Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20107 del 07/10/2016

Cassazione civile sez. VI, 07/10/2016, (ud. 08/04/2016, dep. 07/10/2016), n.20107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.C.E., elettivamente domiciliato in Roma, via Learco Guerra

45, presso l’avv. Giambelluca Francesca, rappresentato e difeso, per

procura a margine del ricorso, dall’avv. Camillo Ravagli, che

dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo

alla p.e.c. (OMISSIS) e al fax n. (OMISSIS);

– ricorrente –

nei confronti di:

I.F., elettivamente domiciliata in Roma, via Giuseppe

Gioacchino Belli 27, presso l’avv. Gian Michele Gentile, che

dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al

fax (OMISSIS) e alla p.e.c. (OMISSIS) e dal quale è rappresentata e

difesa, per procura in calce al controricorso unitamente all’avv.

Condorelli Giovanni, che dichiara di voler ricevere le comunicazioni

relative al processo alla p.e.c. (OMISSIS) e al fax n. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3223/13 della Corte di appello di Milano,

emessa il 26 febbraio 2014 e depositata il 25 agosto 2014, n. R.G.

1233/2013.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 504/2013, ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario fra D.C.E. e I.F.. Ha confermato l’affidamento della figlia M., nata il 1.m.1., al Comune di Milano con collocamento presso la madre e regolamentazione del diritto di visita del padre e ha demandato ai Servizi sociali del Comune di Milano la effettiva e rigorosa presa in carico della minore nonchè la fissazione di tempi e modalità di prolungata permanenza di M. presso il padre e la segnalazione, alle autorità competenti, di eventuali comportamenti della Madre che fossero di ostacolo alla ripresa di più congrui rapporti di M. con il padre, a cui carico ha posto un assegno di 600 Euro mensili a titolo di contributo al mantenimento della figlia.

2. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 3223/14, ha respinto l’appello di D.C.E. volto a modificare il regime di affidamento di M. e a ridurre il suo contributo mensile al mantenimento nonchè alla condanna della I. al risarcimento del danno provocato con la sua condotta ostativa all’esercizio della sua funzione genitoriale. Sulla base delle relazioni di aggiornamento presentate dai Servizi sociali, la Corte di appello ha affidato a questi ultimi l’incarico di monitorare attentamente la situazione con modalità idonee all’accoglimento di eventuali richieste di M. concernenti la sua relazione con il padre e di offrire un sostegno alla genitorialità sia della I. che del D.C. con la finalità di supportare il recupero della relazione del padre con la figlia e di far assumere alla madre condotte che favoriscano tale recupero.

3. Ricorre per cassazione D.C.E. che si affida a due motivi di ricorso.

4. Si difende con controricorso I.F..

Ritenuto che:

5. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 6, commi 2 e 3, in relazione al punto 1 della sentenza. Omesso esame, illogicità e contraddittorietà della stessa in merito ai comportamenti illegittimi della I. con riferimento ai provvedimenti concernenti l’affidamento e il regime di frequentazioni della figlia con il padre. Il ricorrente lamenta che egli è stata di fatto private dalla possibilità di frequentare la figlia e che tale situazione, determinata dall’atteggiamento ostile della madre, e non adeguatamente gestita e monitorata dai servizi sociali, è diventata ormai l’espressione della negazione della figura paterna da parte di M., evidentemente indotta a ciò dalla volontà materna, a cui la Corte di appello non ha posto alcun valido rimedio.

6. motivo è inammissibile quanto alla dedotta violazione di legge che non è stata prospettata secondo i criteri univocamente indicati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. sez. 6-5, ord. n. 635 del 15 gennaio 2015; Cass. civ. sez. 3, n. 828 del 16 gennaio 2007 secondo le quali quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità). Per ciò che concerne l’impugnazione per vizi motivazionali della sentenza della Corte distrettuale deve rilevarsi che possono essere considerate, ai sensi del nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, esclusivamente le censure relative all’omesso esame di fatti decisivi e discussi nel giudizio di appello e non anche quelle relative all’illogicità e contraddittorietà della motivazione luna volta che si riscontri, come nel caso in esame, l’esistenza di una motivazione articolata e completa da parte del giudice del merito che consenta di escludere quell’anomalia motivazionale, censurabile in base al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè (Cass. civ. S.U. n. 8053 del 7 aprile 2014). Emerge pertanto, in questa prospettiva, che l’unica censura scrutinabile, nel giudizio di legittimità, sia quella di non aver tenuto conto di alcuni comportamenti ostativi e incompatibili con un progetto dì recupero della relazione padre – figlia posti in essere dalla madre e che risulterebbero dalle relazioni dei servizi. sociali. In particolare il ricorrente rileva che la Corte di appello non ha valutato la circostanza per cui l’interruzione degli incontri in ambiente neutrale di M. con il padre avvenne per volontà della I. e che tale volontà fu rilevante anche nella interruzione degli incontri psicologici di sostegno, a favore della figlia M., disposti anche essi dalla sentenza di separazione. Inoltre il ricorrente inquadra in questa volontà di ostacolare un recupero del rapporto di M. con il padre anche la decisione, unilaterale e non autorizzata dai servizi sociali affidatari, di iscrivere la piccola M. al quinto anno della scuola elementare del quartiere (OMISSIS) anzichè confermare la precedente iscrizione alla scuola elementare di (OMISSIS).

