Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20099 del 24/09/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 20099 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 29181-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato FESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
contro

1633

DI BERARDO ANNA C.F. DBRNNA75D64E058S, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio

dell’avvocato

VACIRCA

SERGIO,

che

la

Data pubblicazione: 24/09/2014

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 1224/2007 della CORTE
D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 29/11/2007

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/05/2014 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI
ROBERTO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

R.G.N. 244/2006;

29181.08

Udienza 8 maggio 2014

Pres. G. Vidiri
Est. V. Di Cerbo

SENTENZA

1.

La Corte d’appello degli Abruzzi — L’Aquila, in riforma della sentenza di prime cure, previa
declaratoria dell’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, con decorrenza 1
ottobre 2002, stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Anna Di Berardo, ha condannato la società
suddetta a riammettere in servizio la lavoratrice e a corrispondere alla stessa le retribuzioni
maturate dalla data di messa in mora “detratto quanto percepito in altre occupazioni”.

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a due
motivi illustrati da memoria; la lavoratrice ha resistito con controricorso, peraltro notificato
tardivamente, pure illustrato da memoria.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Come si evince dalla sentenza impugnata il contratto a termine de quo è stato stipulato con la
seguente clausola giustificatrice: “esigenze tecnico-organizzative e produttive connesse
all’attuale fase di riorganizzazione dei Centri Rete Postali, ivi ricomprendendo una più
funzionale ricollocazione del personale sul territorio, nonché per far fronte ai maggiori flussi di
traffico del periodo natalizio”.

5.

La Corte territoriale, premesso che tale contratto era disciplinato, ratione temporis, dal d.lgs.
n. 368 del 2001, ha ritenuto l’illegittimità del termine per mancanza di specificità della clausola
giustificatrice dell’apposizione del termine stesso, clausola di cui è stato in precedenza
riportato il contenuto. Ha osservato, in particolare, che le espressioni “riorganizzazione dei
Centri Rete Postali” e “maggiori flussi di traffico del periodo natalizio” erano affatto generiche
e inoltre esprimevano situazioni che non avevano nulla in comune l’una con l’altra.

6.

La società ricorrente censura tale statuizione col primo motivo di ricorso con il quale denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 1 d.lgs. n. 368 del 2001 nonché vizio di motivazione.

7.

La censura è inammissibile in quanto inconferente rispetto alla ratio decidendi illustrata sub 5.
Essa infatti fa riferimento ad una clausola giustificatrice del termine affatto diversa da quella
menzionata in sentenza e che non ha alcun riferimento alla fattispecie oggetto del presente
giudizio. La società ricorrente si riferisce, in particolare ad una clausola giustificatrice
dell’apposizione del termine altre volte usata nei contratti delle Poste, nella quale si richiama
il contenuto di accordi collettivi sulla mobilità interaziendale. Di siffatta clausola non è dato
trovare cenno nella sentenza impugnata.

8.

Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità
della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso di specie
0
dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5 , 60 e 7° della legge 4 novembre
2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.

3

FATTO E DIRITTO

In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per
poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr.
Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì
necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla
disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la
disciplina sua propria; ne consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la
necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione
presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali
dell’accertata nullità del termine e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel
caso in esame, il ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente
alla data di entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, tali motivi devono essere altresì
corredati, a pena di inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di
diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di
assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche
dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale
produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze.

10. Nel caso in esame il secondo motivo investe il tema al quale si riferisce la disciplina di cui
all’art. 32 prima citato. Con tale motivo, con il quale è stata denunciata “violazione e falsa
applicazione di norme di diritto” nonché vizio di motivazione, parte ricorrente lamenta, in
particolare, la violazione dei principi in tema di corrispettività delle prestazioni e di onere della
prova sostenendo che incombeva sulla lavoratrice l’onere di provare il danno subito e il
mancato reperimento di altra occupazione ai fini della valutazione dell’aliunde perceptum. Il
motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.: se in caso di

domanda di risarcimento danni a seguito dell’intervenuto scioglimento del rapporto di lavoro
determinatosi per effetto dell’iniziativa del datore di lavoro fondata su clausola risolutiva
contrattuale nulla, rimane a carico dello stesso lavoratore, in qualità di attore, l’onere di
allegare e di provare il danno “da scioglimento del rapporto di lavoro fondato su clausola
risolutiva contrattuale nulla” e se tale danno può equivalere alle retribuzioni perdute a causa
della mancata esecuzione delle prestazioni lavorative, presupponendo l’esplicita offerta delle
prestazioni stesse da parte del lavoratore e l’illegittimo rifiuto da parte del datore.
11. Tale motivo risulta del tutto generico e inconferente come del resto i quesiti sopra riportati.
Questi appaiono sostanzialmente non pertinenti rispetto alla fattispecie in quanto si risolvono
nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di
conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4
gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi enunciati da
questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il
quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato
in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio,
dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e non pertinente, con conseguente
inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr.
Cass. 1 settembre 2011 n. 17674). Alle stesse conclusioni deve pervenirsi per il denunziato
vizio di motivazione, atteso che manca il “momento di sintesi” che la giurisprudenza di questa
Corte (cfr., in particolare, Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556) ha individuato come una esposizione
chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa
o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la
motivazione a giustificare la decisione.

4

9.

12. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
13. Al declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, per il principio della soccombenza, che
le spese del presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura liquidata
in dispositivo. La liquidazione tiene conto del fatto che il controricorso è da considerarsi
inammissibile in quanto notificato dopo la scadenza del termine stabilito dall’art. 370, primo
comma, cod. proc. civ. e che il procuratore della intimata ha partecipato alla discussione orale,
come consentito dalla norma da ultimo citata.

P.Q.M.

di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8 maggio 2014.

Jel C.Q. 0″42La Corte tREttIV il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 50,00 per esborsi e Euro 1500 per compensi professionali oltre accessori

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