Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20133 del 07/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 07/10/2016, (ud. 20/06/2016, dep. 07/10/2016), n.20133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16158-2010 proposto da:

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA CIRCONVALLAZIONE

GIANICOLENSE 302, presso lo studio dell’avvocato PIETRO FERRI,

rappresentato e difeso dall’avvocato UMBERTO SALVATORI giusta delega

in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 436/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

LATINA, depositata il 29/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito per il ricorrente l’Avvocato TOMASELLI per delega dell’Avvocato

SALVATORI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

E.G. ricorre, sulla base di quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con tempestivo controricorso), per la cassazione della sentenza n. 436/40/09 della CTR di Roma – sez. distaccata di Latina, in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento per Irpef, Irap, addizionale regionale e comunale, relativo all’anno di imposta (OMISSIS); con l’avviso in oggetto l’Ufficio ha proceduto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) alla rettifica della dichiarazione Mod. 740 attribuendo all’ E. un maggior reddito di impresa per effetto dei maggiori ricavi accertati in applicazione dei parametri di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 184.

La sentenza impugnata, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto il ricorso del contribuente. Il giudice di appello, premesso che lo scostamento dai parametri ex lege n. 549 del 1995 costituisce presunzione legale relativa, cioè una presunzione grave precisa e concordante circa la esistenza di ricavi non dichiarati, la quale ammette prova contraria della quale è onerato il contribuente e che tale prova può essere offerta sia in sede di definizione con adesione che in sede giurisdizionale, premesso che nell’ambito dell’attività di controllo basata sui parametri assume specifica rilevanza la fase del contraddittorio dinanzi all’Ufficio, ha rilevato che l’ E., pur regolarmente invitato dall’Ufficio a fornire spiegazioni e documenti idonei a vincere la presunzione prevista dalla norma, non aveva dato riscontro all’invito, di talchè l’Amministrazione non era stata posta in grado di valutare fatti e circostanze idonei a dimostrare la non applicabilità degli studi di settore, o, in alternativa, la esistenza di ragioni giustificative dei minori ricavi dichiarati; neppure in sede giurisdizionale, del resto, il contribuente aveva esibito documentazione idonea a dare conto dello scostamento dai parametri; aveva inoltre errato il giudice di primo grado a ritenere l’applicazione dei parametri ex lege n. 549 del 1995 subordinata alla non corretta tenuta della contabilità.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 184. Sostiene che la qualificazione dello scostamento dai parametri come “presunzione legale relativa” si pone in contrasto sia con il dato testuale dell’art. 3, comma 181 L cit. sia con la sentenza Corte cost. n. 105 del 2003, sia, infine, con i principi espressi dalle sezioni unite di questa Corte con le pronunzie nn. 266637, 26638 e 26639 del 2009, secondo le quali lo scostamento dai parametri costituisce una presunzione semplice la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito in quanto l’astrattezza della elaborazione statistica trova un efficace correttivo nel contraddittorio preventivo con i soggetti destinatarii dell’accertamento.

Con il secondo motivo deduce violazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, lett. b). Censura la decisione per avere ritenuto che l’applicazione dei parametri non fosse subordinata alla verifica della inattendibilità della contabilità a seguito di verbale di ispezione.

Con il terzo motivo di ricorso deduce violazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 3 per avere il giudice di appello ritenuto fondato l’accertamento in quanto il contribuente, pur essendo stato regolarmente invitato a fornire spiegazioni e documenti per vincere la presunzione prevista dalla norma non aveva dato riscontro all’invito. Censura che il giudice di appello abbia ritenuto il contraddittorio con l’Ufficio, l’unica sede nell’ambito della quale era consentito al contribuente offrire le proprie giustificazione in merito allo scostamento dai parametri. Si duole che non sia stata attribuita rilevanza alla certificazione medica prodotta in giudizio dalla quale si evinceva che l’impossibilità di partecipare al contraddittorio per gravi motivi di salute. Assume che la documentazione contabile prodotta in giudizio era idonea a giustificare lo scostamento dai parametri.

Con il quarto motivo di ricorso deduce omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato da tutte le deduzioni esposte e documentate dal contribuente a giustificazione dello scostamento dai parametri.

Si premette che al presente ricorso, in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata – il 29 giugno 2009- si applica la disciplina dettata dall’art. 366 bis c.p.c. introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 (art. 6).

Questo giudice di legittimità ha chiarito che la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico – giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, con la conseguenza che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il motivo inammissibile e dovendo altresì ritenersi inammissibile il motivo di diritto che si limiti a chiedere alla Corte puramente e semplicemente se vi sia stata o meno violazione di una determinata disposizione di legge, posto che la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass. n. 714 del 2011, n. 8643 del 2009, nonchè S.U. n. 7433 del 2009, n 24339 del 2008). E’ stato poi precisato che il quesito di diritto deve essere conferente rispetto al “decisum” e poter circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito medesimo (v. Cass. n. 17064 del 2008); esso, inoltre, non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, (v., tra le altre, Cass. n. 3530 del 2012) e non può essere formulato in modo da involgere una “quaestio facti” (v. S.U. n. 23860 del 2008).

Quanto al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al quale si richiede “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione” questa Corte ha precisato che la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi è necessaria anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze definitive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito. (Cass. n. 24 255 del 2011).

Parte ricorrente non ha rispettato tali prescrizioni.

