Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20106 del 02/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20106 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso 28663-2010 proposto da:
PECCI

CATERINA

PCCCRN24S45H501N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 2, presso lo
studio dell’avvocato ZINI ADOLFO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato BIANCA CESARE
MASSIMO;
– ricorrente –

2013
685

contro

ISABELLA PECCI CORSETTI ANTONINI

PIACITELLI

PATRIZIA, PIACITELLI GIOVANNI BATTISTA, PIACITELLI
ALESSANDRO, PIACITELLI EMANUELA, PIACITELLI PAOLO,

Data pubblicazione: 02/09/2013

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.B. VICO l,
presso lo studio dell’avvocato PROSPERI MANGILI
LORENZO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PROSPERI MANGILI STEFANO;
– con troricorrenti –

BRAIDA

ENRICO,

PECCI

FEDERICA

MARIA,

PECCI

GIOACCHINO, BRAIDA EMILIANO, BRAIDA GIANLUCA, PECCI
ELISABETTA, RUGGERI CORRADO, PECCI RICCARDO, PECCI
GIUSEPPE, PIACITELLI MARIO, PECCI GIOVAN BATTISTA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 3985/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/03/2013 dal Consigliere Dott. MARIA
ROSARIA SAN GIORGIO;
uditi gli Avvocati ZINI Adolfo, BIANCA Cesare
Massimo, difensori del ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato PROSPERI MANGILII Lorenzo, difensore
dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso in subordine
rigetto.

nonchè contro

:.

Svolgimento del processo
1. – A seguito del decesso, in data 15 maggio 1923, di Ludovico Pecci, i
suoi figli ed eredi testamentari Gioacchino, Giovanni Battista e Maria
Concetta, con atto notarile del 19 settembre 1925, provvidero alla

interrotte le operazioni di divisione della parte immobiliare.
Con citazione del 17 marzo 1927, Gioacchino Pecci agì nei confronti degli
altri due fratelli per l’annullamento delle disposizioni testamentarie
asseritamente lesive della sua quota e per la divisione conseguente. Tale
giudizio fu poi dichiarato estinto.
Dopo la interdizione di Gioacchino Pecci, il suo tutore convenne in
giudizio innanzi al Tribunale di Velletri gli eredi di Giovanni Battista
Pecci (la moglie Heleda Castrignano ed i figli Ludovico, Isabella e Maria
Vittoria) ed il curatore dell’eredità giacente di Maria Concetta Pecci,
chiedendo che fosse ordinata la divisione in tre quote uguali di tutti i
beni mobili dell’eredità del padre, che fosse nominato un esperto per la
ricostruzione e la stima della massa ereditaria e la formazione delle
singole quote e che fosse disposta l’assegnazione delle parti mediante
sorteggio.
2. – Nel relativo giudizio, riassunto innanzi al Tribunale di Roma,
indicato come giudice competente, e nuovamente riassunto dopo la morte di
Gioacchino Pecci, detto Tribunale, con sentenza del 19 febbraio 1970, tra
l’altro, respinse la domanda degli eredi di quest’ultimo di annullamento
delle sue disposizioni testamentarie; respinse la domanda di annullamento
.

delle disposizioni testamentarie di Ludovico Pecci

3

senior; dichiarò che

divisione della parte immobiliare della eredità, mentre vennero

il Museo e la Biblioteca erano esclusi dalla massa ereditaria in quanto
pervenuti come legato a Ludovico Pecci junior; ordinò che gli altri beni
mobili relitti da Ludovico Pecci

