Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20133 del 15/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 15/07/2021), n.20133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 230-2013 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI

72, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA ALIBERTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 82/2012 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il 11/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento n. (OMISSIS) per l’anno 2004 e n. (OMISSIS) per l’anno 2005, con cui l’Agenzia delle Entrate, sulla base del p.v.c. della G. F., aveva ricostruito il reddito del contribuente, e recuperato le imposte maggiori non versate, sia ai fini iva che irpef e irap, ed irrogando le relative sanzioni.

Entrambi gli accertamenti erano impugnati dal contribuente L.M., e la commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza nr 108/8/2011, in parziale accoglimento del ricorso, determinava in misura inferiore sia il volume di affare che il reddito, con conseguente riduzione delle imposte.

Proponeva appello il contribuente che riaffermava la nullità della autorizzazione ad accedere nella abitazione non essendo stati indicati i gravi indizi di violazioni fiscali ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 52, comma 2.

La commissione regionale con sentenza n. 82/32/2012 respingeva l’appello, “avendo i verbalizzanti effettuato la verifica nell’unico luogo possibile vale a dire presso l’abitazione del contribuente”. Propone ricorso in Cassazione il contribuente il quale si affida a 2 motivi così sintetizzabili:

i) Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Si costituisce con controricorso l’agenzia delle Entrate chiedendo che il ricorso sia rigettato. Il contribuente deposita altresì memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che il giudice non ha tenuto conto del fatto incontroverso che l’acquisizione dei documenti posti a base dell’accertamento era avvenuta in definitiva nel domicilio del contribuente, e con il secondo motivo che l’ispezione nel domicilio del contribuente era avvenuta in base ad una autorizzazione priva dei requisiti di legge, non essendo indicati “i gravi indizi di violazione”.

I motivi da esaminare congiuntamente stante l’intima connessione, vanno respinti.

In via preliminare va precisato, in base ai principi di giurisprudenza della Corte, che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, commi 1 e 2, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo.

(Sez. 5 -, Ordinanza n. 21411 del 06/10/2020).

Nel caso come risulta evidente dai fatti esposti, l’attività imprenditoriale era svolta esclusivamente nell’abitazione del contribuente, che attraverso il web effettuata in via professionale vendita di oggetti. Come si vede l’immobile era utilizzato in via promiscua sia ad abitazione che per l’attività imprenditoriale, sicché era sufficiente la sola autorizzazione del P.M. senza la necessità di indicare analiticamente gli indizi, peraltro in concreto esistenti. Con tali motivi quindi si elude alla questione di fondo della “promiscuità” dell’uso dell’immobile, che escludeva l’applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2.

Le spese seguono la soccombenza e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Respinge il ricorso e condanna il ricorrente il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate per onorari nella misura di Euro 4100,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

 

 

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