Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20104 del 30/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 30/09/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 30/09/2011), n.20104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27104/2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, VALENTE NICOLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.P., SA.LE., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE

SANTE, che le rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 141/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/10/2006 R.G.N. 602/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato CALIULO LUIGI per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito l’Avvocato TODDE MICHELE per delega ASSENNATO G. SANTE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto il diritto di Sa.Le. e S.P. alla riliquidazione, per ciascuna di esse, della pensione di reversibilità (a seguito della perdita del diritto da parte del figlio contitolare) con l’applicazione degli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta osservando che, secondo la giurisprudenza della S.C., il trattamento pensionistico spettante al residuo superstite va determinato nella sua consistenza quantitativa con gli stessi criteri fissati per l’originaria liquidazione dalla L. n. 903 del 1965, art. 22, e, pertanto, mediante un’operazione di riliquidazione da compiere con la preventiva detrazione dalla pensione originariamente goduta dal dante causa, o al medesimo spettante, della quota del contitolare escluso, con l’applicazione sulla quota del titolare restante, e con decorrenza dalla morte del dante causa, degli aumenti di legge e degli aumenti perequativi intervenuti nel frattempo, ivi compresi gli aumenti pensionistici di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 1985, la cui esclusione, non prevista da alcuna disposizione di legge, si porrebbe in contrasto con la generale applicabilità della L. n. 903 del 1965, citato art. 22.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Inps affidandosi a un unico motivo di ricorso cui resistono con controricorso Sa.

L. e S.P., che hanno depositato anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, come risultante dalla L. n. 903 del 1965, art. 22, D.L. n. 463 del 1983, art. 6, conv. in L. n. 638 del 1983, L. n. 140 del 1985, artt. 4 e 5, chiedendo a questa Corte di stabilire “se, in caso di perdita del diritto alla pensione di reversibilità da parte di uno dei contitolari in epoca successiva al 30 settembre 1983, sul trattamento spettante ai rimanenti contitolari, decorrente quindi da epoca successiva alla data considerata dal D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, conv. in L. 11 novembre 1983, n. 638, non si applicano gli aumenti previsti dalla L. 15 aprile 1985, n. 140, art. 4, poichè detti aumenti spettano solo sulle pensioni anteriori al 1 gennaio 1984 e integrate al minimo”.

2.- Il ricorso non è fondato. Il quesito formulato dall’Istituto deve trovare risposta nel principio costantemente ribadito da questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. n. 15644/2005 – secondo cui alla cessazione del regime di contitolarità tra beneficiari del trattamento di reversibilità, la pensione del titolare residuo deve essere determinata tenendo conto non già di quanto di fatto percepito durante il periodo di contitolarità, ma operando un conteggio virtuale, fin dalla morte del dante causa, al fine di ricostruire la prestazione come se vi fosse stato sempre un unico titolare; ne consegue che la quota di pensione spettante al contitolare superstite deve essere ricalcolata applicando ad essa tutti gli aumenti e le perequazioni fissati dalle leggi succedutesi nel tempo, tra i quali vanno compresi anche gli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4, a prescindere dal fatto che la pensione medesima non godesse della integrazione al minimo durante il regime di contitolarità, essendo necessario accertare se, al momento in cui maturavano i detti aumenti, la pensione stessa, ricalcolata appunto con riguardo alla sua spettanza teorica, fosse o meno passibile di integrazione al minimo.

Secondo il principio sopra espresso, era quindi necessario accertare se, al momento in cui maturavano gli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, la pensione spettante al contitolare superstite, calcolata con riguardo alla sua spettanza teorica, avrebbe dovuto essere integrata al minimo, ed i giudici di merito hanno espresso sul punto, sia pure sinteticamente, una risposta affermativa che l’Istituto ricorrente non ha censurato (il ricorso non investe, infatti, il problema dell’accertamento della sussistenza di tale requisito, e cioè delle condizioni richieste ai fini della integrazione al minimo con riguardo alla spettanza teorica della pensione spettante al contitolare superstite).

3.- Erroneamente l’Istituto richiama la sentenza di questa Corte n. 4512 del 1999, ed altre successive, laddove si è affermato che il titolare di pensione diretta e di pensione di reversibilità in regime di contitolarità, il quale, in forza della norma speciale di cui alla L. n. 639 del 1983, art. 6, comma 11 bis, gode dell’integrazione al minimo su entrambe le prestazioni anche successivamente al 30 settembre 1983 (in deroga alla regola generale secondo cui, dalla stessa data, l’integrazione al minimo spetta una sola volta), allorchè cessi la situazione di contitolarità e perda il diritto alla integrazione sulla pensione di reversibilità, non ha diritto alla cristallizzazione di quest’ultima pensione.

Ed invero la regolamentazione della pensione del titolare residuo pone problematiche completamente diverse a seconda che si tratti del diritto agli aumenti di cui alla citata L. n. 140 del 1985, oppure del diritto alla c.d. cristallizzazione, di talchè i criteri applicabile al secondo non sono applicabili sic et simpliciter al primo. Si è infatti affermato nella pronunzia n. 4512/99 che il meccanismo di conservazione previsto per la cristallizzazione è inconciliabile con il meccanismo del ricalcolo che nella specie va applicato, sul rilievo che l’unico titolare rimasto non può, al momento della cessazione della integrazione per il venir meno della contitolarità, “conservare” l’importo della pensione raggiunto in precedenza, proprio perchè la misura del trattamento spettante da quel momento in poi deve essere ricalcolato; ossia, per le pensioni in esame, il momento in cui si perde l’integrazione coincide con il momento in cui si modifica la struttura stessa della prestazione variandone la misura, il che non consente la “conservazione” del trattamento raggiunto in precedenza. Nulla osta invece all’applicazione degli aumenti di cui alla citata L. n. 140 del 1985, dal momento che nel ricalcolo, cui devesi necessariamente procedere, si può ben tenere conto degli stessi aumenti, a cui il beneficiario avrà diritto ove la sua quota teorica, e non già quella concretamente erogata in regime di contitolarità, fosse stata integrabile al minimo all’epoca di operatività della medesima L. n. 140 del 1985.

4.- Il ricorso va dunque rigettato con la conferma della sentenza impugnata.

5.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno distratte a favore del procuratore antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00, oltre Euro 2.500,00 per onorarì, oltre IVA, CPA e spese generali, da distrarsi a favore dell’avv. G. Sante Assennato, antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2011

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