Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20117 del 16/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/08/2017, (ud. 03/05/2017, dep.16/08/2017),  n. 20117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12607/2012 proposto da:

M.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COSTANTINO 41, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO BARGIACCHI,

rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI CARRANO GIANCARLO DI

RIENZO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS) P.IVA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato SARA

PARISI, rappresentato e difeso dall’avvocato SEVERINO NAPPI giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 3331/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/05/2011, R.G.N. 6731/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI CARRANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 14/5/2011, confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che, in parziale accoglimento delle domande proposte da M.G. nei confronti dei condomini di (OMISSIS), aveva condannato le parti convenute al pagamento di differenze retributive spettanti in relazione alla attività di portiere espletata per il periodo 1/3/1997-12/12/2004, rigettando le ulteriori domande intese a conseguire compensi previsti dalla contrattazione collettiva di settore ed al risarcimento del danno conseguente al licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo irrogatogli.

La Corte distrettuale ribadiva, quanto al diniego di riconoscimento della pretesa risarcitoria, l’assunto posto a fondamento della pronuncia resa dal primo giudice concernente la mancata impugnazione del recesso ex adverso intimato, e la carenza probatoria in ordine alla domanda di risarcimento del danno biologico; quanto alle ulteriori differenze retributive oggetto di rivendicazione, richiamava le risultanze degli espletati accertamenti peritali, che deduceva esser frutto di corretti procedimenti logici, immuni da censure di ordine tecnico.

La cassazione di tale pronuncia è domandata dal M. sulla base di due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., ai quali resiste la parte intimata con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1990, art. 2, comma 3, nonchè dell’art. 115 c.p.c..

Ci si duole che la Corte distrettuale, nel denegare il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno connesso alla illegittimità del licenziamento per mancata impugnazione dello stesso, abbia tralasciato di considerare le missive in data 12/12/2004 e 2/2/2005 con le quali era stato ritualmente censurato il recesso datoriale. Si deduce quindi che da tale impugnazione conseguiva, in mancanza di riassunzione del dipendente, la condanna della parte datoriale al pagamento della indennità prevista dalla L. n. 108 del 1990, prospettandosi sotto tale profilo, anche il vizio di omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia. Si lamenta, da ultimo, che la Corte distrettuale non abbia ammesso i capitoli di prova per testimoni e per interrogatorio formale atti a dimostrare l’insorgenza dei danni di natura non patrimoniale derivati dal licenziamento illegittimo ex adverso irrogato.

2. Il motivo palesa plurimi, concorrenti profili di inammissibilità.

Non può infatti, tralasciarsi di considerare che l’atto di impugnazione del licenziamento, non risulta riprodotto quanto al suo contenuto, nel contesto del presente ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, stante il divieto per il giudice di legittimità di ricercare negli atti gli elementi fattuali utili per la decisione della controversia, senza necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi o ad atti attinenti al pregresso giudizio di merito.

Il ricorrente ha infatti l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che la Suprema Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (ex aliis, vedi Cass. 30-7-2010 n. 17915 cui adde Cass. 3-1-2014 n. 48).

Come da questa Corte affermato in numerosi approdi (vedi ex plurimis, Cass. 19/8/2015 n. 16900) in tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario specificare, in ossequio al principio di autosufficienza, la sede in cui gli atti stessi sono rinvenibili (fascicolo d’ufficio o di parte), provvedendo anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame.

Nell’ottica descritta si impone l’evidenza della carenza del presente ricorso, che non appare sanabile mediante il richiamo all’atto di impugnativa del licenziamento recante data del 15 dicembre 2004, contenuto nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c.; tanto in considerazione della funzione propria dell’atto, che si risolve in una mera illustrazione del ricorso (vedi, quanto alla funzione della memoria disciplinata dall’art. 378 c.p.c., Cass. 4-11-2005 n. 21379).