Invero, quanto al primo motivo di ricorso il quesito di diritto è formulato nei seguenti termini: “Dica la Suprema Corte se i parametri di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 179 – 189 costituiscono ex lege una presunzione legale che assolverebbe in sè tanto la motivazione dell’accertamento quanto l’onere della prova gravante sull’Ufficio o una presunzione semplice”.

Tale quesito, non esprime alcuna specifica rilevanza in relazione alle ragioni del decisum. Come chiarito da questa Corte la presunzione semplice e la presunzione legale “iuris tantum” si distinguono unicamente in ordine al modo di insorgenza, perchè mentre il fatto sul quale si fonda la prima dev’essere provato in giudizio ed il relativo onere grava su colui che intende trarne vantaggio, la seconda è stabilita dalla legge e, quindi, non abbisogna della prova di un fatto sul quale possa fondarsi e giustificarsi. Una volta, tuttavia, che la presunzione semplice si sia formata e sia stata rilevata, essa ha la medesima efficacia che deve riconoscersi alla presunzione legale “iuris tantum”, quando viene rilevata, in quanto l’una e l’altra trasferiscono a colui, contro il quale esse depongono, l’onere della prova contraria, la cui omissione impone al giudice di ritenere provato il fatto previsto, senza consentirgli la valutazione ai sensi dell’art. 116 c.p.c. Cass. ord. n. 4241 del 2016).

Consegue che la qualificazione dello scostamento dei parametri come presunzione legale relativa anzichè come presunzione semplice risulta indifferente al fine della configurazione dell’onere probatorio a carico della parte privata la quale risulta comunque onerata, una volta che la presunzione si sia formata.

La rilevata inidoneità del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. comporta la inammissibilità del primo motivo di ricorso.

Il quesito di diritto in calce al secondo motivo di ricorso è formulato in questi termini: “Dica la Suprema Corte se coloro che svolgono attività di impresa o arti e professioni in contabilità ordinaria possono essere destinatari di un accertamento con l’applicazione di parametri solo laddove la contabilità risulti inattendibile a seguito di verbale di ispezione” Anche tale quesito non risulta pertinente alle ragioni alla base della decisione, in quanto l’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale il giudice di primo grado aveva errato a ritenere l’applicazione dei parametri ex lege n. 549 del 1995 subordinata alla non corretta tenuta della contabilità, non contiene anche la precisazione che nel caso di specie, per l’attività di intermediazione finanziaria svolta in forma di impresa individuale, l’ E. aveva adottato il regime di contabilità ordinaria. Tale considerazione è dirimente in quanto il denunziato errore di diritto potrebbe ritenersi sussistente solo ove il contribuente fosse annoverabile fra i soggetti esercenti attività di impresa in contabilità ordinaria, in conformità di quanto previsto dalla L. n. 549 cit., art. 3, comma 181, lett. b). Di tale circostanza tuttavia parte ricorrente non deduce la omessa considerazione da parte del giudice di secondo grado nè dimostra, in termini autosufficienti, che la stessa potesse ritenersi acquisita al giudizio in quanto oggetto di rituale e tempestiva allegazione nelle fasi di merito.

In base alle considerazioni che precedono anche il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile.

Parimenti il terzo motivo, in relazione al quale il quesito di diritto è così formulato: “Dica la Suprema Corte se può costituire prova delle ragioni dell’Ufficio il fatto che il contribuente non abbia risposto all’invito fattogli dall’Ufficio, ai sensi del D.Lgs. n. 128 del 1997, art. 5 e se il contribuente nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento può esporre gli elementi di prova a suo favore”.

Anche in tale quesito, la denunzia dell’errore di diritto ascritto alla sentenza impugnata non risulta coerente con le ragioni alla base della decisione. La CTR non ha affatto affermato che la mancata presentazione del contribuente al contraddittorio con l’Ufficio costituiva prova dei fatti alla base della pretesa tributaria. Si è limitata, infatti, a valorizzare il momento del contraddittorio amministrativo in quanto inteso a consentire al contribuente la offerta di elementi e documenti al fine della compiuta valutazione da parte dell’Amministrazione di fatti e circostanze rilevanti, al fine dell’applicabilità o meno degli studi di settore; ciò tuttavia senza escludere la possibilità per il contribuente di offrire tale prova in sede giurisdizionale.

Parimenti non pertinente si rivela la seconda parte del quesito che non evidenzia alcuno specifico errore di diritto ascrivibile alla sentenza impugnata la quale ha dato espressamente atto di avere esaminato la documentazione prodotta in sede giudiziale dall’ E. e di averla ritenuta inidonea a giustificare il mancato adeguamento ai parametri.

Inammissibile, infine, è anche il quarto motivo di ricorso in quanto il momento di sintesi – peraltro non rinvenibile in calce all’illustrazione del motivo -, ove ravvisabile nell’incipit della relativa illustrazione, risulta affidato alla seguente affermazione “il fatto controverso in relazione al quale la motivazione è del tutto omessa concerne le deduzioni esposte e documentate dal contribuente a giustificazione dello scostamento dai parametri.” Si tratta di affermazione assolutamente generica mancando la chiara indicazione del fatto controverso e dello specifico vizio motivazionale nel quale, in relazione a detto fatto, sarebbe incorso il giudice di appello.

A tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese sono regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in 2.000,00 (duemila) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016

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