Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2013 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. I, 28/01/2010, (ud. 04/11/2009, dep. 28/01/2010), n.2013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 381/2005 proposto da:

FALLIMENTO DI H.T. S.N.C. DI PIVA ANGELA & C. E DEI SOCI

SOLIDALMENTE

ED ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI P.A. E P.R., in

persona del Curatore avv. A.P., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DE CAROLIS 74, presso l’avvocato PIATTONI Loredana, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRENTINI CARLO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

H.T. S.N.C. DI PIVA ANGELA E C. (P.I. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, nonchè P.A. (c.f.

(OMISSIS)), P.R. (c.f. (OMISSIS)),

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

MODENA NADIA, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

BANCA DI TRENTO E BOLZANO S.P.A., FACTORIT S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1673/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/11/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 8 aprile 1998 il Tribunale di Verona dichiarò il fallimento della società HT s.n.c. di Piva Angela con sede in (OMISSIS), esercente attività di produzione e conseguente commercializzazione di materiale elettrico ed elettronico ed iscritta all’albo degli artigiani della Provincia di Trento, nonchè dei soci illimitatamente responsabili A. e P.R..

I falliti proposero opposizione a mente della L. Fall., art. 18, innanzi al medesimo Tribunale, sostenendo che attesa la natura artigiana dell’attività esercitata la società non era assoggettabile al fallimento.

Il Tribunale ne dispose il rigetto con sentenza 10.12.2001, che i predetti impugnarono innanzi alla Corte d’appello di Venezia che, con sentenza n. 381 notificata il 21 ottobre 2004, l’ha invece accolta.

Il curatore del fallimento della Società HT ricorre per cassazione avvero questa decisione con tre mezzi resistiti con controricorso dalla società HT e dai soci A. e P.R.. I creditori istanti intimati non hanno invece spiegato difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2083 c.c., e della L. Fall., art. 1, e contesta l’interpretazione seguita dalla Corte di merito, secondo la quale l’iscrizione di un’impresa all’albo artigiano ha efficacia costitutiva ai soli fini fiscali, creditizio e previdenziale, assumendo che la disposizione fallimentare citata sottopone comunque le società commerciali alla procedura concorsuale. Sollecita inoltre rimeditazione dell’esegesi, affermata nella decisione impugnata sul solco degli enunciati espressi in questa sede di legittimità, richiamando le pronunce del giudice della L. n. 54 del 1991 e L. n. 368 del 1991, che avrebbero affermato che le società commerciali in nessun caso sono piccoli imprenditori commerciali.

Col secondo motivo, deducendo vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, critica la sentenza impugnata laddove ha desunto la ricorrenza dei requisiti prescritti dall’art. 2083 c.c., sulla scorta della prevalenza del lavoro dei soci rispetto al capitale investito, affermata sulla base del valore degli investimenti, risultati di valore non superiore a L. 300 milioni. In presenza di volume d’affari modesti, è illogico affermare che suddetto importo è irrisorio.

La società resistente deduce l’infondatezza di entrambe le censure.

I motivi, i quali meritano esame congiunto, sono infondati.

La Corte territoriale, incontroversa l’insolvenza, e premesso che, ai fini dell’accertamento della nozione di artigiano anche per le società deve farsi riferimento ai criteri stabiliti dall’art. 2083 c.c., mentre l’iscrizione all’albo degli artigiani non ha carattere costitutivo se non a fini creditizio, fiscale e previdenziale, ha rilevato che il riferimento nello statuto della società HT all’esercizio d’attività commerciale, valorizzata dai primi giudici, è irrilevante. Di altro non si tratterebbe che della fase finale del ciclo d’impresa, come reso evidente dall’attributo “conseguente” all’attività di produzione. Non avrebbe rilievo l’inadeguatezza della sede sociale allo svolgimento dell’attività, essendo pacifico che dopo il trasferimento a Caprino Veronese la società era rimasta inattiva.

Sono invece valorizzabili il valore delle immobilizzazioni mai superiore a L. 300.000.000 annue, l’assenza di dipendenti e l’esiguo giro d’affari, confermato dalle risultanze dello stato passivo che ha attestato l’ammontare in L. 123.282.085 dei crediti ammessi. Elementi tutti che confermano la presunzione discendente dall’iscrizione all’albo artigiano. Difettano infine elementi che legittimerebbero l’affermazione che i soci non avrebbero svolto la loro attività personalmente.

