Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20094 del 30/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 30/09/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 30/09/2011), n.20094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9723/2009 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA

22, presso lo studio dell’avvocato VESCI Gerardo, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato FRANCO CARINCI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE PERGINE VALSUGANA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ROMEI ROBERTO, rappresentata e difesa dagli

avvocati ZOLI Carlo e DE PRETIS ROBERTA, giusta delega in atti;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 44/2008 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 07/01/2009 R.G.N. 34/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato SIPALA ALDO per delega VESCI;

è presente l’Avvocato ROMEI ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13/7/07 il giudice del lavoro del Tribunale di Trento accolse per quanto di ragione la domanda proposta da L. S. nei confronti del Comune di Pergine Val Sugana con la quale quest’ultimo aveva chiesto il risarcimento dei danni causatigli dalla perdita di posto del lavoro subita per effetto dell’annullamento, in sede giudiziale amministrativa, della procedura concorsuale bandita dall’ente convenuto per un posto di dirigente di prima fascia, procedura che lo aveva visto vincitore al punto da essere indotto a rassegnare le dimissioni dall’incarico di segretario comunale di ruolo fino ad allora svolto presso il Comune di Frassilongo, posto, questo, che nel frattempo era stato coperto; conseguentemente, il giudice adito condannò il Comune di Pergine Val Sugana a corrispondere al L. gli importi di Euro 20.000,00 e di Euro 3470,00, rispettivamente a titolo di danno morale e di rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente nel procedimento giurisdizionale amministrativo, mentre rigettò le restanti richieste risarcitorie per danno da perdita di chances e per danno esistenziale, compensando interamente tra le parti le spese di lite.

A seguito di appello principale proposto dal lavoratore e di appello incidentale dell’ente territoriale la Corte d’appello di Trento riformò la sentenza impugnata e rigettò le domande proposte dal L., compensando interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Nell’addivenire a tale decisione la Corte trentina spiegò che la condotta della pubblica amministrazione dalla quale poteva eventualmente discendere la responsabilità dell’ingiusto danno lamentato dal L. poteva essere individuata solo nello svolgimento della procedura concorsuale, la cui illegittimità era stata accertata dal giudice amministrativo, ma che il ricorrente non aveva dimostrato, nè allegato, che egli avrebbe avuto, comunque, un’alta probabilità di vincere il concorso, qualora lo stesso si fosse svolto nel rispetto delle regole; inoltre, l’insussistenza di un comportamento gravemente colposo della P.A. si ricavava anche dalla circostanza che in entrambi i gradi del giudizio amministrativo era stata disposta la compensazione delle spese tra le parti in lite;

infine, non poteva essere dedotto come motivo di responsabilità risarcitoria il fatto che in sede giurisdizionale amministrativa era stato accertato che il vizio della procedura concorsuale era dipeso dalla mancata predeterminazione, da parte della Commissione giudicatrice, dei criteri generali per la valutazione delle prove d’esame, posto che, da un lato, le norme del Regolamento organico del personale del Comune di Pergine Val Sugana disciplinanti le procedure concorsuali per le assunzioni non prevedevano un simile obbligo, e, dall’altro, la mancata applicazione della generale normativa statale in materia di concorsi pubblici poteva ritenersi scusabile in considerazione del fatto il tutto si era svolto in una Regione a Statuto autonomo.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il L., il quale affida l’impugnazione a cinque motivi di censura.

Resiste con controricorso il Comune di Pergine Val Sugana che, a sua volta, propone ricorso incidentale in via subordinata in ordine alla disposta compensazione delle spese.

Il ricorrente principale deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. Col primo motivo si denunzia il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in ordine alla ritenuta inapplicabilità della norma sanzionatoria di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, per effetto della quale in caso di violazione delle disposizioni imperative in materia di assunzione di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni, non potendosi avere la costituzione di rapporti lavorativi a tempo indeterminato con le medesime amministrazioni, il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione lavorativa eseguita in violazione delle disposizioni di legge, con obbligo delle amministrazioni di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave.

Orbene, la doglianza, attraverso la quale si chiede di accertare se vi sia stata violazione o meno del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, nella decisione della Corte territoriale di escluderne l’applicabilità nella fattispecie, è infondata per la semplice ragione che correttamente è stato deciso che la sanzione in esame concerne esclusivamente le diverse ipotesi dei contratti flessibili nel pubblico impiego.

Infatti, il titolo della norme in questione è “Forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale”.

Il primo comma della stessa norma contiene l’espresso riferimento alla possibilità per la pubblica amministrazione di avvalersi, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale di cui ai commi precedenti, delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. Viene, poi, operato il richiamo ai contratti collettivi nazionali disciplinanti la materia dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo.

L’art. 1-bis stabilisce, inoltre, che le amministrazioni possono attivare i contratti di cui al comma 1 solo per esigenze temporanee ed eccezionali e previo esperimento di procedure inerenti assegnazione di personale anche temporanea, nonchè previa valutazione circa l’opportunità di attivazione di contratti con le agenzie di cui al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 4, comma 1, lett. a), per la somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei servizi.

