Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20122 del 07/10/2016

Cassazione civile sez. trib., 07/10/2016, (ud. 06/04/2016, dep. 07/10/2016), n.20122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9320-2010 proposto da:

ARREDAMENTI S. DI S.M. SNC, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

OTTAVIANO 9, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANO PUNGI’, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

TRE ESSE ITALIA SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA UGO OJETTI 114,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ANTONIO CAPUTO, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 28/2009 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 12/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROMITO per delega dell’Avvocato

PUNGI’ che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Tre Esse Italia s.r.l. quale concessionaria per la riscossione del comune di Civita Castellana ha notificato in data 2 aprile 2007 alla Arredamenti S. di S.M. s.n.c. avviso di accertamento n. 91/2006 per TARSU, sanzioni, interessi e spese per l’anno 2006 per Euro 12.758,00.

La società contribuente ha impugnato nei confronti del concessionario l’avviso e l’adita commissione tributaria provinciale di Roma lo ha parzialmente annullato, ritenendo dovuta la TARSU per la sola superficie di mq. 68 occupata dalla contribuente con uffici, e non dovuta per la residua superficie di mq. 3.306 adibita a sala mostra mobili, producente solo imballaggi costituenti rifiuti speciali terziari e autosmaltiti.

La sentenza, appellata dalla concessionaria, è stata riformata dalla commissione tributaria regionale del Lazio in Roma, che ha ritenuto che – avendo la L. n. 128 del 1998, art. 17 abrogato la L. n. 146 del 1994, art. 39 – i rifiuti speciali non pericolosi D.Lgs. n. 22 del 1997, ex art. 7 potessero essere assimilati a quelli urbani solo per volontà espressa dal comune, mediante adozione di regolamento nella fattispecie esistente; che sussistendo l’occupazione dell’area, la dimostrazione del sussistere dei presupposti dell’esenzione o dell’esclusione incombeva alla contribuente; che quest’ultima non aveva mai indicato le ragioni di concessione del beneficio D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70, omissione questa preclusiva dell’agevolazione in quanto impeditiva dei riscontri del comune. Avverso questa decisione la parte contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi (essendo il motivo indicato come quinto in effetti il quarto), rispetto al quale la concessionaria resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, che si conclude con quesito di diritto, la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g) e del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62. Sostiene che, non essendo stati emanati regolamento o delibera comunale di assimilazione espressa e specifica per quantità e qualità dei rifiuti speciali non pericolosi (in particolare imballaggi primari) ai rifiuti urbani, erroneamente l’impugnata sentenza avrebbe ritenuto esercitato il potere di assimilazione ex art. 21 cit. Deduce in particolare che erroneamente la commissione tributaria regionale avrebbe ritenuto detta assimilazione operata dall’art. 11 del regolamento per l’applicazione della tassa RSU interni, sussistendo invece norma (l’art. 3) in quel regolamento che rinvia (al pari dell’art. 13) ad altro regolamento mai emanato.

2. – Con il secondo motivo di ricorso, che si conclude con quesito di diritto, la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 3, punto 1, comma 2 della direttiva 94/62/CE e del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 35 e 43. Richiamate le distinzioni tra i tre tipi di rifiuti di imballaggio offerte dall’art. 35 del D.Lgs. cit. che recepisce l’art. 3 della direttiva Europea pure cit., in relazione all’art. 43 del D.Lgs. in merito ai rifiuti urbani, con il quesito e il motivo la ricorrente deduce che erroneamente la commissione regionale avrebbe considerato prodotti nell’area a esposizione mobili della società imballaggi di tipo primario, cioè un imballaggio in vendita a favore dell’utente finale, essendo invece gli imballaggi usati per facilitare il trasporto o la vendita.

3. – Con il terzo motivo, che si conclude con quesito di diritto, la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62 e 79. Sostiene che, avendo la commissione tributaria regionale ritenuto non essere emerso che la società avesse curato l’adempimento della richiesta di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70 di beneficio di esenzione dall’imposizione, erroneamente la stessa commissione non aveva considerato la corrispondenza pregressa tra contribuente e comune, da cui emergeva la piena consapevolezza da parte dell’ente circa la tipologia di rifiuti prodotti, nè aveva considerato che comunque era carente il potere impositivo per non essere stato adottato (v. sopra) alcun regolamento.

4. – Con il quarto (erroneamente numerato come quinto) motivo di ricorso, seguito da quesito di diritto, la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 100 e 101 cod. proc. civ., eccependo difetto di legittimazione “ad causam” (che la stessa parte in altro luogo definisce titolarità passiva del rapporto controverso) del concessionario, ritenendo lo stesso non legittimato a proporre appello nè a contraddire in punto di legittimità dell’accertamento, in assenza di prova del rapporto negoziale tra esso concessionario e l’amministrazione.