senior

(la cappella e gli arredi del

Palazzo Pecci di Carpineto Romano) fossero divisi per stirpi in tre

eredi di Gioacchino Pecci e l’erede di Maria Concetta Pecci, rimettendo
le parti dinanzi al giudice istruttore per la divisione.
Le statuizioni di detta sentenza, dopo successive impugnazioni, passarono
in giudicato.
Nel prosieguo dell’istruttoria, il Tribunale di Roma dispose c.t.u. per
accertare il valore dei beni siti nella cappella e nel Palazzo Pecci di
Carpineto. Gli eredi di Giovanni Battista Pecci produssero – come risulta
dal verbale di udienza del 25 novembre 1981 – quattro elenchi di mobili
allo scopo di individuare la massa da dividere escludendo i mobili
esistenti nel Palazzo e ritenuti non far parte dell’eredità perché di
proprietà della moglie di Giovanni Battista, Heleda. Fu chiesta dagli
attori la esibizione e la stima, ai fini della collazione, di beni,
compresi quelli facenti parte dell’eredità di Papa Leone XIII, ed alcuni
altri beni di rilevante valore storico ed economico, donati dal de cuius,
peraltro con semplici lettere, ai figli Giovanni Battista e Maria
Concetta, e rimasti nella disponibilità dei convenuti, conservati presso
il Palazzo di Carpineto, nonché di quelli che sarebbero stati sottratti
dallo stesso Palazzo ad opera di ignoti.
Si verificarono poi gli eventi interruttivi rappresentati dalla morte di
Ludovico Pecci

junior –

cui seguì la costituzione dell’erede Federica

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porzioni di uguale valore tra gli eredi di Giovanni Battista Pecci, gli

Pecci, mentre restarono contumaci gli altri eredi Giovanni Battista,
Riccardo e Corrado – e dalla morte di Maria Vittoria Pecci – cui seguì la
costituzione dei suoi eredi Giovanni Battista, Patrizia, Emanuela e Paolo
Piacitelli, mentre rimase contumace Alessandro Piacitelli – e dal decesso

della stessa.
3. – Con sentenza non definitiva del 12 aprile 2001, il Tribunale di
Roma, tenuto conto della citata decisione del 1970, passata in giudicato,
respinse le domande di collazione e di risarcimento avanzate da parte
attorea e rimise la causa in istruttoria per l’attuazione della
divisione.
Il giudizio, ancora interrotto per il decesso di Maria Teresa Pecci,
proseguì, dopo la riassunzione, con l’espletamento del disposto
supplemento di consulenza.
4. – Quindi, con sentenza definitiva del 13 luglio 2004, il Tribunale
dispose lo scioglimento della comunione mobiliare, e, in mancanza di
accordo tra le parti, individuò i tre lotti ai fini del sorteggio e
dell’assegnazione ai discendenti delle tre stirpi di Ludovico Pecci
senior.
Le sentenze del 2001 e del 2004 furono impugnate da Caterina Pecci.
5. – Con sentenza depositata il 13 ottobre 2009, la Corte d’appello di
Roma respinse entrambi i gravami.
In riferimento alla impugnazione della sentenza non definitiva del 2001,
la Corte di merito rilevò la inammissibilità per novità delle questioni,
relative alla collazione, al risarcimento dei danni dovuti al lamentato

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di Heleda Castrignano Pecci con riassunzione nei confronti degli eredi

furto all’interno del Palazzo Pecci, alla individuazione di altri beni,
sollevate in sede di appello, rispetto all’originario assetto delle
domande svolte nel giudizio, e richiamò la preclusiva portata dirimente
della pronuncia del 1970, con la quale era stata definita, secondo la

quanto, con la convenzionale soluzione originariamente raggiunta dagli
aventi diritto in ordine alla parte immobiliare del patrimonio, anche in
modo difforme dalle legittime spettanze, gli interessati condividenti
ragionevolmente avevano inteso estendere il criterio divisionale adottato
anche ai beni mobili, non compresi nella originaria ripartizione
convenzionale.
Quanto alla impugnazione della sentenza definitiva del 2004, la Corte,
tralasciando le censure che riproponevano le questioni già affrontate
nella sentenza interlocutoria, ritenne infondata la doglianza inerente ai
criteri seguiti dai primi giudici per la formazione dei lotti, escludendo
la configurabilità della lesione del principio dell’universalità della
divisione di cui all’art. 727 cod.civ., alla stregua del rilievo che la
regola dettata da tale norma – la quale prescrive che ciascuna porzione
di beni ereditari debba comprendere, in proporzione dell’entità delle
rispettive quote, una quantità di mobili, immobili e crediti di uguale
natura e qualità, non è inderogabile, ma indica un criterio di massima
dal quale il giudice può discostarsi fino ad includere in una parte solo
beni di uno stesso tipo o categoria e in una diversa porzione solo beni
appartenenti tutti ad un altro tipo, poiché il criterio di cui si tratta
non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle
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Corte, ogni questione relativa alla tormentata vicenda successoria, in

