Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20113 del 30/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 20113 Anno 2018
Presidente: CRUCITTI ROBERTA
Relatore: GUIDA RICCARDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27044/2011 R.G. proposto da
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore

pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in
Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– ricorrente contro
CCFC SRL – CENTRO COSTRUZIONI FURGONATURE E CONTAINERS,
rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’avv. Carmelo Maccarone
e dall’avv. Angelo Vallefuoco, con domicilio eletto in Roma, viale Regina
Margherita n. 294, presso lo studio di quest’ultimo.
– con troricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 95/63/11, pronunciata
1’8/02/2011, depositata il 5/04/2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 maggio 2018
dal Consigliere Riccardo Guida.

Data pubblicazione: 30/07/2018

RG n. 27044/2011
Cons. est. Riccardo Guida

RITENUTO IN FATTO
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la
cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia, sezione staccata di Brescia, (hinc: CTR), indicata in epigrafe,
che – in controversia avente a oggetto l’impugnazione di cinque avvisi di
accertamento, emessi nei confronti di CCFC Srl, con sede legale in Lallio

tassazione costi ritenuti non deducibili e non detraibili, per difetto
d’inerenza, e quindi determinavano maggiori IRPEG, ILOR e IVA – per
quanto adesso rileva, confermava l’annullamento degli atti impositivi.
Il giudice d’appello premetteva che la controversia era circoscritta alla
deducibilità dei costi inerenti alle «casse mobili» e così illustrava
l’operazione in contestazione: la contribuente costruiva casse mobili
(contenitori forniti di appoggi, con pareti laterale sottili) che poi vendeva a
una società di leasing che, dal canto suo, le concedeva in locazione
finanziaria a Techimp Srl (società controllata da CCFC Srl); quest’ultima, a
sua volta, le dava in noleggio a CCFC Srl che, finalmente, le cedeva in
comodato gratuito a propri clienti (per il tempo necessario alla consegna
delle casse che essi avevano ordinato a titolo di compravendita).
Rilevava, inoltre, l’economicità dell’intera operazione, che, pur avendo
prodotto un risultato contabile negativo (euro 920.345,28), aveva
determinato un saldo positivo, per la disponibilità, in capo a CCFC Srl, delle
casse mobili, e le aveva permesso di prestare un servizio più completo ai
propri clienti, fornendo loro le casse mobili provvisorie, in attesa della
consegna di quelle che essi avevano acquistato, con un maggiore ricarico
del prezzo di vendita (che includeva la remunerazione per l’uso gratuito).
Soggiungeva che l’apprezzamento dell’economicità dell’intera
operazione non poteva prescindere dalla circostanza, riconosciuta
dall’Ufficio, che CCFC Srl e Techimp Srl formavano un gruppo d’imprese,
ammesso alla redazione di un bilancio consolidato fiscale.
Escludeva, infine, l’incongruenza, denunciata dall’Amministrazione
finanziaria, riguardante la consegna delle casse mobili ai clienti della
contribuente.

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(BG), per i periodi d’imposta 2002, 2003, 2004 e 2005, che recuperavano a

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Cons. est. Riccardo Guida

2. CCFC Sri resiste con controricorso, illustrato con una memoria ex art.
380-bis cod. proc. civ.

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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Primo motivo del ricorso: «Violazione e falsa applicazione art. 75 e
109 DPR 917/86, 19 DPR 633/72, 117 – 129 DPR 917/86, in combinato
disposto, in relazione all’art. 360 n. 3 CPC.».

in un errore di diritto nell’affermare che, in presenza di società controllante
e controllata, ammesse alla tassazione di gruppo, l’inerenza dei costi e degli
acquisti, da parte della società controllante, vada valutata non già con
esclusivo riferimento all’ente controllante che ha subito il costo o effettuato
l’acquisto, ma con riferimento al vantaggio economico conseguito dalla
società controllata.
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.1. In termini generali, è il caso di ricordare che, secondo il
consolidato orientamento della Corte, il principio d’inerenza del costo, ai fini
della sua deducibilità, è stato ricondotto, sul piano normativo, all’art. 109,
comma 5, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) (in precedenza, art. 75,
comma 5, TUIR) che stabilisce che: «Le spese e gli altri componenti negativi
[…] sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni
da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o
che non vi concorrono in quanto esclusi.».
Il giudizio sull’inerenza del costo va riferito all’oggetto sociale
dell’impresa, nel senso che esso è deducibile se è funzionale alle singole
attività sociali o, comunque, se apporta all’impresa un’utilità,
obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata (Cass.
4/10/2017, n. 23164, ha espresso tale principio in merito alla deducibilità
dei costi – ai fini delle imposte dirette e per la detrazione dell’IVA
contestualmente assolta – per i servizi resi e per le attività prestate dalla
«capofila» a favore delle società appartenenti al medesimo gruppo).
L’«inerenza» non integra un nesso tra costo e ricavo, ma si sostanzia
nella correlazione tra costo e attività d’impresa, anche solo potenzialmente
capace di produrre reddito imponibile.