Tale decisione è senz’altro corretta.

Sul postulato che l’iscrizione all’albo degli artigiani ha funzione solo presuntiva, la Corte Territoriale ha condotto la sua indagine sul complesso dei dati fattuali esaminati, apprezzandoli quali elementi di conferma della modesta dimensione della società fallita, che avrebbe dovuto sottrarla al fallimento. Ha fatto dunque buon governo della corretta esegesi della norma fallimentare richiamata in rubrica, che si è consolidata (cfr. Cass. n. 3690/2000) e dalla quale non vi sono ragioni per discostarsi, secondo cui, dopo la pronuncia del giudice della L. n. 570 del 1989, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 3 Cost., la L. Fall., art. 1, comma 2, come modificato dalla L. n. 1375 del 1952, art. 1, la nozione di piccolo imprenditore, che delimita l’area che sottrae la categoria al fallimento, deve riferirsi agli imprenditori esercenti un’attività commerciale conforme ai criteri sanciti nell’art. 2083 c.c., sicchè la distinzione tra, piccolo, medio e grande imprenditore, poggia sulla verifica dell’attività svolta, dell’organizzazione dei mezzi impiegati, dell’entità dell’impresa e delle ripercussioni che il dissesto produce nell’economia generale.

Del tutto irrilevante è invece l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane previsto dalla L. 8 agosto 1985, n. 443, poichè essa consente la mera fruizione delle provvidenze previste dalla legislazione regionale di sostegno, ma non si sovrappone alla regolamentazione codicistica citata, che resta esclusivo parametro di riferimento in materia fallimentare (cfr. Cass. n. 12702/2003, n. n. 4455/2001).

Analogamente accade se l’impresa abbia natura collettiva. La sentenza n. 368 del 1991, con cui la Corte Costituzionale ha sottoposto allo scrutinio di costituzionalità la L. Fall., art. 1, comma 2, ne ha affermato l’abrogazione nella parte in cui escludeva che le società artigiane potessero essere considerate piccoli imprenditori, ed ha collocato la nozione di società artigiana, esercente una piccola impresa, nella nozione espressa nell’art. 2083 c.c., che non si riferisce giustappunto alla sola categoria dell’imprenditore individuale, sottraendola in quanto tale al fallimento. Laddove venga chiesto il fallimento di una società, sia essa artigiana o non, occorre pertanto aver riguardo alla sussistenza dei requisiti prescritti dal menzionato art. 2083 c.c. (Cass. n. 20640/2004), e quindi accertare se essa fruisca di un’organizzazione tale da costituire una base d’intermediazione speculativa sicchè il suo guadagno assume i connotati del profitto, e l’opera dei soci non sia più essenziale nè prevalente.

In presenza di tali condizioni la società può essere assoggettata a procedura concorsuale perchè non può qualificarsi piccolo imprenditore.

Il ricorrente contrappone a tale esegesi una propria personale interpretazione del dato normativo, del tutto infondata.

Piuttosto occorre rilevare che, conducendo il proprio vaglio sulle risultanze probatorie acquisite nel solco dei suddetti enunciati, la Corte Territoriale ha desunto dal bagaglio istruttorio elementi che disvelano, a suo avviso, un fattore organizzativo funzionale allo svolgimento di attività di modeste dimensioni, ricavandone conferma nei dati riferiti incontroversi, a suo giudizio insindacabile nel merito confermativi della presunzione discendente dalla sua iscrizione all’albo degli artigiani. Tanto rendendo conto del percorso argomentativo che ha sorretto tale conclusone con tessuto motivazionale esaustivo, esposto con chiarezza, ordine logico e puntualità, immune dai vizi dedotti nella censura in esame.

La critica esposta nel secondo motivo censura in sostanza, ad onta della sua prospettazione, la valutazione condotta dal giudice del gravame sui dati apprezzati, che il ricorrente rivisita rielaborandone la lettura in chiave in tesi più corretta. E’ pertanto inammissibile.

Ne discende il rigetto del ricorso con condanna del fallimento ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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