Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2011 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 24/01/2022, (ud. 04/11/2021, dep. 24/01/2022), n.2011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18316-2019 proposto da:

B.M.C., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSANDRA REGOLI.

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE CONFIMI INDUSTRIA ROMAGNA (già CONFINI IMPRESA

RAVENNA), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ROMEI, rappresentata e difesa

dall’avvocato CARLO ZOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1041/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/12/2018 R.G.N. 200/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2021 dal Consigliere Dott.ssa PAGETTA ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di B.M.C. intesa all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole dall’associazione Confimi Industria Romagna e alla condanna della datrice di lavoro al pagamento di differenze retributive legate al premio di produzione ed al risarcimento del danno alla professionalità e da perdita di chances;

2. la Corte di merito, premesso che nell’originario ricorso non era stata formulata alcuna domanda intesa all’accertamento della esistenza di un unico centro di imputazione tra Confimi Industria Romagna e altre persone giuridiche, ha ritenuto provata e non pretestuosa l’esigenza di riorganizzazione originata dalla crisi economica della associazione e l’effettività della riorganizzazione che aveva portato alla soppressione della posizione di lavoro della B., addetta al centralino ed alla segreteria, con ridistribuzione delle relative funzioni tra gli altri dipendenti; tale ricostruzione non era inficiata dall’assunzione di altra collega, anch’essa addetta alla segreteria e anch’essa licenziata, presso Api Servizi Ravenna s.r.l. ” stante la ovvia possibilità di una diversa società di assumere dipendenti secondo necessità e con individuazione di questi sulla base di profili reputati di interesse…”, e dal fatto che la detta collega, per una porzione minoritaria della propria attività di lavoro, aveva proseguito in via residuale nell’espletamento di alcuni servizi comuni a tutte le società già in precedenza espletati; ha ritenuto essere rimasto indimostrato il diritto alle differenze retributive sul premio di produzione in applicazione di contratto aziendale;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso B.M.C. sulla base di sette motivi illustrati con memoria; la parte intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112,414 e 420 c.p.c. e nullità della sentenza di appello denunziando la omessa pronunzia sulla domanda intesa all’accertamento di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro tra Confimi Industria Romagna e altre persone giuridiche -le società API Servizi Ravenna s.r.l, Sviluppo PMI s.r.l., Consenergy 2000 e A.I.S.I. – aventi sede presso la medesima struttura nella quale operava la formale datrice di lavoro; contesta in particolare che, come affermato dalla Corte distrettuale, siffatta domanda fosse stata proposta solo in sede di note conclusive autorizzate e, quindi, tardivamente;

2. con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 416 c.p.c. e nullità della sentenza per avere il giudice di appello ignorato le risultanze di una prova legale; sostiene infatti che la circostanza dell’unicità del gruppo datoriale tra Confimi Industria Romagna e Api Servizi Ravenna s.r.l. era stata sempre ammessa dalla convenuta sin dalla memoria di costituzione di primo grado e ribadita nelle note conclusive del giudizio di primo grado;

3. con il terzo motivo deduce in via subordinata al mancato accoglimento del secondo motivo, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,416 e 420 e 437 c.p.c. e nullità della sentenza per violazione del divieto di nova in appello; evidenzia che in prime cure la società convenuta aveva espressamente ammesso che la assunzione presso API Servizi della G., collega della B. ed anch’essa licenziata, aveva configurato un vero e proprio repechage favorito da una professionalità che in concreto mancava alla B.; in seconde cure tale impostazione difensiva era stata modificata sostenendosi la irrilevanza dell’assunzione della G. presso API per il difetto di un soggetto giuridico unitario tra l’Associazione e API Servizi. In base a tali rilievi assume che la Corte distrettuale non poteva dare ingresso, in violazione del divieto di nova in appello, a contestazioni non effettuate in primo grado in ordine all’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto tra la originaria convenuta e API Servizi;

4. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 132, comma 1, n, 4 c.p.c. e nullità della sentenza per avere la Corte di merito in maniera irriducibilmente contraddittoria affermato sulla base delle emergenze della prova orale da un lato che API Servizi Ravenna apparteneva all’area tecnica di Confimi e dall’altro che Confimi ed API Servizi erano due persone giuridiche separate;

5. con il quinto motivo deduce violazione e /o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 416 c.p.c. per non avere il Giudice di appello fondato la decisione su fatti – l’aumento di livello di inquadramento della B. da giugno 1998- mai contestati dalla parte costituita; tanto comportava nullità della sentenza per apparenza di motivazione. La Corte di merito, omettendo di valorizzare la prova legale, era giunta alla illogica conclusione in ordine alla mancanza di prova della domanda senza esaminare l’unica questione realmente controversa rappresentata dalla esistenza o meno del contratto aziendale giustificativo delle richieste differenze retributive;