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L’Agenzia delle entrate lamenta che la sentenza impugnata sia incorsa

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Con riferimento ai rapporti infragruppo, l’inerenza del costo – ricondotta
entro il binario dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità – è stata
agganciata ai concetti di coerenza e utilità economica, interpretati come
indici della sussistenza o meno dell’inerenza, più che come suoi requisiti
essenziali, per così dire, «normativi».
Sicché, l’ipotetica antieconomicità di una spesa (ad esempio: perché

sintomo (come una «spia») della non inerenza (totale o parziale) e della
(conseguente) indeducibilità (anch’essa totale o parziale) del costo (Cass.
27/10/2017, n. 25566).
Lo stesso criterio d’inerenza, rispetto all’attività esercitata, regola il
diritto di detrazione dell’IVA sugli acquisti e sulle importazioni di beni e
servizi, delineato dall’art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, 633 e, in proposito, la
Corte ne ha sottolineato il carattere di relazione qualitativa, sul presupposto
che: «l’impiego del criterio utilitaristico non giova alla corretta esegesi della
nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di
spesa non sono necessariamente legati all’elemento dell’utilità, essendo
configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità
all’attività dell’impresa.» (Cass. 11/01/2018, n. 450).
In adesione ad una simile opzione interpretativa, pertanto, può darsi
concretamente il caso di un certo costo che – valutato in relazione alle
dimensioni dell’impresa – risulti solo in parte inerente e, come tale,
deducibile, perché al contempo coerente coll’attività d’impresa ed
esorbitante rispetto al suo volume d’affari e all’utilità che essa persegue.
Tornando al caso in esame, s’appalesa assai debole la critica dell’Ufficio
all’inerenza dei costi (recuperati a base imponibile) in virtù dell’asserita
carenza del requisito dell’economicità delle stesse poste passive, quando,
come si è appena visto, l’autentica cifra dell’inerenza consiste, innanzitutto,
nella sua correlazione coll’attività d’impresa; aspetto, quest’ultimo, che non
è stato messo in discussione da parte degli organi impositori.
Osserva, inoltre, la Corte che la censura dell’Ufficio secondo cui la CTR
avrebbe erroneamente rapportato l’inerenza del costo al vantaggio
economico tratto, non dalla controllante (che ha sostenuto l’esborso), ma

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sproporzionata sul piano quantitativo) è stata letta come un significativo

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dalla sua controllata, non si misura compiutamente con la ratio decidendi
della sentenza impugnata.
La CTR, infatti, ha alluso alla necessità d’apprezzare il profilo
dell’economicità dell’operazione considerando i vantaggi che da essa hanno
tratto, nel loro insieme, le società appartenenti al medesimo gruppo
d’imprese, al solo scopo di dare linfa al precedente ragionamento (al quale

un saldo positivo perché la disponibilità delle casse mobili, in capo a CCFC
Srl, aveva consentito d’approntare un servizio più completo a beneficio della
clientela (che, in attesa della consegna delle casse mobili ordinate a titolo
d’acquisto, riceveva in comodato la stessa tipologia di

containers) e di

trarne un profitto, caricando il prezzo di vendita dei medesimi beni.
2. Secondo motivo: «Motivazione omessa od insufficiente su fatto
decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 CPC.».
L’Ufficio si duole del vizio della trama argomentativa della sentenza
impugnata su un fatto controverso e decisivo, vale a dire se CCFC Srl
avesse dato dimostrazione o meno in giudizio di avere ricevuto, a titolo di
noleggio, da Techimp Srl, le casse mobili che la società verificata aveva poi
concesso in comodato gratuito ai propri clienti che, a loro volta, avevano
ordinato l’acquisto dei medesimi prodotti.
2.1. Il motivo è infondato.
Escluso in radice e, per così dire, per tabulas il dedotto vizio di «omessa
motivazione» poiché, come suaccennato (§ 1 della parte in fatto), la CTR ha
composto un quadro esaustivo delle ragioni del proprio convincimento, del
pari si appalesa insussistente la dedotta carenza di un compiuto sviluppo
motivazionale.
Detto che il fulcro della ripresa a tassazione dei costi, da parte
dell’Amministrazione finanziaria, non poggia sull’ipotetico carattere fittizio
dei negozi giuridici collegati, strumentali alla realizzazione della complessa
operazione economica, ma si sostanza nel (prospettato) difetto d’inerenza
delle poste negative, sicché neppure è dato cogliere appieno la decisività del
fatto in esame, ad ogni modo, a giudizio della Corte, la CTR ha
adeguatamente esposto la ragione che l’ha indotta a superare

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I

l’Ufficio non rivolge alcuna critica), secondo cui l’operazione aveva prodotto

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l’incongruenza, paventata dall’Ufficio, circa la documentazione contabile
riguardante la consegna delle casse mobili ai clienti di CCFC Srl,
esprimendo, in questi termini, il proprio (insindacabile) giudizio di merito:
«Che la consegna delle casse cedute in comodato avvenisse prima di quella
afferente le casse ordinate dai clienti è attestato dalle date dei relativi
documenti di trasporto, non rilevando la data della fattura successivamente

3. Ne consegue il rigetto del ricorso.
4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 7.000,00 a titolo di compenso, oltre al 15%
sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, oltre agli
accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2018

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emessa.» (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

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