3. Sotto altro versante, non può sottacersi che neanche risultano riprodotti i mezzi di prova atti a dimostrare l’insorgenza di danni successivi all’intimato licenziamento (pag. 12 ricorso).

Il ricorrente, invero, non solo non trascrive interamente i capitoli di prova richiesti di cui lamenta la mancata ammissione, ma non specifica in quale atto processuale, quando ed in qual modo essi sarebbero stati sottoposti al giudice del gravame (cfr. Cass. ord. 16-3-12 n. 4220; Cass. 9-4-13 n. 8569); deve infatti rimarcarsi che la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto, e nella specie insussistenti – non alleghi e indichi, inoltre, la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire “ex actis” alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione, (ex aliis, cfr. Cass. 23-4-2010 n. 9748).

Nello specifico il ricorrente ha omesso di ottemperare agli oneri processuali innanzi descritti, essendosi limitato a dedurre di aver richiesto in grado di appello l’ammissione delle prove di cui ai numeri 9, 10 e 19 del ricorso introduttivo, senza riprodurre nè il tenore di detto ricorso, nè del ricorso proposto in sede di gravame, così esponendo la censura ad un giudizio di inammissibilità.

4. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dei c.c.n.l. dei dipendenti di proprietari dei fabbricati del 1995, 1999 e 2003, nonchè della L. n. 215 del 1953, art. 1, degli artt. 2118,2120 e 2121 c.c. e dell’art. 36 Cost..

Si lamenta che i giudici del gravame abbiano escluso dalle spettanze retributive, talune voci espressamente previste dalla contrattazione collettiva di settore ed in alcuni casi, inserite anche nelle buste paga (indennità di cancello).

5. Anche tale motivo presenta evidenti profili di inammissibilità.

Per soddisfare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il lavoratore ricorrente deve infatti, riportare integralmente il contenuto della norma di natura negoziale collettiva volta a fondare la pretesa (vedi Cass. 22-8-2007 n. 17896, Cass. 13-11-2014 n. 24230). Nello specifico, detta trascrizione manca del tutto, palesando un difetto di autosufficienza del ricorso che si esprime anche in relazione, a quelle voci inerenti a differenze retributive (indennità di cancello) che si assumono inserite mensilmente nelle buste paga, giacchè neppure per sintesi vengono descritti i cedolini paga che il giudice avrebbe omesso di esaminare o avrebbe mal valutato, tanto in violazione dei principi affermati, da questa Corte sul punto (vedi Cass. 11-2-2014, n. 3026, in motivazione Cass. 2-12-2014 n. 25482).

6. In ogni caso la censura concernente l’erroneità dei conteggi per mancata inclusione di talune voci retributive con conseguente ricaduta in ordine al calcolo delle indennità rivendicate, palesa analoghe carenze per la mancata trascrizione della relazione peritale e la mancata enunciazione di contestazioni alle soluzioni adottate dal giudice di merito, argomentate in diritto, mediante una valutazione comparativa con le diverse possibili prospettazioni individuate nel motivo di gravame (cfr. Cass. 4-6-2010 n. 13587).

Per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (vedi Cass. 3-6-2016 n. 11482).

Nè va trascurato che il ricorrente non ha rispettato il principio secondo cui la parte che intende far valere in sede di legittimità un motivo di ricorso fondato sulle risultanze della consulenza tecnica espletata in grado di appello è tenuta – in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso – ad indicare se la relazione cui si fa riferimento sia presente nel fascicolo di ufficio del giudizio di merito (specificando, in tal caso, gli estremi di reperimento della stessa), ovvero a chiarire alla Corte il diverso modo in cui essa possa essere altrimenti individuata, non potendosi affidare al giudice di legittimità il compito di svolgere un’attività di ricerca della relazione, in sede decisoria, senza garanzia del contraddittorio ed in violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (vedi Cass. 22-22010 n. 4201).

In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è inammissibile.

Consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controparte nella misura in dispositivo liquidata.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2017

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