singole entità rientranti nella stessa categoria, ma nella proporzionale
ripartizione dei beni compresi nelle varie categorie, in modo da
realizzare il preminente interesse dei condividenti al conseguimento
della debita porzione del compendio ereditario. Correttamente, pertanto,

alla rilevante portata qualitativa e quantitativa del compendio oggetto
di divisione, aveva condiviso le conclusioni del c.t.u., basate su di una
puntuale ed equilibrata analisi di tutti i complessi problemi di
catalogazione, inquadramento ed inserimento dei beni da ripartire, con il
risultato della formazione di lotti omogenei e misurati nella loro
composizione.
6. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre Caterina Pecci sulla base
di sette motivi. Resistono con controricorso Isabella Pecci Corsetti
Antonini e Giovanni Battista, Patrizia, Alessandro, Emanuela e Paolo
Piacitelli. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa e comunque
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. La
sentenza impugnata sostanzialmente mancherebbe di motivazione in ordine
al rigetto dell’appello, i cui motivi non sarebbero stati compiutamente
esaminati, impedendosi così l’effettivo controllo della logicità ed
esattezza del percorso argomentativo seguito dal giudice del merito per
pervenire alla propria decisione.
2. – Il motivo risulta meritevole di accoglimento, nei termini e nei
limiti di cui subito si dirà.

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secondo la Corte di merito, la sentenza impugnata, avuto anche riguardo

2.1. – La Corte di merito, nell’esaminare, e decidere, una così complessa
vicenda successoria, ha omesso una analitica disamina dei singoli,
articolati motivi di gravame, limitandosi ad una valutazione, generale e
di massima, di correttezza, in particolare, della sentenza definitiva di

tanto alla stregua di una ricostruzione delle ragioni giuridiche che la
avevano determinata, quanto piuttosto sulla base di un approssimativo
apprezzamento, operato in vista dell’approvazione di una soluzione che
risultasse appagante sul piano dell’equilibrio tra gli interessi
coinvolti: ciò in considerazione della rilevanza, quantitativa e
qualitativa, del compendio di cui si tratta. Sicchè, nell’effettuare la
valutazione ad essa richiesta, la Corte, anziché muovere dall’esame dei
singoli segmenti della divisione, per poi giungere ad un giudizio
complessivo, sembra avere soffermato la propria attenzione soprattutto
sul risultato finale, che ha ritenuto soddisfacente, in considerazione
della complessità del patrimonio di cui si tratta, in quanto tale da
garantire .

primo grado, giustificandola, in modo sostanzialmente esplicito, non

Ed infatti, a parte l’affermazione della condivisione della decisione di
primo grado che aveva recepito le conclusioni del c.t.u. siccome basate
su di una puntuale ed equilibrata analisi di ,
non è rinvenibile nell’ordito motivazionale della sentenza impugnata un
reale iter argomentativo che faccia da supporto tecnico alla decisione
adottata.

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ti

2.2. – In particolare, come fondatamente sottolineato dalla ricorrente,
manca, nella decisione che ne occupa, non solo una completa ricostruzione
della vicenda, ma soprattutto la esatta individuazione dei beni oggetto
della divisione. Basta considerare che, nonostante le analitiche censure

alcuna reale motivazione in ordine alla decisione di confermare la
sentenza di primo grado che non aveva computato nella massa ereditaria
alcuni beni presenti nel Palazzo Pecci di Carpeneto Romano, pacificamente
nella disponibilità dei convenuti sin dall’apertura della successione, né
alcuni beni collocati nella biblioteca e nel museo, ma non a questi
funzionali, solo in virtù della collocazione dei medesimi in detti
ambienti, non compresi per volontà testamentaria nella massa da dividere
(‹E’ mio desiderio che la biblioteca ed il museo con tutto quello che
contengono debbano rimanere intatti e non rimossi dall’avito palazzo
Pecci>); né, ancora, i beni (tra i quali argenteria, monete, medaglie
d’oro e di argento di valore anche storico appartenuti al Pontefice Leone
XIII, orologi, quadri ed altro) oggetto di denunce di furto, nonostante
agli atti risultassero analiticamente individuati.
Al riguardo, il giudice di secondo grado si limita ad un generico
riferimento alla indeterminatezza della domanda ed al

decisum

della

sentenza del Tribunale di Roma del 1970, che, invece, come chiarito in
narrativa, aveva ordinato che i beni mobili relitti da Ludovico Pecci
senior,

