Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20129 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 24/09/2020), n.20129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15183-2019 proposto da:

S.F.A., in proprio e quale successore a titolo

particolare della METAL WORK SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO N. 32 (STUDIO LBM), presso lo studio

dell’avvocato BRUNO CHIARANTANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE RIJLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI MILANO II;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4959/10/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

Con sentenza nr. 4959 del 2018 la CTR della Lombardia rigettava l’appello proposto da S.F.A., in proprio e nella qualità di successore della cancellata Metal Work s.r.l. avverso la pronuncia della CTP di Milano con cui era stato respinta l’impugnazione del contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’anno di imposta

2012 sulla scorta del processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza di Busto Arsizio.

In particolare rilevava che l’atto impugnato, come si evinceva dalla sua intestazione, era stato indirizzato al contribuente nella sua qualità di socio in quanto ritenuto solidamente responsabile non solo delle sanzioni ma anche delle imposte dovute.

Osservava poi che l’oggetto dell’accertamento non è rappresentato dall’utile extrabilancio presuntivamente distribuito ai soci bensì dal reddito accertato alla società in esito all’intervenuta estinzione della società.

Sosteneva poi, sulla base di precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte, che il mancato riparto, sulla scorta dell’ultimo bilancio di liquidazione, agli ex soci della società estinta non esclude l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo verso i soci in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti.

Osservava che in presenza di “attivo” non distribuito e scoperto successivamente” alla cancellazione sussiste un regime di comunione ordinaria tra i soci superstiti che sono destinati a succedere alla società estinta nei rapporti debitori facenti capo ad essa ma non ancora definiti all’esito della liquidazione a prescindere dalla circostanza che gli stessi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.

Riteneva pertanto legittima l’attività di verifica svolta nei confronti della società quantunque cancellata dal registro delle imprese trattandosi di attività diretta all’accertamento di attivo non dichiarato da porre a fondamento della permanente responsabilità dei soci superstiti.

Rilevava dunque la correttezza dell’accertamento le cui risultanza poggiavano non solo sul processo verbale di contestazione ma anche sulla documentazione contabile fornita dalla parte e su altri elementi riportati nella parte motiva.

Da ultimo evidenziava che gli unici aspetti della verifica fiscale messi in discussione riguardavano il mancato riconoscimento dei costi e della detrazione dell’Iva sugli acquisti.

Osservava in proposito che anche in caso di accertamento induttivo la possibilità di considerare i costi non contabilizzati richiede che, nel corso dell’istruttoria, emergano elementi che possano far ritenere effettivamente esistenti le passività funzionali alla produzione del reddito occultato e poichè ad entrate occulte non sempre corrispondono costi occulti è onere del contribuente fornire la relativa prova.

Sottolineava come nel caso di specie fosse stato accertato l’acquisto di un macchinario nell’anno 2011 del quale però si era persa ogni traccia presumendosi così la vendita a terzi per un ricavo pari ad Euro 101.600,00.

Rilevava che il contribuente aveva omesso di indicare la natura dei costi che l’operazione ipotizzata dall’Ufficio aveva comportato limitandosi a proporre la rideterminazione del reddito della società nella misura dell’11% da applicarsi sul ricavo accertato senza tuttavia spiegare le ragioni sottese a tale proposta. Avverso tale pronuncia S.F.A., in proprio e quale successore della cancellata Meta Work, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’intimata si è costituita.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 2462,2495 e 2697 c.c. e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Critica il ragionamento seguito dalla CTR laddove, malgrado l’incontestata mancata percezione, in sede di liquidazione, di un attivo in capo al socio, ha affermato la responsabilità permanente di quest’ultimo per i debiti tributari facenti capo alla società cancellata in palese violazione dell’art. 2495 c.c., comma 2.

Osserva inoltre che nell’ordinamento tributario vi è una precisa disposizione il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, che regolamenta la responsabilità dei soci dopo la cancellazione stabilendo un limite ad essa non superiore al denaro o ai beni assegnati.

Rileva infine che in base all’avviso di accertamento non era stata contestata alcuna responsabilità solidale al medesimo ricorrente, quale presunto amministratore o autore dell’evasione.

Con un secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, e del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, convertito nella L. n. 326 del 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Censura la decisione nella parte in cui ha riconosciuto la trasmissione della sanzione malgrado l’intervenuta estinzione della società in violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, e del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, regola che costituisce il corollario del principio della responsabilità personale codificato nel medesimo decreto, art. 2, comma 2, sia ai soci che agli amministratori.

Con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 e dell’art. 53 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che la CTR avrebbe violato il principio della capacità contributiva non riconoscendo i costi in misura forfettizzata nell’ipotesi di accertamento induttivo puro.

Il primo motivo è fondato con l’assorbimento dei restanti.

Giova premettere che dall’entrata in vigore della novella legislativa del 2003, in effetti, la cancellazione determina l’estinzione della società di capitali e la presunzione di estinzione della società di persone, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, avendo la riforma adottato, per una ratio di certezza giuridica, il sistema della liquidazione “formale” (Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010 n. 4060 cit.).

La Corte ha precisato altresì che qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, che nel precedente regime normativo si riteneva non valesse a provocare l’estinzione dell’ente fin quando non tutti i rapporti giuridici ad esso facenti capo fossero stati definiti, è ora invece da considerarsi senz’altro produttiva di quell’effetto estintivo: effetto destinato ad operare in coincidenza con la cancellazione, ove questa abbia avuto luogo in epoca successiva al 1.1.2004, data di entrata in vigore della citata riforma, oppure a partire da quella data ove si tratti di cancellazione intervenuta in un momento precedente.

Da tale premessa le Sezioni Unite muovono, quindi, con la pronuncia n. 6070 del 2013 per ricostruire le conseguenze dell’estinzione in termini – latu sensu successori: a) quanto agli effetti sostanziali passivi (trasferimento del debito sociale ai soci, con responsabilità limitata o illimitata, a seconda del tipo di responsabilità connesso alla struttura societaria); b) quanto agli effetti sostanziali attivi (acquisto in comunione tra i soci dei diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione, escluse le mere pretese e le ragioni creditorie incerte, la cui mancata liquidazione manifesta rinuncia); c) quanto agli effetti processuali (incapacità della società di stare in giudizio, interruzione del giudizio pendente, prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla società o contro di essa, anzichè dai soci o contro di essi).

In altri termini, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (Cass. 2020 nr. 10841).

L’art. 2495 c.c., comma 2, (riprendendo, peraltro, quanto già stabilito in previgente art. 2456 c.c., comma 2) stabilisce, infatti, al riguardo, che i creditori possono agire nei confronti dei soci della dissolta società di capitali sino alla concorrenza di quanto questi ultimi abbiano riscosso in base al bilancio finale di liquidazione.

La C.T.R. non ha, dunque, fatto buon governo dei principi elaborati da questa Corte ritenendo legittima l’attività di controllo dell’Agenzia diretta alla verifica di attivo non dichiarato nei confronti della società estinta da porre a fondamento della responsabilità dei soci superstiti anche in assenza di una percezione di utili in sede di liquidazione in palese violazione del limite di responsabilità indicato nell’art. 2495 c.c.

Ogni altra deduzione resta assorbita.

La sentenza va cassata e decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso del contribuente non essendo necessari ulteriori accertamenti.

Le spese del merito compensate in ragione dell’alternarsi della vicenda quelle di legittimità a carico dell’Agenzia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo ed assorbiti i restanti, cassa la decisione impugnata con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente; compensa le spese del merito; condanna l’Agenzia al pagamento di quelle di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

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