Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20123 del 17/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/08/2017, (ud. 12/04/2017, dep.17/08/2017),  n. 20123

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27089/2015 proposto da:

PFIZER ITALIA S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALDO

BOTTINI, FEDERICA PATERNO’, PAOLO GNEMMI, FRANCO TOFFOLETTO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.C.G., G.N.;

– intimati –

nonchè da:

G.N. C.F. (OMISSIS), D.C.G. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268 A, presso

lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA, giusta delega

in atti;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

PFIZER ITALIA S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALDO

BOTTINI, FEDERICA PATERNO’, PAOLO GNEMMI, FRANCO TOFFOLETTO, giusta

delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 172/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 15/05/2015 R.G.N. 258/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione di entrambi i ricorsi;

udito l’Avvocato GAROFALO BENEDETTA per delega orale Avvocato

PATERNO’ FEDERICA;

udito l’Avvocato ANTONINI GIORGIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 15.5.15 la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma delle statuizioni di rigetto emesse in prime cure dal Tribunale di Ascoli Piceno, condannava Pfizer Italia S.r.l. a pagare a titolo risarcitorio in favore di G.N. e di D.C.G. la somma corrispondente, rispettivamente, al 20% e al 33% della retribuzione globale di fatto da loro maturata dal dicembre 2010 fino alla data della sentenza d’appello.

2. Statuivano i giudici d’appello che Pfizer Italia S.r.l. aveva danneggiato i predetti lavoratori – rispetto ai quali era stato emesso (all’esito di precedente giudizio) ordine di reintegra nei rispettivi posti di lavoro L. n. 300 del 1970, ex art. 18 – per averli reintegrati in ritardo e in mansioni inferiori a quelle da loro precedentemente espletate.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre Pfizer Italia S.r.l. affidandosi a nove motivi.

4. G.N. e D.C.G. resistono con unico controricorso e spiegano ricorso incidentale basato su un solo motivo, cui a sua volta resiste Pfizer Italia S.r.l..

5. Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta nullità della sentenza per violazione degli artt. 99,112,345 e 437 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., per avere la Corte d’appello, con ordinanza del 17.7.14, dato ingresso a fatti e a domande nuove mai proposte in primo grado, avendo con detta ordinanza i giudici di merito chiesto alle parti di fornire chiarimenti in merito alla sussistenza di un danno da valutare ora per allora, alla stregua dell’evoluzione dei rapporti, dei fatti sopravvenuti e delle circostanze e sino alla cessazione dei rapporti dedotti in causa, oltre che sui motivi dell’addebito dei danni a carico del datore di lavoro alla stregua dei criteri cronologici ed eventualmente di parametri.

1.2. Il motivo è infondato, atteso che con tale ordinanza i giudici d’appello non hanno fatto altro che invitare le parti a fornire meri chiarimenti (cfr. art. 183 c.p.c., comma 4) e a meglio argomentare – anche in punto di diritto – le rispettive posizioni.

Anzi, nel rispetto dei principi del giusto processo e del divieto di decisioni a sorpresa, il giudice ha il dovere di chiedere alle parti i chiarimenti necessari e di indicare loro le questioni rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. n. 26226/16; Cass. n. 14600/02).

Nè risulta alcuna nuova domanda, atteso che entrambi i lavoratori avevano già chiesto, nei rispettivi ricorsi introduttivi (trascritti nello stesso ricorso principale), la condanna della società al risarcimento dei danni derivanti prima dal ritardo nell’esecuzione degli ordini di reintegra e, poi, dal demansionamento attuato nei loro confronti una volta concretamente riammessi in servizio.

2.1 Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., per avere la sentenza impugnata ravvisato il demansionamento di G.N. sulla sola base della sua assegnazione a mansioni di centralinista.

2.2. Il motivo va disatteso perchè, ad onta del richiamo normativo in esso contenuto, in sostanza sollecita una mera rivisitazione delle risultanze istruttorie affinchè si fornisca una diversa valutazione della concreta riconducibilità di tali mansioni al livello e al profilo contrattuale in cui era inquadrata la lavoratrice, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione e, ancor più, alla stregua del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile ratione temporis, vista la data di deposito della sentenza impugnata) come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134.

