Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20117 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. II, 24/09/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 24/09/2020), n.20117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24636-2019 proposto da:

K.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORINO 7,

presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MAURIZIO VEGLIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 04/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, cittadino (OMISSIS), proponeva ricorso avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino.

Con decreto dell’8.2.2018 il Tribunale di Torino rigettava il ricorso. Tale decisione veniva impugnata dal K. innanzi la Corte di Cassazione, la quale con ordinanza del 18.1.2019 cassava con rinvio. Il ricorrente riassumeva il giudizio ed il Tribunale di Torino, in diversa composizione, con il decreto oggi impugnato rigettava nuovamente il ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di detto ultimo provvedimento K.O. affidandosi ad un solo motivo. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, del D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, art. 16 della Direttiva 2013/32/UE in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente ritenuto non attendibile il racconto del richiedente, il quale aveva riferito di essere fuggito dal proprio Paese di origine perchè, dopo aver messo incinta la propria ragazza, lo stesso sarebbe stato forzato dalla famiglia di lei a sposarla e, temendo per la propria incolumità, per tale motivo avrebbe deciso di fuggire. Il ricorrente si duole inoltre della propria mancata audizione da parte del giudice di merito, poichè in tal modo gli sarebbe stato, preclusa la possibilità di circostanziare la domanda chiarendo gli eventuali aspetti dubbi della vicenda personale.

La censura, nei termini in cui essa è formulata, è inammissibile.

Il Tribunale di Torino, dopo aver riassunto nei suoi termini salienti la storia riferita dal richiedente la protezione (cfr. pag. 3 del decreto impugnato) la ha ritenuta non credibile per diversi e concorrenti motivi, ed in particolare: 1) perchè il K. aveva riferito della sua relazione con la fidanzata in termini generici; 2) perchè lo stesso era rimasto nel Paese di origine sino ad un mese prima della nascita della figlia, senza che i familiari della ragazza mettessero in atto le loro minacce; 3) perchè alla fine egli avrebbe scelto di fuggire, così mettendo a rischio la vita della propria fidanzata, della quale pure aveva dichiarato di essere innamorato (la quale, poi, sarebbe stata effettivamente uccisa dai propri parenti), e della madre, che era stata ritenuta complice.

Rispetto a questi argomenti il ricorrente non contrappone alcun elemento concreto idoneo a dimostrare l’erroneità della valutazione condotta dal giudice di merito: si limita ad affermare che, in presenza di dubbi sulla credibilità della storia, il Tribunale avrebbe dovuto sentirlo per consentirgli di chiarire i termini della propria storia personale, e si duole della mancata considerazione delle dichiarazioni che egli avrebbe reso sin dalla for(OMISSIS)zzazione della domanda di protezione, secondo le quali non aveva potuto sposare la fidanzata perchè non sapeva come mantenerla economicamente, e si era risolto a fuggire dal (OMISSIS) a causa dell’incapacità delle Autorità statali di offrirgli la protezione necessaria contro le minacce della famiglia della ragazza. La prima di tali motivazioni, tuttavia, non integra di per sè alcun valido motivo di protezione internazionale, in quanto essa si risolve in una scelta di espatriare dettata da ragioni essenzialmente economiche. Il secondo argomento, invece, non è di per sè sufficiente, in assenza di specifiche allegazioni circa l’entità delle minacce in concreto ricevute e l’effettiva capacità della famiglia di attuarle. A tal fine, non è sufficiente il generico richiamo alle C.O.I. contenuto a pag. 8 del ricorso, posto che queste ultime, pur evidenziando una debolezza dell’apparato statale del (OMISSIS), non dimostrano affatto la sua incapacità ad offrire protezione ai cittadini contro le violenze perpetrate da famiglie e clan tribali.

Del pari non specifica è la censura relativa alla mancata audizione personale del richiedente, posto che il provvedimento dà atto che l’udienza di comparizione delle parti si è svolta e che, in quella sede, il difensore del K. non ha insistito per l’audizione (cfr. pag. 2). L’assunto non è contestato dal ricorrente, che neppure dà atto della propria presenza all’udienza di comparizione. Di conseguenza, il vizio non è utilmente deducibile, dovendo trovare applicazione la generale preclusione di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2.

In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

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