Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20111 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. II, 24/09/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 24/09/2020), n.20111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19234-2019 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in Napoli, via Carducci n. 18

presso lo studio dell’avvocato NICOLA SCOTTI GALLETTA che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

UTG PREFETTURA DI NAPOLI;

– intimata –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di NAPOLI, depositata il

17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. K.S., cittadino del (OMISSIS), ricorre a questa Corte avverso l’epigrafato provvedimento con il quale il Giudice di Pace di Napoli ha rigettato la sua opposizione avverso il decreto di espulsione del Prefetto di Napoli, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-bis, e ne chiede la cassazione sul rilievo 1) dell’error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver omesso di pronunciarsi sulla violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, comma 1, lett. b), per aver adottato il decreto di espulsione nonostante questi avesse presentato una nuova domanda di protezione internazionale per il sopravvenire di nuovi elementi, domanda che non era stata formalizzata perchè gli era stato materialmente impedito all’interno del locale della questura mentre tale decisione spettava la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale; 2) error in judicando per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, comma 6 e art. 13, comma 7, e degli art. 12, comma 3 dir. 2008/115CE perchè il decreto di espulsione non è stato tradotto in una lingua conosciuta dal ricorrente con la motivazione preconfezionata circa la sussistenza di una oggettiva impossibilità a provvedervi. Ciò viola il diritto di difesa del cittadino straniero espulso, mentre il giudice di pace in violazione delle norme citate ha ritenuto legittimo tale modo di procedere.

2. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

3. Il ricorrente in prossimità dell’udienza ha depositato memoria, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente pone a fondamento del ricorso circostanze di fatto che non risultano dal provvedimento impugnato e che non sono in alcun modo dimostrate, come il fatto di non aver potuto presentare una nuova domanda di protezione internazionale sulla base di nuovi elementi perchè gli è stato materialmente impedito all’interno del locale della questura.

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Sul punto è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto: “In tema di impugnazione dell’espulsione amministrativa dello straniero, l’art. 13, comma 7 T.U. sull’immigrazione (approvato con D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) non impone all’Amministrazione di tradurre il decreto espulsivo nella lingua madre della persona da espellere, ma solo di assicurare che la traduzione del provvedimento avvenga “in una lingua conosciuta” e, solo ove ciò non sia possibile, di garantire che la traduzione sia svolta “in lingua francese, inglese o spagnola”, ritenute lingue universali e, quindi, accessibili, direttamente o indirettamente, da chiunque. – Nella specie la S.C. ha ritenuto infondato e, conseguentemente, rigettato il ricorso dello straniero che lamentava che l’atto espulsivo era stato tradotto nella lingua francese senza alcuna motivazione sulle ragioni che non consentivano la traduzione nella propria lingua madre, atteso che il giudice di pace aveva ragionevolmente valutato che la traduzione in lingua francese era effettivamente comprensibile per il ricorrente” (Sez. 1, Sent. n. 13833 del 2008).

Nella specie il giudice di pace ha dato atto che il provvedimento era stato tradotto nella lingua veicolare del ricorrente, l’inglese, quale lingua ufficiale e comunque largamente diffusa nel Paese di provenienza del ricorrente, e che sul provvedimento era indicata l’impossibilità di procedere alla traduzione nella lingua madre.

3. Il ricorso per i motivi esposti deve essere rigettato. Nulla è dovuto sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

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