3.1. Il terzo motivo del ricorso principale prospetta violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, per avere la sentenza impugnata posto a carico del datore di lavoro l’onere di comparare il lavoratore da reintegrare con altre posizioni lavorative coinvolte e di valutare altre possibili alternative di collocazione non dequalificata.

3.2. Il motivo è infondato.

La L. n. 300 del 1970, ex art. 18, il lavoratore il cui licenziamento sia stato accertato come illegittimo deve essere ricollocato nel posto e nelle mansioni precedentemente occupate.

In linea di principio il datore di lavoro non può esimersi dall’ottemperarvi eccependo un’asserita nuova organizzazione produttiva e ciò perchè, ex art. 1218 c.c., il debitore d’un obbligo di reintegra, nel caso di specie – va esente da responsabilità solo se dimostra che il posto di lavoro del dipendente reintegrato (ovvero altro caratterizzato dall’espletamento di mansioni equivalenti) non esiste più per causa a lui non imputabile.

Questa Corte intende dare continuità al principio di cui a Cass. n. 7536/06, in forza del quale il datore di lavoro può, nelle more del giudizio sulla legittimità del licenziamento, mutare il proprio assetto organizzativo e, in caso di sentenza di reintegra ex art. 18 cit., anche adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle originarie, purchè equivalenti.

Nel caso di specie non risulta essere stata data la prova dei presupposti di cui alla citata sentenza n. 7536/06.

Nè il datore di lavoro può reintegrare il dipendente in mansioni inferiori a quelle svolte al momento del licenziamento, salvo voler ipotizzare – il che ovviamente non è consentito – che il comando contenuto in un provvedimento giurisdizionale possa essere vanificato in sede diversa dai giudizi di impugnazione previsti dall’ordinamento.

Inoltre, anche in ipotesi di dimostrata ineluttabilità d’una nuova organizzazione produttiva che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro del lavoratore dopo il suo licenziamento, è pur sempre onere del datore di lavoro allegare e provare l’impossibilità di qualsivoglia sua riallocazione alternativa in mansioni equivalenti a quelle in precedenza espletate.

4.1. Con il quarto motivo del ricorso principale ci si duole di omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nelle esigenze organizzative che avevano comportato la soppressione del posto di lavoro di G.N. prima del licenziamento del 2009.

4.2. Il motivo è inammissibile in forza del dirimente rilievo che l’eventuale soppressione del posto di lavoro anteriore o coeva al licenziamento costituisce eccezione da far valere nel giudizio avente ad oggetto la (il)legittimità del licenziamento medesimo, non certo in altro successivo giudizio (come quello presente), non essendone ammissibili recuperi processuali in violazione d’un giudicato ormai intangibile ex art. 2909 c.c..

5.1. Il quinto motivo del ricorso principale denuncia omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’avvenuta esternalizzazione del servizio di security da parte della società fin dal 2009.

5.2. Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni esposte nel paragrafo che precede sub 4.2.

6.1. Il sesto motivo del ricorso principale deduce omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nelle dichiarazioni dei testi escussi, secondo i quali D.C.G. non era stato dequalificato dopo la sua riammissione in servizio.

6.2. Il motivo è inammissibile.

Con orientamento (cui va data continuità) espresso dalla sentenza 7.4.14 n. 8053 (e dalle successive pronunce conformi), le S.U. di questa S.C., nell’interpretare la portata della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile, ai sensi del cit. art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata) hanno affermato che l’omesso esame deve riguardare un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significativa del fatto medesimo) principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria).

Ma il riferimento al fatto secondario prosegue l’insegnamento di questa S.C. – non implica che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche l’omesso esame di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, ancorchè – in astratta ipotesi – in modo errato o poco convincente.

Invece, il mezzo in oggetto cerca in sostanza di avvalorare come omesso esame di fatti decisivi la mera (non condivisa) valutazione della prova ad opera della sentenza impugnata.

7.1. Il settimo motivo del ricorso principale prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, 2697, 1218 e 2103 cc.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha riconosciuto in favore di G.N. e D.C.G. il risarcimento del danno da demansionamento in assenza di idonea allegazione e prova.