6. con il sesto motivo deduce in relazione al rigetto della domanda di condanna della società alle differenze retributive, omesso esame di fatto controverso e decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla percezione da parte della ricorrente del premio di produzione sin dal 1994 e dall’avvenuto passaggio della stessa dal 5 al 6 livello nel giugno 1998, come attestato dalle buste paga;

7. con il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. evidenziando che l’accoglimento del ricorso per cassazione comportava che le spese di lite dovessero essere poste a carico di controparte;

8. il primo motivo di ricorso è infondato;

8.1. il giudice di appello, nel delibare il motivo di gravame della società con il quale era stato dedotto il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado in relazione all’accertata esistenza di un unico centro di imputazione tra Confimi e le altre società, associazioni e consorzi aventi sede presso la medesima struttura della prima, ha ritenuto che la ricorrente in prime cure non avesse formulato rituale domanda a riguardo; tale domanda era stata articolata solo nella memoria autorizzata per la discussione finale presentata dal nuovo difensore della lavoratrice per cui era da considerarsi tardiva;

8.2. quanto ora osservato esclude la configurabilità del denunziato vizio di omessa pronunzia posto che la Corte di merito non ha trascurato di pronunziare su una domanda ritualmente formulata ma ha ritenuto, sulla base di articolata argomentazione riferita al contenuto della originario ricorso esaminato nella parte espositiva e nelle conclusioni formulate nel senso di escludere la tempestiva proposizione di siffatta domanda;

8.3 la interpretazione della Corte di merito in ordine al contenuto del ricorso di primo grado non è validamente censurata dalla odierna ricorrente che sviluppa a riguardo argomentazioni meramente contrappositive alla ricostruzione operata dal giudice di appello senza veicolarle con la deduzione di vizio motivazionale, come prescritto in presenza di censure relative all’interpretazione della domanda che, comportando un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, è suscettibile di controllo di legittimità solo in relazione al profilo della correttezza motivazionale (Cass. n. 5712/2009, Cass. n. 7503/2004);

9. il rigetto del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento delle censure articolate con il secondo motivo in quanto la verifica dell’assunto sul carattere pacifico dell’unicità del gruppo datoriale tra Confimi e Api Servizi Ravenna, in tanto poteva assumere rilievo ai fini di causa in quanto collocato nel contesto di una prospettazione giuridica, ritualmente e tempestivamente formulata, intesa a far valere la esistenza di un unico soggetto datoriale quale conseguenza di una compenetrazione tra l’associazione e le varie personh..0 giuridiche operanti nella medesima sede, prospettazione formulata solo in sede di memoria autorizzata per la discussione finale e quindi tardivamente;

10. il terzo motivo di ricorso è anch’esso assorbito dal rigetto del primo motivo valendo a riguardo le medesime ragioni esplicitate in relazione all’assorbimento del secondo motivo; la dedotta violazione del divieto di nova in appello, denunziata con il motivo in esame, risulta infatti funzionale all’accertamento dell’unitario soggetto giuridico al quale riferire il rapporto di lavoro della B.; una volta esclusa, tuttavia, la proposizione di una rituale domanda in tal senso da parte della lavoratrice le censure articolate non si rivelano pertinenti all’oggetto di causa per come delimitato dal giudice di appello, con statuizione non incrinata dai motivi articolati con il presente ricorso;

11. il quarto motivo di ricorso è infondato;

11.1. la sentenza impugnata ha ritenuto provata e non pretestuosa la situazione di crisi alla base della riorganizzazione adottata dalla società datrice in conseguenza della quale era stato soppresso il posto di lavoro della B. e l’effettività della riorganizzazione con soppressione dell’ufficio di segreteria; ha ritenuto inoltre provata in relazione al nuovo assetto organizzativo l’impossibilità di una utile ricollocazione lavorativa; ha richiamato a supporto emergenze tratte dalla prova orale ed in tale contesto fatto riferimento alle dichiarazioni rese dalla teste U.M. indicata quale “responsabile dell’area tecnica per Confimi”; nel prosieguo della motivazione la Corte di merito, nel descrivere le mansioni alle quali era stata adibita la G., collega di lavoro della B., licenziata da Confimi e quindi assunta da API Servizi s.r.l., ha chiarito che la stessa aveva continuato a svolgere alcune funzioni di Confimi e “poi mansioni proprie dell’area tecnica cui Api Servizi appartiene”;