Lo stesso art. 1-bis 1. dell’art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, inserito dal D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, art. 4, convertito con modifiche nella L. 9 marzo 2006, n. 80, stabilisce che le disposizioni dell’art. 1-bis costituiscono norme di principio per l’utilizzo di forme contrattuali flessibili negli enti locali.

Quindi, alla luce del citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, la trasposizione dei predetti strumenti di flessibilità contrattuale nel mondo delle pubbliche amministrazioni è effettuata con una deroga di carattere generale, nel senso che, in caso di violazione di disposizioni imperative in tema di assunzione o di impiego del personale, per le pubbliche amministrazioni non si ha il consolidamento del rapporto di lavoro da precario in tempo indeterminato, come avviene nel settore privato, ma scatta solo una sanzione di tipo risarcitorio.

Il ricorrente insiste, però, nel sostenere che, comunque, è ravvisabile nella specie una forma di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in ciò dissentendo dalla configurazione dello schema dell’illecito aquiliano ravvisato dal giudice d’appello, in quanto, a suo dire, ogni qual volta viene instaurata una procedura amministrativa concorsuale sorge tra il privato e la pubblica amministrazione una relazione inquadrabile nelle maglie del rapporto obbligatorio. Tale tesi non ha pregio, non essendo ipotizzabile all’interno di una procedura pubblica di selezione, governata da precise disposizioni di legge a garanzia dell’imparzialità e della legalità dell’operato della P.A., la nascita di un vincolo obbligatorio tra quest’ultima e l’aspirante concorrente, mentre è da condividere l’interpretazione dei giudici di merito che riconducono la fattispecie in esame nell’alveo della responsabilità extra-contrattuale.

Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 1 n. 2771 dell’8/2/07) che “il diritto del privato al risarcimento del danno prodotto dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica prescinde dalla qualificazione formale della posizione di cui è titolare il soggetto danneggiato in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, dato che la tutela risarcitoria è fatta dipendere ed è garantita in funzione dell’ingiustizia del danno conseguente alla lesione di interessi giuridicamente riconosciuti. La tecnica di accertamento della lesione varia a seconda della natura dell’interesse legittimo nel senso che, se l’interesse è oppositivo, occorre accertare che l’illegittima attività dell’Amministrazione abbia leso l’interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio; mentre, se l’interesse è pretensivo, concretandosi la sua lesione nel diniego o nella ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo, occorre valutare a mezzo di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, la fondatezza o meno della richiesta di parte, onde stabilire se la medesima fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva negato il diritto al risarcimento del danno in un caso di perdita del posto di lavoro a seguito di annullamento di concorso, non essendo quest’ultima circostanza sufficiente a fondare la responsabilità, occorrendo la prova che l’interessato si trovava in una situazione soggettiva destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole del concorso, se questo si fosse svolto regolarmente)” (in senso conforme v. anche Cass. sez. lav. n. 2529 del 30/1/2009).

Ancor più di recente le sezioni unite di questa Corte (S.U. n. 5023 del 3/3/2010) hanno avuto modo di statuire che “la violazione, da parte della P.A., delle regole di una corretta selezione dei partecipanti ad un concorso, accertata dal giudicato amministrativo, determinando la lesione di un interesse legittimo dei concorrenti e producendo un danno – sia pure liquidabile immediatamente solo in termini di perdita di chance – si traduce in un illecito istantaneo, rispetto al quale le ulteriori conseguenze pregiudizievoli, determinate dalla mancata ottemperanza, da parte della P.A., del giudicato amministrativo, costituiscono mero sviluppo e aggravamento, con la conseguenza che il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria, per il danno inerente a tali ulteriori conseguenze, decorre dal verificarsi delle medesime solo se esse costituiscano la manifestazione di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l’esaurimento dell’azione del responsabile”.

2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in ordine all’applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e deduce, in particolare, l’erronea valutazione dell’elemento soggettivo della colpa nell’ambito di applicazione della suddetta norma codicistica, dal momento che il giudice d’appello avrebbe limitato l’indagine alle sole ipotesi di dolo o colpa grave, mentre ai fini della individuazione della responsabilità da fatto illecito della P.A. sarebbe stata sufficiente la mera colpa. Sotto tale aspetto nemmeno potrebbe accettarsi, secondo il ricorrente, il richiamo operato dal giudice del gravame al concetto di errore scusabile in merito alla mancata adozione dei criteri concorsuali di valutazione per la sola ragione che il Regolamento organico del Comune non ne prevedeva la necessità.

Osserva la Corte che anche tale motivo si rivela infondato: invero, anche a voler ipotizzare una indagine sulla responsabilità della P.A. da condurre nell’ambito della colpa lieve, rimarrebbe, comunque, insuperato il puntuale rilievo svolto dalla Corte territoriale in ordine alla riscontrata mancanza di allegazione e dimostrazione della circostanza che il ricorrente avrebbe, in ogni caso, avuto la possibilità di superare il concorso pur nell’ipotesi di un suo regolare svolgimento.