Pecci

ad eccezione del museo e della biblioteca, legati a Ludovico

junior

(e cioè la cappella e gli arredi del Palazzo Pecci di

Carpineto Romano) fossero divisi per stirpi in tre porzioni di uguale

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sul punto alla sentenza di primo grado, la Corte capitolina non fornisce

valore tra gli eredi di Giovanni Battista Pecci, gli eredi di Gioacchino
Pecci e l’erede di Maria Concetta Pecci, rimettendo le parti dinanzi al
giudice istruttore per la divisione.
2.3. – Né alcuna plausibile motivazione la Corte di merito fornisce del

dei beni donati dal de culus al figlio Giovanni Battista e alla figlia
Maria Concetta, di ingente valore storico (collezioni di scritti e
lettere autografe di Leone XIII, e di sovrani dell’epoca, monete d’oro,
una scatola d’oro coperta di brillanti donata a Leone XIII da Guglielmo
Il imperatore di Germania, il martello con il quale lo stesso Pontefice
Leone XIII aveva aperto la Porta Santa), giustificata ancora alla stregua
di una asserita preclusione derivante dal giudicato di cui alla sentenza
del Tribunale di Roma del 1970, la cui portata non è, in realtà,
esattamente individuata dallo stesso giudice, siccome riferita al rigetto
della domanda degli attori di collazione dei beni, non desumibile,
invece, dalla predetta sentenza.
2.3. – Né vale in contrario, come fanno i controricorrenti, eccepire
l’assenza di una espressa domanda di collazione, il cui contenuto, al
contrario, emerge all’evidenza dalla lettura della sentenza del 1970, là
dove si rinvengono, tra le conclusioni riportate per gli attori,
<...rimettere le parti dinanzi al giudice istruttore per la formazione della massa dividenda, per le collazioni e per le altre operazioni divisionali>.
3. – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 132 cod.proc.civ. La sentenza impugnata avrebbe omesso una

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rigetto del motivo di appello attinente alla esclusione della collazione

esauriente, pur se concisa, esposizione dello svolgimento del processo,
nonché della esposizione dei motivi in fatto e in diritto della
decisione.
4. – L’esame della censura è, per la parte di essa relativa alla

primo motivo di ricorso.
Risulta, invece, priva di fondamento la doglianza concernente la mancata
esposizione dei fatti di causa. In realtà, una qualche, sia pur lacunosa,
e in qualche misura imprecisa, ricostruzione della vicenda è possibile
evincere dalla sentenza.
5. – Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1362 e 1366 cod.civ., nonché la omessa e comunque
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, per
avere la Corte di merito recepito la tesi del giudice di primo grado,
secondo il quale oggetto del presente giudizio non sarebbe una divisione
ereditaria, sulla base di una interpretazione non corretta della sentenza
del 1970 e dell’atto del 1925, con il quale i figli di Ludovico Pecci
senior provvidero alla divisione della parte immobiliare della eredità
paterna, senza intendere, peraltro, come invece ritenuto dalla Corte,
estendere lo stesso criterio alla componente mobiliare del patrimonio del
culus, così superando la volontà testamentaria sul punto.
6. – Il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso sottopongono
ancora a critica la decisione impugnata nella parte in cui essa ha
rigettato il gravame con riferimento alla richiesta di inclusione nella
massa ereditaria dei beni indicati dalla attuale ricorrente.

