Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20137 del 17/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/08/2017, (ud. 12/07/2017, dep.17/08/2017),  n. 20137

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14622/2016 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI DAUNI 2,

presso lo studio dell’avvocato MARIA OLGA MANNI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PONZIO

COMINIO 11, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE BRUNI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6770/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L.C. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 6770/2015 del 4 dicembre 2015, che ne aveva rigettato l’appello avanzato contro la sentenza n. 10715/2007 resa in primo grado dal Tribunale di Roma. Resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS).

Il giudizio era iniziato con citazione del 5 marzo 2003 proposta dal Condominio (OMISSIS), nei confronti dell’ex amministratore L.C. per ottenerne il pagamento della somma complessiva di Euro 6.144,62, oltre interessi e rivalutazione, pari agli importi non restituiti al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, e imputabili al Fondo riserva, al Fondo cassa ed al Residuo TFR. Il L. aveva in via riconvenzionale azionato un proprio credito verso il condominio a titolo di differenza passiva di cassa per Euro 1.614,35. Il Tribunale di Roma, all’esito di una CTU, aveva condannato il L. a versare al Condominio attore la somma di Euro 7.995,08, pari all’importo della domanda, per come ridotto in corso di causa. Proposto appello dal L., che formulava critiche all’elaborato peritale compiuto nel giudizio di primo grado, la Corte di Roma disponeva una nuova CTU, che reputava non logica e coerente la prima relazione tecnica per l’assemblaggio di voci di bilancio, e rideterminava in Euro 8.626,52 la somma che l’ex amministratore avrebbe dovuto restituire al Condominio. La Corte d’Appello dichiarava così di condividere la seconda CTU, che aveva anche risposto nella sua relazione definitiva ai rilievi critici mossi da parte appellante. In specie, il secondo perito negava che la contabilità esaminata comprovasse un credito del L., in quanto riportava una “voce non rappresentativa di alcuna spesa effettivamente sostenuta”. Poichè il credito restitutorio del Condominio, accertato dall’ausiliare, era superiore all’importo della domanda dello stesso, la Corte d’Appello si limitava a confermare la pronuncia di primo grado.

Il primo motivo del ricorso di L.C. denuncia l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa la contestata duplicazione di importi compiuta nella CTU, richiamando le critiche svolte alla bozza di relazione peritale nelle note del 29 dicembre 2014 e la risposta all’uopo fornita dal CTU.

Il secondo motivo di ricorso deduce parimenti un omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione al mancato conteggio dell’importo di Lire 11.297.613, quale saldo passivo dell’esercizio curato dal precedente amministratore.

Il terzo motivo del ricorso di L.C. denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1130 c.c., u.c. (formulazione applicabile ratione temporis, antecedente alla modifica operata nel 2012), nonchè degli artt. 1710,1713 e 1720 c.c.. Vi si assume che considerare l’importo di Lire 11.297.613 come inesistente, perchè costituente “voce non rappresentativa di alcuna spesa effettivamente sostenuta” è cosa aberrante, in quanto esso costituisce il saldo negativo dell’esercizio precedente, finendosi altrimenti per porre a carico dell’amministratore quel saldo passivo che egli non abbia recuperato.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

Il controricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

I tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè connessi.

E’ noto come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che tale vizio va denunciato nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Rimane fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

Anche il terzo motivo, che in rubrica ipotizza una violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, in realtà allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze della causa di merito, deduzione che è da ritenersi esterna all’esatta interpretazione delle norme di legge e inerisce alla tipica valutazione probatoria del giudice del merito.

Ora, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, poichè il credito dell’amministratore per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio si fonda, ex art. 1720 c.p.c., sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, è l’amministratore che deve offrire la prova degli esborsi effettuati, mentre i condomini (e quindi il condominio) – che sono tenuti, quali mandanti, a rimborsargli le anticipazioni da lui effettuate, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, ed a pagargli il compenso oltre al risarcimento dell’eventuale danno – devono dimostrare di avere adempiuto all’obbligo di tenere indenne l’amministratore di ogni diminuzione patrimoniale in proposito subita (Cass. Sez. 2, 30/03/2006, n. 7498). Era dunque l’ex amministratore L. a dover fornire la dimostrazione dei fatti su cui fondare la propria pretesa di recupero delle spese sostenute, ma il CTU ha valutato che la voce rendicontata “Residui permanenti” non comprovasse un esborso effettuato dal medesimo L. nell’esecuzione della propria attività gestoria. Spetta comunque all’assemblea il potere di approvare, col conto consuntivo, gli incassi e le spese condominiali, e solo una chiara indicazione in bilancio dell’importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili può costituire idonea prova del debito dei condomini nei confronti del precedente amministratore (arg. da Cass. Sez. 2, 28/05/2012, n. 8498; Cass. Sez. 2, 14/02/2017, n. 3892).

Viceversa, l’amministratore del condominio, a norma dell’art. 1713 c.c., è tenuto alla scadenza del suo incarico a restituire ciò che ha ricevuto nell’esercizio del mandato per conto del condominio, vale a dire tutto ciò che ha in cassa, indipendentemente dalla gestione alla quale le somme si riferiscono (Cass. Sez. 2, 16/08/2000, n. 10815).

Coi tre motivi di ricorso, si intende sollecitare questa Corte a rivalutare la sussistenza della prova, nella contabilità condominiale, degli esborsi effettuati dal L. a titolo di anticipazione, ovvero a ricalcolare ciò che ci fosse in cassa al momento della cessazione del suo mandato, ma tali valutazioni e calcoli costituiscono accertamenti di fatto demandati al giudice di merito, e sono incensurabili in cassazione se non sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente prospetta, invece, mere difformità tra la valutazione di determinate poste contabili operata dal consulente tecnico e la propria valutazione. I tre motivi di ricorso, denunciando l’acritica adesione della sentenza impugnata alla CTU, indicano circostanze ed elementi che sono stati comunque presi in considerazione dalla Corte d’Appello di Roma, e si sostanziano nella contestazione dell’esattezza delle conclusioni dell’espletata consulenza mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dalla parte. D’altro canto, il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi contenuti nelle note tecniche di parte (come avvenuto nel caso in decisione), esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni delle parti, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese. Le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non obbligano il giudice ad un’espressa pronunzia al riguardo (cfr. Cass. Sez. 6-3, 02/02/2015, n. 1815).

Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente Condominio le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2017

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