11. tanto premesso non si ravvisa alcuna inconciliabilità o illogicità della decisione in relazione al profilo denunziato posto che secondo quanto emerge dal contesto motivazionale nel quale è inserito il riferimento all’appartenenza di API Servizi all’area tecnica, tale riferimento implicava non che API Servizi fosse collocata all’interno di Confimi ma che operasse in un settore propriamente di carattere tecnico ed in quanto tale implicitamente destinato a qualificare le mansioni di nuova adibizione della Garavelli; tanto in particolare si evince dal fatto che l’appartenenza all’area tecnica di API Servizi viene evidenziata in relazione alla ricostruzione delle mansioni svolte dalla G. presso la detta società dopo l’assunzione, mansioni che vengono distinte da quelle che la detta lavoratrice continuava ad espletare presso Confimi; in altri termini, la genericità della espressione utilizzata nell’indicare il settore di operatività di API Servizi, letta alla luce delle complessive ragioni della decisione ed in particolare della riaffermata possibilità per API Servizi, ” diversa società”, di assumere in autonomia e secondo proprie necessità i dipendenti licenziati di Confimi (v. in particolare sentenza, pag. 12, quarto capoverso), non consente di configurare alcun irriducibile contrasto, destinato a riflettersi sulla comprensibilità delle ragioni alla base del decisum, con il fatto che presso Confimi fosse presente un’area tecnica con proprio responsabile; si tratta all’evidenza di due realtà autonome e separate che tali restano nel discorso della Corte di merito;

12. il quinto ed il sesto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, devono essere respinti;

12.1. la Corte di appello ha negato la prova del diritto alla differenze retributive reclamate dalla lavoratrice in relazione al premio di produzione previsto da contratto aziendale osservando che: a) a differenza della prospettazione formulata nel ricorso introduttivo per cui le differenze reclamate erano dovute dall’anno 1988 dalla produzione documentale si evinceva che la relativa richiesta era stata formulata il 17.2.1998 allorché la B. rivestiva ancora il 5 livello; b) la produzione documentale in atti attestava la sussistenza della voce premio di produzione nelle buste paga solo a partire dall’anno 2004 per cui nessun elemento “in questa evidente confusione ricostruttiva” confermava l’epoca a partire dalla quale la voce retributiva era stata riconosciuta in busta paga; c) è plausibile ritenere che nel 1998 la B. aveva avuto l’assegnazione del 6 livello e non un aumento meramente retributivo con la voce premio di produzione; d) poiché il documento indicato come contratto collettivo aziendale fa riferimento a somme riconosciute dal 1994 neppure poteva dirsi certo che tale contratto del tutto risalente nel tempo fosse ancora applicabile;

12.2. le argomentazioni della Corte di merito non presentano alcun profilo di incongruità o illogicità tale da sostanziare la denunziata apparenza di motivazione in quanto la ragione del rigetto della domanda di differenze retributive risulta assolutamente percepibile risiedendo, in ultima analisi alla mancanza di prova circa la fonte collettiva applicabile in relazione al periodo dedotto, che viene individuato in quello decorrente dall’anno 1998, coincidente con quello al quale si richiama la odierna ricorrente nell’assumere l’errore materiale della diversa indicazione portata nel ricorso introduttivo circa la decorrenza del diritto a partire dall’anno 1988; né, ha ritenuto la Corte di appello, dalla documentazione versata in atti era dato evincere la percezione nel tempo dell’emolumento in questione;

12.2. la censura formulata con il sesto motivo, intesa a contrastare l’affermazione della Corte di merito secondo la quale non erano state prodotte le buste paga precedenti all’anno 2004, mediante la deduzione che ” contrariamente a quanto riferisce la Corte di appello” la ricorrente aveva prodotto tutte le buste paga da giugno 1997 al licenziamento, denunzia un tipico errore revocatorio che avrebbe dovuto essere fatto valere, ai sensi dell’art. 398 c.p.c. dinanzi alla medesima Corte di appello e non con il ricorso per cassazione; la deduzione relativa alla non contestazione del passaggio nell’anno 1998 dal 5 al 6 livello non tiene conto che la Corte di merito aveva ritenuto la circostanza plausibile ma non idonea in difetto di prova documentale e dell’applicabilità dell’invocato contratto aziendale a sorreggere la pretesa della lavoratrice;

13. il settimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto senza formulare alcuna ragione di critica alla sentenza impugnata si limita a richiedere un diverso regolamento delle spese di lite per l’ipotesi di accoglimento del ricorso per cassazione;

14. al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;

15.ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315/ 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

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