Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2010 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. I, 28/01/2010, (ud. 01/10/2009, dep. 28/01/2010), n.2010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

VELAFIN S.R.L. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA (c.f.

(OMISSIS)), in persona del commissario liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 2, presso

l’avvocato CARPIO ERNESTO, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.N. (c.f. (OMISSIS)), P.A.M. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CONCA

D’ORO 15, presso l’avvocato PERILLO ANDREA, rappresentati e difesi

dall’avvocato ZAPPIA RAIMONDO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1563/2 006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 02/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

01/10/2009 dal Consigliere Dott. BERNABAI Renato;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato ERNESTO CARPIO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 6 giugno 1996 la VELAFIN s.r.l. in liquidazione coatta amministrativa conveniva dinanzi al Tribunale di Torino gli ex amministratori e gli ex sindaci per sentire accertare la loro responsabilita’ nel negligente esercizio delle rispettive funzioni, con la conseguente condanna al risarcimento del danno da depauperamento patrimoniale della societa’, produttivo dell’insolvenza finale. In particolare, con riguardo, per quanto qui interessa, ai due sindaci S. e P., metteva in evidenza la loro inadempienza dell’obbligo di denunziare operazioni fraudolente, quali la cessione per L. 10.500.000.000 di azioni dell’Ifa s.p.a., in realta’ prive di alcun valore, ad estinzione di un debito sociale pendente con l’AFI – All Factoring Italia s.p.a., facente parte del medesimo gruppo di societa’ (c.d. gruppo Bersano), a titolo di restituzione di somme ricevute ed indebitamente distratte; nonche’ l’omissione del doveroso controllo in sede di approvazione di due bilanci portanti un utile apparente, a fronte di una reale situazione deficitaria, dissimulata mediante sopravvalutazione delle menzionate partecipazioni.

Nel corso dell’istruttoria veniva definita transattivamente la controversia con gli altri convenuti e la causa proseguiva nei soli confronti dei suddetti sindaci, sigg. S. e P..

Con sentenza 27 marzo 2000 il Tribunale di Torino, in accoglimento parziale della domanda, condannava questi ultimi in solido al risarcimento del danno, liquidato nella somma di L. 1.300.000.000, oltre interessi e rivalutazione.

Motivava:

che non poteva essere addebitata ai due sindaci la perdita maturata in epoca anteriore alla loro nomina in data 19 ottobre 1987;

che se ne doveva invece affermare la responsabilita’ per violazione dei doveri di controllo sul bilancio approvato nell’assemblea del (OMISSIS), viziato dalla sopravvalutazione delle partecipazioni Ifa, sottoscritte in data (OMISSIS).

In accoglimento del successivo gravame dei sigg. S. e P., la Corte d’appello di Torino con sentenza 11 gennaio 2001 rigettava la domanda, nonche’ l’appello incidentale del commissario liquidatore della Velafin s.p.a., per carenza di prova dell’effettiva conoscenza del valore reale delle partecipazioni sociali, non desumibile dagli atti dei precedenti procedimenti penali, conclusisi con l’applicazione concordata della pena, ex art. 444 c.p.c. (c.d.

patteggiamento), che non implicava l’accertamento della responsabilita’ penale sui fatti oggetto dell’imputazione.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione la Velafin s.p.a. in L.c.a., sulla base di sei motivi di censura.

Questa Corte, con sentenza 22 dicembre 2004, in accoglimento di quattro motivi, cassava la decisione impugnata, rinviando la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

Motivava che, per giurisprudenza consolidata, dalla sentenza penale di applicazione della pena, pur non assistita dall’efficacia del giudicato, si potevano trarre elementi di prova liberamente valutabili nel giudizio civile; cosi’ come dalle sentenze e dagli atti istruttori – incluse le perizie – compiuti in distinti procedimenti penali a carico di altri soggetti, in ordine a fatti rilevanti ai fini risarcitori in questione.

Dopo la rituale riassunzione, la Corte d’appello di Torino, in sede di rinvio, con sentenza 2 marzo 2007 accoglieva il gravame proposto dai due sindaci e per l’effetto respingeva l’azione di responsabilita’ promossa nei loro confronti dalla Velafin s.r.l. in liq. coatta amministrativa, con compensazione integrale delle spese di tutti i gradi del giudizio.

Motivava.