5. – Il quarto motivo – in quanto afferente il tema della idoneità a contraddire del concessionario – va esaminato prioritariamente. Può trascurarsi, in proposito, ogni valutazione in ordine alla circostanza che l’aver la contribuente sollevato tale eccezione (da qualificarsi “autoeccezione”) possa integrare trasgressione del divieto di venire contra factum proprium in quanto – come notato dalla controricorrente società Tre Esse Italia s.r.l – il contenzioso è stato instaurato nei suoi confronti, sin dal primo grado, dalla stessa contribuente; basta infatti rilevare che, in tema di disciplina della riscossione delle imposte a mezzo di concessionario, non sussistendo litisconsorzio necessario tra ente impositore e concessionario, ove il contribuente scelga di far valere ragioni concernenti la stessa debenza del tributo nei soli confronti del concessionario, è onere di quest’ultimo chiamare in giudizio il primo se non voglia rispondere delle conseguenze della lite ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 40, dovendosi, peraltro, riconoscere sia al concessionario che all’ente impositore il diritto all’impugnazione nei diversi gradi del processo tributario (cfr. in termini sez. 5. n. 9762 del 2014 oltre altre). Tanto esime anche la Corte dal rilevare che l’eccezione, in quanto non precedentemente sollevata, sarebbe comunque preclusa da giudicato interno (cfr., per il principio per cui l’eccezione relativa alla titolarità del rapporto sostanziale controverso attiene al merito della controversia ed è soggetta alle preclusioni di legge previste per ciascun grado di giudizio dal codice di rito, ad es., sez. 3, n. 20928 del 2015).

6. – Possono poi essere esaminati congiuntamente il primo e il terzo motivo, entrambi inammissibili. Attraverso detti motivi si denuncia come violazione di norme di diritto l’accertamento, risultante dal testo della sentenza impugnata, relativo all’esistenza del previsto regolamento. A sostegno dell’inesistenza di un idoneo regolamento – tale non essendo quello asseritamente unico in atti – la contribuente cita in parte gli artt. 3 e 13 dello stesso, contenenti rinvii ad altro regolamento; in controricorso, la Tre Esse Italia s.r.l. invece afferma l’esistenza “già positivamente riscontrata in sede di appello” (p. 8), pur poi rilevando che la scarsa chiarezza della situazione sarebbe da ascriversi all’abrogazione della norma prevedente la potestà di assimilazione; dal canto suo, la sentenza impugnata (p. 6) afferma l’adozione del “previsto regolamento” e richiama (p. 4) che l’art. 11 di detto regolamento consente la riduzione al 20% della imposta, come operato dal Comune; alla p. 6, infine, la sentenza afferma anche essere state inserite nel regolamento le norme in materia di assimilazione “per qualità e quantità” (ciò che la ricorrente nega). Pur facendo riferimento all’art. 11 (cui significativamente si richiama anche l’art. 13, invece trascritto in ricorso), la parte ricorrente non trascrive l’art. 11 medesimo, che pure essa ricorrente indica come la unica norma che la commissione regionale si sarebbe “fermata a leggere”. In tale situazione, dunque, al fine di consentire un esame da parte di questa corte, la ricorrente avrebbe dovuto non già impugnare la sentenza per violazione di norme di diritto quali quelle indicate – che, in base alla sentenza, risultano rispettate – bensì dedurre l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di risultanze probatorie, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; inoltre, avrebbe dovuto adempiere all’onere, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 cod. proc. civ.), di specificare, trascrivendole integralmente, le norme regolamentari non valutate o mal valutate (secondo la stessa tesi di parte ricorrente, l’art. 11 del regolamento in atti, l’accesso al quale è precluso alla corte di cassazione).

7. – Alla luce di quanto innanzi, da cui emerge l’inammissibilità dei motivi, restano assorbiti gli altri profili sollevati dal primo e terzo motivi, restando altresì il collegio esentato dal considerare corollari delle doglianze, tra i quali in particolare l’identificazione della regula iuris applicabile ove effettivamente non sussistesse l’assimilazione regolamentare – ciò su cui neppure chiaramente si sofferma, inammissibilmente, la parte ricorrente -, regula che ben potrebbe implicare la tassabilità con le modalità più sfavorevoli per la contribuente; nonchè l’altro corollario relativo alla mancata denuncia della non tassabilità delle aree in relazione alla possibilità che essa ammetta equipollente nella contezza aliunde acquisita da parte del Comune.

8. – Resta da esaminare il secondo motivo di ricorso, con cui la parte contribuente denuncia come avvenuto in violazione di norme di diritto l’accertamento da parte della commissione regionale circa la produzione nell’area in questione di imballaggi di tipo primario, asseritamente equivocando la nozione di tale tipologia di rifiuto, cioè intendendo essere messi in vendita imballaggi a favore dell’utente finale, essendo invece gli imballaggi usati per facilitare il trasporto o la vendita.

9. – Anche tale motivo è inammissibile, in quanto – attraverso una doglianza relativa a violazione di legge – si richiede alla corte di riesaminare una valutazione in fatto della commissione regionale, senza dedurre vizi motivazionali ed in presenza di un accertamento non palesemente viziato da errori giuridici. Stante l’inammissibilità del motivo, resta esentato il collegio dal verificare se effettivamente la sentenza impugnata recepisca acriticamente la valutazione del Comune in ordine alla natura primaria dei rifiuti prodotti e se, come deduce la parte ricorrente, si incorra in un equivoco definitorio al riguardo.

10. – Il ricorso va dunque rigettato per essere i motivi uno infondato (il quarto) e gli altri inammissibili.

11. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione alla controparte delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro duemilacinquecento per compensi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 6 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016

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