Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2013 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 24/01/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 24/01/2022), n.2013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5777-2020 proposto da:

B.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4482/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/07/2019 R.G.N. 1448/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2021 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da B.I. avverso l’ordinanza del locale Tribunale che aveva respinto “il ricorso volto a conseguire il rilascio della carta di soggiorno in quanto familiare di cittadino comunitario ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 7, comma 2”;

2. la Corte territoriale, per quanto specificamente interessa in questa sede, ha ritenuto il difetto di specificità dei motivi di gravame, non avendo sottoposto “ad argomentate censure le effettive e specifiche ragioni svolte dal tribunale a fondamento del provvedimento impugnato”;

3. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il soccombente con 1 motivo; il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il motivo di ricorso si denuncia: “Erroneità della motivazione laddove la Corte di Appello di Roma ha dichiarato inammissibile il gravame per l’assenza di specificità dei motivi. Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto”;

2. il motivo è inammissibile;

ancora di recente le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 23745 del 2020) hanno ribadito il principio secondo cui: “In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa” (v. pure, tra molte, Cass. n. 4905 del 2020; Cass. n. 5001 del 2018);

invero, i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non articoli specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità, avendo il ricorrente l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del giudizio di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione di identificare la critica mossa (v., tra le altre, Cass. n. 2959 del 2020; conf. Cass. n. 1479 del 2018); pertanto, se nel ricorso per cassazione si sostiene l’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, si deve chiarire a pena di inammissibilità l’errore di diritto imputato al riguardo alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia (Cass. SS.UU. 21672 del 2013);

nella specie, parte ricorrente non identifica la disposizione di legge che assume violata, invocando genericamente la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” non meglio precisate e richiamando un precedente di questa Corte, ma senza neanche riportare, quanto meno a stralcio, i contenuti dell’atto di appello sulla base del quale il ricorso si fonda, da specificarsi a pena di inammissibilità secondo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

3. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17(cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 2.100,00 per compensi professionali, oltre spese liquidate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

 

 

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