7.2. Il motivo è infondato.

Premesso che questa S.C. è giudice anche del fatto processuale, nel caso di specie risulta dagli atti introduttivi dei giudizi (trascritti nello stesso ricorso principale) che i lavoratori avevano allegato in maniera idonea il danno da demansionamento.

Quanto alla relativa prova, essa è stata correttamente ravvisata dalla sentenza impugnata in via presuntiva e mediante ricorso a massime di comune esperienza ex art. 115 cpv. c.p.c. (cfr., ex aliis, Cass. n. 4652/09; Cass. S.U. n. 6572/06), considerata la perdita di professionalità (anche sotto forma di sua obsolescenza) in futuro spendibile nell’ambiente e nel mercato del lavoro, la negativa percezione personale da parte dei terzi (sotto forma di danno all’immagine) e del lavoratore stesso, vista la marginalizzazione sofferta nel contesto lavorativo, nonchè la lunghezza del ritardo nella riammissione in servizio rispetto alla sentenza di reintegra (ritardo che ben può essere fonte di ulteriore risarcimento: cfr. Cass. n. 9073/13; Cass. n. 15915/09).

Per la liquidazione di tale danno patrimoniale, risarcibile in via necessariamente equitativa, è ammissibile il parametro della retribuzione (cfr., ad esempio, Cass. n. 12253/15; Cass. n. 7967/02), cui la gravata pronuncia ha fatto corretto ricorso (in misura percentuale della retribuzione stessa).

Per il resto le obiezioni della società ricorrente sconfinano nel merito, insindacabile in sede di legittimità.

8.1. Con l’ottavo motivo del ricorso principale si lamenta omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’avvenuta collocazione in CIGS di G.N. e D.C.G. dal 1.10.12 e nel successivo ulteriore loro licenziamento avvenuto nel luglio 2014.

8.2. Il motivo è infondato perchè dallo stesso tenore del ricorso emerge che collocamento in CIGS e successivo nuovo licenziamento sono stati disposti avuto riguardo proprio a quelle mansioni dequalificanti che la sentenza ha – invece ritenuto essere state illegittimamente attribuite a G.N. e a D.C.G. all’atto della loro (tardiva) riammissione in servizio.

Ciò dimostra la non decisività del fatto il cui esame è stato omesso, non essendo idoneo a determinare una riduzione del quantum del risarcimento.

Infatti, in tanto sarebbe potuto essere decisivo il collocamento in CIGS dei lavoratori reintegrati in quanto esso fosse stato legittimamente disposto in relazione alla loro dovuta dislocazione professionale.

Ma una volta accertata come illegittima l’attribuzione ai controricorrenti di mansioni nuove e deteriori, non possono che risultare parimenti illegittimi il collocamento in CIGS e il successivo licenziamento disposti nei loro confronti proprio in ragione delle mansioni illegittimamente assegnate.

9.1. Il nono motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2103 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha liquidato il danno da demansionamento anche per periodi in cui i due lavoratori non erano tenuti ad eseguire la propria prestazione lavorativa perchè, appunto, prima sospesi (per essere stati collocati in CIGS) e, poi, nuovamente licenziati.

9.2. Il motivo è infondato per ragioni analoghe a quelle già espresse nel paragrafo che precede sub 8.2.

10.1. Con unico motivo il ricorso incidentale deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sulle domande di risarcimento dei danni morale, esistenziale e biologico di cui agli artt. 2043 e 2087 c.c..

10.2. Il motivo è infondato perchè nella liquidazione del danno la sentenza impugnata ha tenuto conto del danno non patrimoniale, sia pure senza distinguerlo in autonome poste (morale, esistenziale e biologico).

Così decidendo, la pronuncia non merita censura perchè non ha fatto altro che attenersi all’indirizzo interpretativo espresso da Cass. S.U. n. 26972/08, cui questa Corte ritiene di dover dare continuità.

11.1. In conclusione, entrambi i ricorsi sono da rigettarsi, il che consiglia di compensare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

rigetta i ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in via principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2017

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