7. Mentre di quest’ultima circostanza non appare evidente la rilevanza ai fini della decisione sull’affidamento ben potendo l’iscrizione scolastica a Milano essere compatibile con la dedotta volontà del D.C. di mantenere e recuperare una buona relazione con la figlia per quanto riguarda i comportamenti ostativi agli interventi di sostegno psicologico e alla prosecuzione dei contatti del padre con la figlia, deve rilevarsi l’infondatezza del ricorso la sentenza impugnata ha omesso la valutazione di tali comportamenti, ormai risalenti nel tempo, ma ha riservato la loro valutazione al giudizio di responsabilità da svolgersi in separata sede. Ciò in quanto la Corte di appello, correttamente, ha incentrato la propria valutazione sulla decisione da prendere all’attualità relativamente a una ragazza ormai nel suo quindicesimo anno di età e che aveva espresso una posizione decisamente chiara e argomentata circa la sua indisponibilità attuale alla partecipazione ad un progetto di riavvicinamento con il padre. In particolare la motivazione riferisce, riportando brani delle relazioni dei servizi sociali, che M., per giustificare questa indisponibilità assume “di sentirsi ferita dalla poca attenzione dedicatale dal padre che, in questi anni, si è limitato a mandarle alcuni sms e a farle sporadiche telefonate” e ritiene che “un riavvicinamento potrà avvenire solo su basi spontanee e non perchè dettato da tribunali e servizi sociali” ma perchè reso possibile “da una prova di interesse sincero e amorevole” da parte del padre. Alla luce di questa presa di posizione di M., la Corte di appello, valorizzando anche l’affermazione dei servizi sociali secondo cui una riduzione degli interventi in atto non pregiudicherebbe le condizioni di vita attuale della minore, ha confermato il regime di affidamento e la previsione di residenza della minore con la madre, prevedendo l’incarico ai servizi sociali di monitorare attentamente la situazione, specificamente con riferimento alle eventuali richieste di M. di riprendere i contatti con il padre, e parallelamente di fornire al padre di M. il supporto per poter individuare la migliore strategia per recuperare la relazione con la figlia e alla madre per poter adottare condotte che favoriscano tale recupero.

Si tratta di una decisione incentrata sulla valutazione dell’interesse della minore e sulla valorizzazione della sua capacità di autodeterminazione e improntata a favorire quel recupero della relazione padre – figlia che secondo la valutazione della Corte di appello potrebbe essere ulteriormente pregiudicato dall’imposizione di mutamenti nel regime di affidamento e di percorsi terapeutici e incontri obbligati. Conseguentemente deve escludersi che la motivazione della Corte di appello sia stata viziata dall’omesso esame di fatti rilevanti al fine della decisione da adottare sull’affidamento della minore e sulle sue relazioni con il padre.

8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 3, e dell’art. 147 c.c., in relazione al punto 3 della sentenza. Omesso esame, illogicità, contraddittorietà della stessa in relazione alle capacità contributive della I. nonchè in relazione agli elementi reddituali del D.C.. Il motivo appare inammissibile per le stesse ragioni evidenziate nell’esame del precedente motivo. Non vi è, ai fini dell’impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, alcuna esplicazione della dedotta violazione di legge mentre, ai fini dell’impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, manca l’indicazione di fatti decisivi la cui valutazione sarebbe stata omessa dal giudice di appello. Il motivo si risolve pertanto in una serie di critiche alle valutazioni della Corte di appello che, peraltro, non appaiono neanche confortate da una specifica indicazione (nei termini prescritti dalla sentenza delle Sezioni Unite Civili di questa Corte n. 8053 del 7 aprile 2014) delle risultanze probatorie contrarie alla ricostruzione delle capacità economiche delle parti effettuata dalla Corte di appello in relazione all’obbligo del D.C. di contribuire al mantenimento della figlia M..

9. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 2.600 Euro di cui 200 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dell’art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016

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