998 e concluso con sentenza 13 dicembre 2005 del Consiglio di Stato;

osservando: a) che il giudizio avrebbe dovuto avere durata complessiva di 3 anni in primo grado e due in grado di appello, laddove si era protratto per un periodo di oltre 10 anni; b) che tale durata eccedeva di circa 6 anni in primo grado e 4 in appello, quella ritenuta ragionevole dalla CEDU; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente a Euro 10.000,00 oltre agli interessi.

Che il D.C. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 2 motivi, con i quali, deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione,ha censurato la decisione in relazione alla determinazione della durata del procedimento, nonchè alla liquidazione del quantum per il ritardo;

Che il P.G. ne ha chiesto l’accoglimento per manifesta fondatezza;

A) Che è infondata la censura relativa alla durata del processo, secondo il ricorrente pari alla intera durata del giudizio, avendo questa Corte ripetutamente tratto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, la regola che nel giudizio di equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, rileva solamente il periodo eccedente il suddetto termine, essendo sul punto vincolante il criterio chiaramente stabilito dall’art. 2, comma 3 di detta legge; e che questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, valorizzato invece dalla Corte di Strasburgo, al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97 (Cass. 3716/2008; 8603/2005; 8568/2005).

B) Che è invece parzialmente fondata la censura relativa al periodo considerato di durata irragionevole del processo, avendolo la stessa Corte di appello, in conformità ai parametri elaborati dalla Corte europea per giudizi di analogo oggetto e rilevanza fissato in tre anni per il giudizio di primo grado ed in due anni per quello di appello; per cui considerato che quello davanti al TAR aveva avuto una durata complessiva di anni 9 e mesi 3, e l’appello davanti al Consiglio di Stato la durata di anni 7 e mesi 8, quella irragionevole doveva essere fissata in anni 6 e mesi 3 per il giudizio di primo grado ed in anni 5 e mesi 8 per quello di appello,perciò raggiungendosi un totale di anni 11 e mesi 11. E poichè tanto la sentenza impugnata,quanto il ricorrente hanno dedotto che per controversie di analoga natura la CEDU è solita liquidare un indennizzo non inferiore ad Euro 1.000,00 per ogni anno di durata ragionevole,è errata la liquidazione compiuta dal decreto impugnato nella misura complessiva di Euro 10.000,00.

C) Infondata è infine anche la censura che verte sul punto del mancato riconoscimento del c.d. bonus, in quanto nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore.

Sicchè, quando il giudice non attribuisce il c.d. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

Il decreto impugnato va, pertanto, cassato in relazione alle censure accolte; e poichè non necessitano ulteriori accertamenti il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., liquidando al D.C. un indennizzo che, in base allo stesso parametro di Euro 1.000,00 per anno utilizzato dal decreto impugnato viene determinato in misura complessiva di Euro 11.916,67 con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale. La Presidenza del Consiglio va altresì condannata a rifondere al ricorrente le spese processuali del giudizio di merito, nell’importo già liquidato dalla Corte di appello, nonchè quelle del giudizio di legittimità in ragione di metà, che si liquidano come da dispositivo: da distrarre a favore dell’avvocato Rocco Baldassini, che ha dichiarato d’aver anticipato le spese e non percepito gli onorari.

Essendo stato il ricorso accolto soltanto in minima parte, il Collegio ritiene di compensare tra le parti la metà delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere a D.C.M. la somma di Euro 11.916,67 con gli interessi dalla data della domanda; la condanna inoltre al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito in complessivi Euro 1200,00,di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 550,00 per onorario, nonchè delle spese del giudizio di cassazione in ragione di metà, liquidate nell’intero in Euro 700,00, di cui Euro 600,00 per onorari, unitamente al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge, e ne dispone la distrazione a favore dell’avvocato Rocco Baldassini. Dichiara interamente compensata tra le parti la restante metà.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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