– che in ordine al bilancio dell’esercizio chiusosi al 30 giugno 1987 non era imputabile ai sindaci la perdita conseguente all’acquisto di partecipazioni nella societa’ Ifa, enormemente sopravvalutate in bilancio, in difetto di prova della loro conoscenza del reale valore delle azioni: tenuto anche conto che essi non avevano mai rivestito la carica di sindaci nella societa’ partecipata;

– che con riferimento al bilancio dell’esercizio successivo, chiusosi al 31 dicembre 1987, non si poteva trarre alcun indizio di colpevole negligenza dalla sentenza penale, che faceva seguito ad una richiesta di patteggiamento formulata in limine litis, senza che vi fosse stata alcuna contestazione seguita da interrogatorio: non essendo sufficiente, all’uopo, un unico atto istruttorio, costituito dalla relazione dello stesso commissario liquidatore, che peraltro non attribuiva responsabilita’ specifiche ai due sindaci;

– che inoltre la cessione delle azioni Ifa alla societa’ Afi, in compensazione con un debito dell’alienante Velafin, si era tradotto in un vantaggio, e non in un danno, per quest’ultima, che in tal modo aveva estinto un proprio ingente debito mediante il trasferimento di azioni di nessun valore.

Avverso la sentenza, non notificata, la Velafin s.r.l. in liq. coatta amministrativa proponeva ricorso per cassazione, articolato in tre motivi e notificato il 18 gennaio 2008.

Deduceva.

1) la violazione del principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio e delle norme di cui agli artt. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c., perche’ la corte territoriale aveva considerato come indizio unico l’insieme degli elementi di prova rinvenibili nei processi penali, negando poi la sussistenza dei necessari riscontri: laddove, le risultanze degli altri processi che avevano visto coinvolto il prof. S., in concorso con terzi, costituivano, esse stesse, riscontro alla sentenza di patteggiamento intercorsa nel processo penale Velafin:

2) la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per erronea valutazione delle prove.

3) La carenza di motivazione e la violazione dell’art. 2909 c.c. per omessa rilevazione del giudicato, eccepito in ordine alla statuizione di condanna al risarcimento del danno, liquidato in L. 1.300.000.000, emessa dal Tribunale di Torino.

Resistevano con controricorso i sigg. S. e P..

All’udienza dell’1 Ottobre 2009 il P.G. e il difensore della ricorrente precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del principio di diritto espresso da questa Corte nella sentenza di annullamento con rinvio e delle norme di cui all’art. 2729 c.c. e all’art. 116 c.p.c..

Il motivo e’ infondato.

La censura di omessa verifica delle risultanze dei processi penali, riguardanti anche reati commessi nella gestione di societa’ diverse dalla Velafin, da cui si dovrebbe desumere la responsabilita’ per omesso controllo delle irregolarita’ di bilancio di quest’ultima, resta a livello meramente assertivo, dato che i brani di sentenze penali riportati nel ricorso si riferiscono, appunto, all’attivita’ di sindaco svolta dallo S. all’interno di altra societa’ (IFC s.p.a.), non automaticamente rilevanti ai fini probatori nell’ambito dell’azione di responsabilita’ intentata dal commissario liquidatore della Velafin s.r.l..

Ancor piu’ generico il riferimento ad accertamenti contenuti in una perizia esperita in un distinto processo per bancarotta a carico dell’amministratore di due diverse societa’ (Ali – All Leasing Italia ed AfI- All Factoring Italia).

Ne’ appare irrispettosa del principio di diritto enunciato in sede di cassazione la ratio decidendi della pronunzia di rinvio nella parte in cui, da un lato, non ritiene sufficiente, di per se’ sola, la sentenza di applicazione concordata della pena ex art. 444 c.p.p., per affermare la responsabilita’ dei sindaci ai sensi dell’art. 2407 c.c. e dell’art. 2488 c.c., comma 3 (testo previgente); e dall’altro, nega l’esistenza stessa di alcun danno in conseguenza di un’operazione – ritenuta, dalla ricorrente, fraudolenta in danno dei creditori – consistita nella sopravvalutazione delle azioni emesse dall’Ifa s.p.a. e possedute dalla Velafin s.r.l., in realta’ prive di valore.

Sotto il primo profilo, si deve ribadire che la c.d. sentenza di patteggiamento non contiene un accertamento di responsabilita’ e non ha quindi efficacia diretta nel giudizio civile risarcitorio (art. 445 c.p.p., comma 1 bis): con la conseguenza che la possibilita’ di trame presuntivamente elementi di prova a carico del soggetto condannato deve essere valutata in concreto, anche sulla base del materiale probatorio raccolto in sede penale.

