Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20129 del 15/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2021, (ud. 07/07/2020, dep. 15/07/2021), n.20129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5547-2014 proposto da:

C.A., S.S., CO GEST SAS S.S.

& C. IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI

VILLA PEPOLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CARACUZZO,

rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE MAROTTA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BENEVENTO, in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14,5/2013 della COMM.TRIB.REG. della Campania

depositata il 28/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate, rilevando che la vendita immobiliare tra la società Co.Gest sas di S.S., soggetta ad iva, non era stata indicata nel quadro RF, provvedeva a rettificare il reddito di impresa. Tale reddito poi per trasparenza era imputato con distinti avvisi di accertamento, anche nei confronti dei soci S.S. e C.A..

A seguito di impugnazione proposta sia dalla società che dai singoli soci, la CTP di Benevento, riuniti i ricorsi, li rigettava.

Tale sentenza era confermata in appello dalla Ctr della Campania (nr 145/51/2013), in base alla considerazione che non fosse stata data la prova che l’incasso del prezzo di vendita immobiliare,(secondo la prospettazione della società contribuente) fosse avvenuta in epoca abbondantemente antecedente al rogito notarile.

Propongono ricorso in Cassazione la società ed i soci, affidandosi ad un unico motivo.

Si costituiva con controricorso la Agenzia delle Entrate, resistente chiedendo che il ricorso fosse rigettato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente con l’unico motivo deduce” Illogicità, contraddittorietà ed insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia. Errores in iudicando: violazione in connessione logica degli artt. 113 e 116 c.p.c. e art. 2697, connessa insufficienza ed illogicità della motivazione”.

Va premesso in diritto che il ricorso per cassazione, avendo a oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette, e nel caso manca una tale specifica indicazione come sopra indicato. Essendo il giudizio di cassazione un giudizio a critica vincolata, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità, nonché esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie previste, sicché sono inammissibili critiche generiche della sentenza impugnata.

Ne’ può valere a soddisfare il requisito dell’esistenza di motivi di ricorso nella forma vincolata la promiscua intitolazione del motivo che partendo dalla “illogicità, contradditorietà ed insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia “,aggiunge senza soluzione di continuo frasi esplicative “errores in uidicando: violazione in connessione logica degli artt. 113 e 116 c.p.c. e 2697,connessa insufficienza ed illogicità della motivazione”.

Come si vede nel caso l’esposizione cumulativa delle questioni mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, per poi ricercare quale o quali argomentazioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente.

In base al contenuto della parte espositiva del motivo, la parte ricorrente, in sostanza, sottopone alla corte di legittimità inammissibili istanze di revisione di valutazioni di fatto, prevalentemente probatorie, che in via di principio rientrano nel discrezionale apprezzamento del giudice del merito e non sindacabili in sede di legittimità. Comunque quanto a quella parte della censura che sembra riferirsi più alla valutazione dei fatti e delle prove che a vizi di motivazione riconducibili al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo attualmente in vigore, è sufficiente aggiungere che non è deducibile in sede di legittimità il vizio della contraddittorietà o dell’insufficienza della motivazione, o l’asserita pretesa loro erronea interpretazione da parte del giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14 e numerose altre). In più va considerato che le prove dei fatti su cui ripetutamente si intrattengono i ricorrenti sono privi di decisività, in quanto nel caso la pretesa fiscale riguardava la omessa indicazione del ricavo derivante dalla vendita immobiliare, incidendo tale omissione sul reddito di impresa, e non se fosse stata o meno emessa la fattura, peraltro in epoca di molto precedente.

In più le deduzioni dei ricorrenti appaiono palesemente smentiti dagli accertamenti contenuti nella sentenza e cioè che “non risulta smentito il presupposto impositivo contenuto nell’avviso di accertamento ossia che il prezzo di 112.000,00 non fosse stato riportato nel quadro Rf della dichiarazione per l’anno 2005 né risulta che i predetti corrispettivi fossero stati dichiarati in altre annualità”.

In definitiva il motivo non si confronta con la motivazione della sentenza avendo il giudice di appello valutato i documenti prodotti, non ritenendoli decisivi, in quanto l’emissione della fattura negli anni pregressi, di cui peraltro non vi era prova certa della data di emissione, non significava che il guadagno dalla vendita fosse stato oggetto di tassazione negli anni precedenti.

Pertanto il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3000 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rimborso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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