Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20134 del 17/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/08/2017, (ud. 12/07/2017, dep.17/08/2017),  n. 20134

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12290-2016 proposto da:

CO.GI.R SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRAFICI

199/A, presso lo studio dell’avvocato LIDIA MARIA PALATIELLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato UMBERTO GIUSEPPE GARRISI;

– ricorrente –

contro

G.A., G.C., G.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio

dell’avvocato MARCO GARDIN, rappresentati e difesi dall’avvocato

ROBERTO GUALTIERO MARRA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 518/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 09/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La CO.GI.R. s.r.l. ha proposto ricorso, articolato in quattro motivi (il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 1170 c.c. e art. 703 c.p.c., in tema di decadenza dall’azione di manutenzione; il secondo per violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 873 c.c.; il terzo per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c.; il quarto per violazione e falsa applicazione delle norme in materia di regolamento delle spese processuali) avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce n. 518/2015 del 16 luglio 2015. Resistono con controricorso G.M., G.C. e G.A..

La sentenza impugnata ha rigettato l’appello principale della CO.GI.R. s.r.l. ed accolto l’appello incidentale di G.M., G.C. e G.A. avverso la sentenza resa l’11 novembre 2011 dal Tribunale di Lecce, così confermando la fondatezza dell’azione di manutenzione spiegata da G.M. e da T.A. (quest’ultima poi deceduta in corso di causa) contro la costruzione realizzata dall’attuale ricorrente in località San Cesario, via Dante, in quanto lesiva delle distanze legali.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2. In ordine alle considerazioni svolte nella memoria della ricorrente, deve considerarsi che l’art. 380-bis c.p.c., come modificato dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis (conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016), non prevede che la “proposta” del relatore di trattazione camerale possa e debba essere motivata, potendo essa contenere sommarie o schematiche indicazioni, ritenute dal presidente meritevoli di segnalazione alle parti, al momento della trasmissione del decreto di fissazione della camera di consiglio, al fine di una spontanea e non doverosa agevolazione nell’individuazione dei temi della discussione, senza che possa riconoscersi un loro corrispondente diritto (Cass. Sez. 6 – 3, 22/02/2017, n. 4541).

1. Il primo motivo del ricorso della CO.GI.R. s.r.l. è infondato. Tale censura contesta la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto che al momento del deposito del ricorso per manutenzione (13 novembre 1998) non fosse ancora decorso il termine annuale di decadenza, in quanto i lavori fino ad allora effettuati non erano di altezza superiore a quella del muro preesistente e solo dopo la sospensione dei lavori del piano rialzato, decretata dal Comune di San Cesario il 14 gennaio 1998, si era resa palese l’effettiva entità della costruzione, e quindi era divenuta percepibile la lesione possessoria. La ricorrente sostiene che i lavori fossero stati sin dall’inizio avviati in modo percepibile. In tal modo, viene dedotta, sub specie della violazione dell’art. 1170 c.c. e dell’art. 703 c.p.c., non un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle indicate norme di legge, quanto un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, censura esterna all’esatta interpretazione delle norme e inerente, piuttosto, alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui critica è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. La sentenza impugnata ha poi fatto corretta applicazione, ai fatti da essa accertati, del principio più volte affermato da questa Corte, secondo il quale, in tema di azione di manutenzione, qualora alla turbativa del possesso concorra una pluralità di atti, il “dies a quo”, dal quale decorre il termine annuale per proporre detta azione possessoria, va individuato in quello in cui è percepibile, da parte del soggetto passivo, che un singolo atto costituisca parte di una pluralità di atti intesa a realizzare una lesione possessoria. Va, pertanto, distinta l’ipotesi in cui la lesione del possesso si sostanzia in una pluralità di atti ciascuno dei quali autonomamente lesivo, da quella in cui l’atto lesivo sia uno solo, ancorchè preceduto da altri atti di carattere strumentale; nell’un caso, il detto termine decorre dal primo degli atti lesivi quando essi siano connessi in modo da costituire una progressione seriale di attentati possessori, mentre decorre da ciascuno e per ciascuno degli atti lesivi ove essi presentino carattere di autonomia; nell’altro, essendovi un unico atto lesivo, quello finale, il “dies a quo” decorre da quest’ultimo; tuttavia, anche in tal caso, se gli atti strumentali, di per se stessi non lesivi, siano tali da rendere evidente la loro funzionalità alla realizzazione finale della lesione, il termine decorre dal primo di essi percepibile come tale, nella specie identificato, sulla base di compiuto apprezzamento di fatto, con la sospensione del gennaio 1998 (Cass. Sez. 2, 23/05/2012, n. 8148 del Cass. Sez. 2, 10/03/2008, n. 6305). E’ altrettanto consolidato nella giurisprudenza l’orientamento per cui, ove vengano denunciati, quali molestie possessorie, l’ampliamento e la sopraelevazione di un edificio preesistente in violazione delle norme sulle distanze legali, il giudice di merito non può limitarsi, ai fini della determinazione del termine utile per l’esercizio dell’azione, a dare rilievo all’inizio dei lavori in elevazione, ma deve accertare, come correttamente fatto dalla Corte di Lecce, se l’attività anteriore rendesse già percepibile la lesione del possesso e dovesse perciò considerarsi oggettivamente molesta (Cass. Sez. 2, 26/05/1994, n. 5162).

2. Il secondo motivo di ricorso si duole della mancata considerazione di una sentenza del Consiglio di Stato del 2010, la quale non aveva ritenuto di poter definire il giudizio amministrativo inter partes sulla base della CTU espletata nel procedimento possessorio.

Il terzo motivo di ricorso rileva la sussistenza di un giudicato sostanziale con riferimento alla stessa sentenza del Consiglio di Stato.

Le due censure possono essere trattate congiuntamente per la loro connessione e si rivelano inammissibili. La Corte d’Appello di Lecce ha posto in rilievo come la sentenza del Consiglio di Stato avesse deciso soltanto sull’inammissibilità del ricorso amministrativo per la mancata impugnazione di una prima concessione edilizia, e come la stessa sentenza avesse ad oggetto unicamente la legittimità delle concessioni edilizie. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso della CO.GI.R. s.r.l. mancano, pertanto, dei necessari requisiti di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sostanziandosi in censure rivolte in parte contro la sentenza di primo grado, anzichè contro quella di appello, e comunque prive di specifica attinenza al “decisum” del provvedimento della Corte d’Appello di Lecce. La Corte d’Appello ha infatti aderito ad un principio interpretativo del tutto condivisibile, secondo cui, comunque, la pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell’esercizio del potere da parte della P.A., ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicchè non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprietà determinata dalla violazione della normativa in tema di distanze legali, che è posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato (Cass. Sez. 2, 14/05/2015 n. 9869).

3. E’ altresì infondato il quarto motivo di ricorso, che lamenta la mancata considerazione della soccombenza delle signore G. e Taurino nel reclamo cautelare avente ad oggetto l’istanza di cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale. La Corte d’Appello di Lecce ha invece valutato la CO.GI.R. totalmente soccombente in base all’esito complessivo della controversia. Non merita censura nemmeno sul punto la sentenza impugnata, in quanto il giudice di appello, allorchè, come nel caso in esame, riformi in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, rientrando nel potere discrezionale del giudice del giudizio di merito, in considerazione del medesimo esito finale della lite, regolare diversamente le sole spese affrontate nel giudizio cautelare svoltosi in corso di causa.

Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte suprema di cassazione, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2017

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