Nella specie, la sentenza impugnata pone in evidenza come la richiesta di patteggiamento sia stata formulata in limine litis, senza previ atti istruttori diversi dalla relazione dello stesso commissario liquidatore allora in carica: onde, appare conforme a diritto la conclusione dell’insufficienza probatoria dell’addebito di violazione dei doveri di vigilanza e controllo (artt. 2403, 2407 c.c.). Dev’essere infatti chiarito, in sede concettuale, che la regola di inefficacia nei giudizi civili o amministrativi della sentenza di applicazione concordata della pena non puo’ essere elusa mediante l’enucleazione, in via generale ed astratta, di una presunzione di responsabilita’: che, proprio perche’ disancorata da dati fattuali, finirebbe con l’assurgere a presunzione legale, sia pure juris tantum (non piu’ qualificabile, quindi, come mera presunzione semplice, ex art. 2729 c.c.), incompatibile col dato normativo. Cosa diversa e’ invece la possibilita’ di valutare nel giudizio civile risarcitorio, unitamente ad altre risultanze, anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta della parte, in applicazione del principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione con rinvio, conforme ad analoghi precedenti in materia (Cass., sez. 3, 11 maggio 2007, n. 10.847).

Ma, cio’ che e’ preclusivo della stessa concludenza del motivo in esame e’ il rilievo che la sentenza impugnata poggia anche su una seconda ratio decidendi, del tutto autonoma rispetto alla valutazione dei profili di colpa dei sindaci. La corte territoriale ha infatti escluso, in radice, lo stesso elemento oggettivo del danno ai creditori, dato che la cessione delle azioni Ifa in compensazione di un debito reale della societa’ Velafin nei confronti della Afi s.p.a.

ha eliso il pregiudizio potenziale derivante dall’appostazione in bilancio della relativa voce patrimoniale per un ingente importo, non corrispondente al valore reale, pressoche’ nullo. Nell’apprezzamento finale della condotta dei sindaci, esteso all’intero periodo di permanenza nella carica (dal 19 Ottobre 1987 al 29 Giugno 1988) risulta dunque insussistente il pregiudizio derivante dalla primitiva sopravvalutazione delle azioni in bilancio. Ne’ e’ stata dedotta, in questa sede, l’omessa considerazione di un ulteriore danno, per la societa’ o i creditori, che sia derivato, autonomamente, dal falso in bilancio, senza risultare poi sanato dalla successiva alienazione delle azioni Ifa.

Tale statuizione, non impugnata con specifico motivo, e’ assorbente e preclusiva della disamina della seconda doglianza, con cui la ricorrente censura la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. per erronea valutazione delle prove. E tale preclusione e’ di natura pregiudiziale anche rispetto all’inammissibilita’, ictu oculi, per genericita’ del quesito di diritto Dica la corte se il giudice, nel valutare le prove secondo il suo libero apprezzamento, sia pero’ vincolato a porre, fondamento di una decisione, gli elementi di prova forniti dalle parti, mentre invece non puo’ essere vincolato dalla valutazione che di tali elementi ne danno le parti stesse e i testimoni”)) privo della necessaria aderenza individualizzante alla fattispecie concreta.

Con il terzo motivo – che invece conserva rilevanza attuale in ragione del suo contenuto pregiudiziale riguardo alla stessa sentenza d’appello – si lamenta la carenza di motivazione e la violazione dell’art. 2909 c.c. per omessa rilevazione del giudicato, eccepito in ordine alla statuizione di condanna al risarcimento del danno, liquidato in L. 1.300.000.000, emessa dal Tribunale di Torino.

Il motivo e’ infondato.

La Corte d’appello di Torino, infatti, con la prima sentenza emessa il 5 dicembre 2000 aveva accolto il gravame dei sigg. S. e P., annullando l’accertamento di responsabilita’ a loro carico. E’ vero che tale pronunzia e’ stata poi cassata da questa Corte con sentenza 22 settembre 2004; ma quest’ultima non fa riferimento alcuno ad una preclusione ob rem judicatam, limitandosi ad un accertamento del vizio di motivazione per omesso esame delle risultanze dei processi penali; ed in primo luogo, di quello concernente la violazione dei doveri dei sindaci di controllare la gestione della s.r.l. Velafin. In sede di rinvio, la medesima corte territoriale ha di nuovo rigettato l’azione di responsabilita’: cosicche’, in nessun modo puo’ parlarsi di una statuizione di condanna sopravvissuta all’accoglimento del gravame proposto dai sigg. S. e P..

Il ricorso e’ dunque infondato e va respinto.

La particolare complessita’ ed incertezza della fattispecie giustificano la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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