Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20139 del 15/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2021, (ud. 24/05/2021, dep. 15/07/2021), n.20139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1254/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– ricorrente –

contro

G.R.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 337/18/13 della Commissione tributaria

regionale della Sicilia depositata il 14 novembre 2013;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 maggio 2021

dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore generale, Dott. Umberto De Augustinis, che ha chiesto

l’accoglimento del primo motivo, assorbiti i restanti motivi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria provinciale di Ragusa rigettò il ricorso presentato da G.R.A., esercente l’attività di commercio di autoveicoli, avverso l’avviso di accertamento, emesso dall’Agenzia delle entrate ai fini del recupero a tassazione di I.V.A., IRPEF, IRAP, per l’anno 1998.

2. Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, il contribuente propose appello, lamentando l’insufficienza della motivazione della sentenza di primo grado ed insistendo per il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Ufficio finanziario.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia, in accoglimento dell’impugnazione, accolse il ricorso, ritenendo di non poter confermare l’accertamento.

Rilevò, in particolare, che:

a) “dall’esame degli atti” si evincevano “le ragioni della parte contribuente”, che insisteva, ai fini dell’infondatezza e illegittimità dell’atto impositivo impugnato, sulle eccezioni di mancanza di motivazione e mancato assolvimento dell’onere della prova;

b) risultava “l’assenza di sufficienti motivazioni e adeguata prova a sostegno dell’accertamento”, mentre la parte contribuente aveva fornito elementi a fondamento delle proprie contestazioni idonei a formare un sufficiente convincimento sulla infondatezza ed illegittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria;

c) non era condivisibile l’analisi dei giudici di primo grado tendente a confermare la legittimità dell’accertamento e la conseguente determinazione del maggior imponibile in base a quanto emerso in sede di controllo e con il solo riferimento alle presunte forniture intracomunitarie, considerato che la documentazione acquisita e prodotta in giudizio dall’Ufficio era frammentaria, poco chiara e, in alcuni casi, illeggibile ed incomprensibile;

d) le argomentazioni dell’Ufficio non erano convincenti, dato che non si evinceva “da quanto prodotto e per quanto esposto in udienza”, che l’Ufficio avesse “sufficientemente dimostrato la non estraneità del contribuente ai rilievi contestatigli”.

3. Contro la decisione d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi.

Il contribuente, sebbene intimato, non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la difesa erariale deduce nullità della sentenza per motivazione apparente, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, lamentando che la C.T.R. non ha fornito alcuna reale argomentazione a supporto dell’annullamento dell’avviso di accertamento in relazione alla contestata detrazione dell’I.V.A. relativa ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.

2. Con il secondo motivo censura la decisione impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1, e art. 19, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene la ricorrente che i giudici di appello non hanno fatto buon governo delle regole sul riparto dell’onere probatorio, poiché hanno richiesto all’Amministrazione di fornire la prova dell’inesistenza dell’operazione, trascurando gli elementi emergenti dal verbale di accesso, richiamati in sede di appello. Aveva provato la mendacità delle dichiarazioni rese dal contribuente, riportando le interrogazioni al sistema “VIES”, che costituivano già per sé prova sufficiente, e producendo copia delle fatture emesse dai fornitori comunitari dalle quali risultava che i beni erano stati forniti alla ditta di cui il contribuente era titolare, identificata tramite il numero di partita I.V.A. e l’indirizzo.

3. Con il terzo motivo, deducendo la violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole che i giudici regionali hanno omesso di esaminare le diverse eccezioni formulate, relative sia alla distribuzione dell’onere della prova, sia ai fatti evidenziati dalle indagini svolte, anche presso l’anagrafe tributaria.

4. Con il quarto motivo, censurando la decisione impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la ricorrente assume che il fatto storico, rilevante e decisivo, del tutto disatteso dalla C.T.R., è rappresentato dalla dichiarazione resa dal contribuente di non avere acquistato all’estero autoveicoli, contraddetta dalle risultanze dell’anagrafe tributaria e dalle dichiarazioni dei venditori stranieri; se la C.T.R. avesse adeguatamente considerato tale elemento, si sarebbe addivenuti ad una diversa decisione, dal momento che con l’accertamento era stata contestata la omessa registrazione dell’acquisto intracomunitario (con i relativi obblighi di assolvimento dell’I.V.A.).

5. Il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti motivi.

5.1. Costituisce principio consolidato quello secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ossia dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, omette di illustrare l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

5.2. La sanzione di nullità colpisce, pertanto, non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione da punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano “una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., Sez. U, 7/04/2014, n. 8053), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass., Sez. U., 3/11/2016, n. 22232).

La motivazione e’, quindi, solo apparente quando, benché graficamente esistente, non consenta di comprendere il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., Sez. U, 3/11/2016, n. 22232; Cass., sez. 6-5, 15/06/2017, n. 14927).

5.3. Peraltro, per effetto della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, può essere denunciata in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

6. La motivazione della decisione impugnata è sicuramente inquadrabile nelle anomalie argomentative sopra indicate e integra una ipotesi di “motivazione apparente”, poiché si pone al di sotto del “minimo costituzionale”.

La C.T.R. ha infatti riformato la sentenza di primo grado, accogliendo il ricorso introduttivo del contribuente, sulla base di considerazioni ed affermazioni che non estrinsecano il percorso argomentativo che ha indotto i giudici di appello alla decisione assunta, posto che non è dato comprendere, dal sintetico contenuto del decisum, quali fossero le contestazioni mosse dall’Ufficio finanziario con l’avviso di accertamento, quali prove, sia pure indiziarie, siano state offerte dall’Agenzia delle entrate e quale prova di segno opposto sia stata fornita dalla parte contribuente.

I giudici di merito affermano in modo apodittico l’assenza di adeguata prova a sostegno della ripresa fiscale e la fondatezza delle contestazioni mosse dal contribuente, ma non chiariscono quale materiale probatorio sia stato oggetto di valutazione, né tanto meno la valenza probatoria di tali fonti di prova, impedendo in tal modo di verificare se sia stata fatta corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte con riguardo ai criteri di riparto dell’onere probatorio in relazione alle operazioni soggettivamente inesistenti.

6.1. Giova, al riguardo, rammentare che in tema di I.V.A., l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., sez. 5, 21/04/2017, n. 10120; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, 24/04/2018, n. 21104; Cass., sez. 6-5, 28/02/2019, n. 5873; Cass., sez. 5, 20/07/2020, n. 15369).

6.2. Orbene, la sentenza impugnata è eccentrica rispetto alla giurisprudenza di questa stessa Corte, in quanto da un lato afferma apoditticamente l’assenza di prova della conoscibilità da parte del contribuente che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione fosse iscritta in un’evasione o in una frode, argomentando che l’Ufficio non avrebbe offerto sufficienti elementi a sostegno del presunto coinvolgimento nell’operazione finalizzata all’evasione di imposta, sostanzialmente pretendendo che l’Amministrazione debba offrire una prova certa ed incontrovertibile; dall’altro, non indica in modo analitico da quali elementi della fattispecie abbia tratto il convincimento che non ricorressero nella fattispecie indizi che avrebbero dovuto rendere edotto il contribuente della partecipazione ad un meccanismo fraudatorio.

Risolvendosi la motivazione in formule astratte e stereotipate, che non consentono di verificare la correttezza del ragionamento logico-giuridico posto a base della decisione, questo Collegio non può che ritenere che si è in presenza di una tipica fattispecie di motivazione apparente che risulta costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio (Cass., sez. 6-5, 7/04/2017, n. 9105) e, quindi, tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6.

7. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso, con assorbimento dei restanti, e la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale competente, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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