Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2011 del 26/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/01/2017,  n. 2011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30185/2011 proposto da:

C.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PO 24, presso lo studio dell’avvocato PAOLO CECI, rappresentato

e difeso dall’avvocato LEONELLO AZZARINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE (OMISSIS), P.I. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 110, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI MERLA, rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANO GIORDANO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 638/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/03/2011, R.G. N. 895/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 638/10, ha confermato il rigetto della domanda proposta da C.A. nei confronti del Comune di (OMISSIS), avente ad oggetto il risarcimento dei danni che il ricorrente, dipendente pubblico con inquadramento in posizione D3, assumeva essergli derivati dal mutamento organizzativo disposto dal Comune nel 2002 in forza del quale era stato spostato dal settore Manutenzione e Ambiente, di cui era responsabile, al settore Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del patrimonio, sempre in funzione di preposto.

2. La Corte distrettuale, premesso che nel 2002 il Comune di (OMISSIS) aveva proceduto ad una riorganizzazione interna delle aree, creando un autonomo settore alla cui direzione aveva posto il geom. C., ha osservato che non vi era stata nè riduzione dello stipendio nè variazione del carattere apicale della posizione ricoperta dal funzionario, mentre nessun rilievo potevano avere le circostanze addotte dall’appellante a sostegno del prospettato demansionamento, ossia la riduzione del budget di spesa (in precedenza di cospicua entità) e il ridotto organico dell’ufficio (da 5-6 operai ad un solo addetto, ma con attribuzione del coordinamento di un gruppo di 25 volontari per la protezione civile). Ha aggiunto che doveva piuttosto evidenziarsi l’importanza del neo-istituto Settore della Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del patrimonio, creato per la gestione degli interventi in caso di calamità naturali e in situazioni di pronto intervento, incidenti sulla salute e l’incolumità pubblica, “a maggior ragione poi in un territorio come quello veneto, assai soggetto ad esondazione dei corsi d’acqua e a fenomeni alluvionali, anche gravi”.

3. Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto ricorso affidato ad un motivo. Resiste il Comune di (OMISSIS) con controricorso.

4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo si denuncia violazione dell’art. 2103 c.c., e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) per avere la Corte di appello omesso di individuare il contenuto delle mansioni svolte dal ricorrente in qualità di responsabile dell’Ufficio Manutenzione e Assetto del territorio e di porle a confronto con quelle successivamente attribuite, implicanti la gestione di un limitato portafoglio di spesa, la comprovata riduzione di orario e di impegno lavorativo, il coordinamento di una sola impiegata. Ove il raffronto richiesto dall’art. 2103 c.c., fosse stato effettuato, il demansionamento sarebbe emerso con certezza.

2. Il ricorso è palesemente infondato.

3. La riconduzione della disciplina del lavoro pubblico alle regole privatistiche del contratto e dell’autonomia privata individuale e collettiva, con conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario, non ha eliminato la perdurante particolarità del datore di lavoro pubblico che, pur munito nella gestione degli strumenti tipici del rapporto di lavoro privato, per ciò che riguarda l’organizzazione del lavoro resta pur sempre condizionato da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale. In questa ottica il D.Lgs. n. 165 del 2001, ha disciplinato interamente la materia delle mansioni all’art. 52, e, al comma 1, ha sancito il diritto del dipendente ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi (testo anteriore alla sostituzione operata dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 62, comma 1). La lettera del citato art. 52, comma 1, specifica un concetto di equivalenza “formale”, ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, e non sindacabile da parte del giudice. Ne segue che, condizione necessaria e sufficiente affinchè le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A..

3.2. A partire dalla sentenza resa dalle Sezioni Unite n. 8740/08, è principio costante nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di pubblico impiego contrattualizzzato, non si applica l’art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (come già detto, nel testo anteriore alla novella recata dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 62, comma 1, inapplicabile ratione temporis al caso in esame) – che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass. n. 17396/11; Cass. n. 18283/10; Cass. sez.un. n. 8740/08; v. più recentemente, Cass. n. 7106 del 2014 e n. 12109 e n. 17214 del 2016). Dunque, non è ravvisabile alcuna violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l’operazione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l’operazione di verifica dell’equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria.

3.3. Condizione necessaria e sufficiente affinchè le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita, evidentemente ritenendosi che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico (cfr. Cass. n. 11835 del 2009).

3.4. Tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente l’equivalenti, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro.

3.5. Resta comunque salva l’ipotesi che la destinazione ad altre mansioni comporti il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa. Trattasi di questione che, tuttavia – giova rimarcare – esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi nella diversa ipotesi della sottrazione pressochè integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego (Cass. n. 11835 del 2009, n. 11405 del 2010, nonchè Cass. n. 687 del 2014).

4. Alla stregua della sentenza impugnata, risulta positivamente accertato che la direzione dell’unità denominata Settore 07 Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del Patrimonio del Comune di (OMISSIS) corrispondesse ad una posizione organizzativa di categoria D. Pertanto, escluso il diritto del dipendente pubblico a permanere in un determinata posizione alla stregua di una verifica in senso sostanziale della equivalenza, la preposizione a tale unità organizzativa non costituisce violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2017

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