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omissione delle ragioni della decisione, assorbito dall’accoglimento del

6.1. – In particolare, con il quarto mezzo si deduce la violazione e
falsa applicazione dell’art. 762 cod.civ. ed omessa e comunque
insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, con
riguardo, oltre che alla errata interpretazione dell’atto del 1925, su

sentenza del 1970, in base alla quale si sarebbe dovuto procedere alla
divisione della massa ereditaria in tre parti uguali.
6.2. – Il quinto motivo affronta lo stesso tema della mancata inclusione
nella massa ereditaria dei beni indicati dalla ricorrente, riguardato
sotto il profilo della errata applicazione del principio dell’onere della
prova di cui all’art. 2697 cod.civ., per non avere compreso la Corte di
merito che gravava sui convenuti, pacificamente nel possesso del Palazzo
sin dall’apertura della successione, e non sugli attori, la prova della
non appartenenza alla massa ereditaria da dividere dei beni custoditi nel
Palazzo medesimo.
-12Jaft-6.3. – Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 737, 723 e 724 cod.civ. nonché omessa e comunque
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Ancora una volta viene dedotto l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte
di merito nel rigettare il motivo di gravame inerente alla mancata
inclusione nella massa ereditaria dei beni di cui si è detto. In questo
caso la decisione della Corte capitolina viene aggredita sotto il profilo
del mancato riconoscimento del diritto alla collazione dei beni de quibus
per tardività della relativa domanda. Si deduce che erroneamente sarebbe
stata affermata detta tardività, e che comunque, pure in assenza di una

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cui si è già riferito, alla mancata osservanza delle statuizioni della

siffatta richiesta, la ricorrente avrebbe comunque diritto alla
collazione.
7. – Le censure, che avuto riguardo alla intima connessione logicogiuridica che le avvince – volte, come sono tutte, alla contestazione

operata dal giudice di merito – possono essere esaminate congiuntamente,
sono fondate nei termini (e limiti) di cui appresso.
Come già chiarito nel corso dell’esame del primo mezzo, la tesi sostenuta
dalla Corte di merito, secondo la quale la sentenza del Tribunale di Roma
del 1970 sarebbe preclusiva della domanda di collazione dei beni donati
dal de cuius, non risulta condivisibile: essa si infrange inesorabilmente
contro il

decisum

di detta sentenza, che statuì, tra l’altro, la

prosecuzione dell’istruttoria, volta proprio ad attuare le operazioni
divisorie con riferimento a tutti i beni mobili relitti dal de culus con
esclusione del museo e della biblioteca; restando, pertanto, assorbita la
questione relativa alla interpretazione della scrittura del 1925.
Nella individuazione di tali beni, a parte la questione, sollevata dalla
ricorrente, del contenuto della biblioteca e del museo, che deve
ritenersi inammissibile in quanto legata ad una interpretazione della
volontà testamentaria attinente alla ricomprensione nella espressione
adottata dal testatore dei beni comunque ivi collocati, indipendentemente dalla
appartenenza dei medesimi alle raccolte costituenti detti museo e
biblioteca, per il resto il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte
di merito evidenzia una serie di carenze. Esso, infatti, non dà

13

della individuazione dei beni facenti parte della massa ereditaria come

minimamente conto delle ragioni della mancata valorizzazione, ai fini che
nella presente sede rilevano, della circostanza della presenza dei beni
de quibus presso l’immobile incontestatamente posseduto dai convenuti fin
dall’epoca della successione; e, dunque, non si prospetta la esigenza di

nel Palazzo Pecci, con riferimento ad ipotesi di omessa custodia, nonché
di conseguire la prova, ad opera dei convenuti, della appartenenza di
altri beni presenti nel Palazzo al patrimonio di Heleda Castrignano. E
nemmeno la sentenza impugnata affronta il tema della mancata
considerazione, nel grado precedente, dell’inventario, effettuato dal
cancelliere in epoca precedente la c.t.u., dei beni presenti nel Palazzo
Pecci, ricordato nel ricorso.
8.

Resta assorbito dall’accoglimento, nei sensi indicati, dei

precedenti motivi l’esame del settimo, concernente la denuncia delle
asseritamente

insufficienti

operazioni

peritali

in

sede

di

predisposizione dei lotti.
9. – In definitiva, il ricorso deve essere accolto nei sensi indicati. La
sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa rinviata ad un diverso
giudice – che viene individuato in altra sezione della Corte d’appello di
Roma, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente
giudizio – che la riesaminerà alla luce dei rilievi svolti

sub 2.1.,

2.2., 2.3 e 7.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza

14

approfondire la questione dei furti di alcuni beni ereditari presenti

impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra
sezione della Corte d’appello di Roma.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

civile, il 13 marzo 2013.

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