In sostanza, il punto dell’illiceità del comportamento dell’amministrazione non poteva da solo ritenersi decisivo per l’accoglimento della domanda di risarcimento, avendo la parte l’onere – che nè dalla sentenza nè dal ricorso risulta mai assolto – di allegare e provare che egli si trovava in una situazione soggettiva destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole del concorso, solo che questo si fosse svolto regolarmente. Solo questo elemento – che postula un’approfondita illustrazione delle ragioni dell’annullamento del concorso, e non è dimostrato dalla mera circostanza dell’annullamento per violazione di legge imputabile all’amministrazione, sulla quale il ricorrente fonda tutte le spese difese – avrebbe consentito di istituire un nesso causale tra illegittimità dell’azione amministrativa e stato di disoccupazione.

Ciò per la ragione che la lesione lamentata concerne un interesse tipicamente “pretensivo” qual è quello al posto di lavoro, che il ricorrente poteva ottenere con il regolare svolgimento dei concorso, e sul punto la giurisprudenza di questa corte è consolidata, nel senso che la lesione degli interessi pretensivi va accertata per mezzo di un giudizio prognostico con esito favorevole sull’esistenza di una situazione soggettiva di legittimo affidamento nella positiva conclusione del procedimento, diversa dalla mera aspettativa di fatto (Cass. 10 febbraio 2005 n. 2705; nonchè in senso conforme le già citate Cass. n. 2771/07 e Cass. sez. lav. n. 2529/2009).

Infatti, come spiegato in precedenza, se è vero che il diritto del privato al risarcimento del danno prodotto dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica prescinde dalla qualificazione formale della posizione di cui è titolare il soggetto danneggiato in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, dato che la tutela risarcitoria è fatta dipendere ed è garantita in funzione dell’ingiustizia del danno conseguente alla lesione di interessi giuridicamente riconosciuti, nondimeno la tecnica di accertamento della lesione varia secondo la natura dell’interesse legittimo nel senso che, se l’interesse è oppositivo, occorre accertare se l’illegittima attività dell’Amministrazione abbia leso l’interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio;

mentre, se l’interesse è pretensivo, concretandosi la sua lesione nel diniego o nella ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo, occorre valutare per mezzo di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, la fondatezza o meno della richiesta di parte onde stabilire se la medesima fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole (6 aprile 2006 n. 8097; 29 marzo 2006 n. 7228; 20 dicembre 2003 n. 19570).

3. Col terzo motivo è dedotta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) sostenendosi, anzitutto, che il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto del comportamento colposo della pubblica amministrazione consistito nel fatto di aver consentito al concorrente non risultato vincitore la presentazione del ricorso in opposizione in sede amministrativa sulla base di una normativa regionale abrogata (L.R. Trentino Alto Adige n. 29 del 1963, art. 44, abrogata dalla L.R. n. 1 del 1993), ricorso che avrebbe dovuto, invece, essere dichiarato inammissibile, con conseguente conservazione del posto di lavoro da parte del vincitore.

Tale motivo è infondato per la duplice ragione che, da una parte, esso è travolto dalle preminenti considerazioni di cui al punto 2 sulla mancata allegazione e dimostrazione che il concorso di cui trattasi si sarebbe in ogni caso concluso in senso favorevole all’odierno ricorrente, e, dall’altra, per la ragione che la valutazione dell’ammissibilità del ricorso in opposizione all’esito della prova selettiva contestata rientrava nelle prerogative della P.A., il cui esercizio, corretto o meno che fosse, era soggetto solo a giudizio del giudice amministrativo, trattandosi di vizio procedimentale amministrativo devoluto alla giurisdizione di quel giudice.

Per le stesse ragioni di cui al punto 2 dei motivi del presente ricorso è da ritenere superata la censura attraverso la quale ci si duole della mancanza di motivazione sulla circostanza dell’invito rivolto dalla P.A. al ricorrente di prendere servizio, a pena di decadenza, nonostante fosse pendente un ricorso in opposizione di un terzo contro-interessato, circostanza, questa, che avrebbe ingenerato, secondo la tesi del L., il legittimo affidamento sulla correttezza della procedura concorsuale; nè va, comunque, sottaciuto che un tale invito poteva essere interpretato come un atto semplicemente consequenziale alla ritenuta legittimità, questa volta da parte della stessa P.A., della procedura concorsuale già svoltasi, e, d’altra parte, lo stesso ricorso proposto dal terzo contro-interessato avrebbe, anzi, dovuto impedire il formarsi, in capo all’odierno ricorrente, del convincimento della assoluta legittimità della procedura.

4. Col quarto motivo è lamentata l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) e si sostiene che non ci si era limitati ad invocare il giudicato amministrativo sulla illegittimità della procedura concorsuale espletata, ma che si erano indicati altri elementi di prova a sostegno della fondatezza della domanda, quali il punteggio nettamente superiore al diretto contendente ed il curriculum professionale attestante l’elevatissima competitività.

Il motivo è infondato in quanto, per le ragioni illustrate al precedente punto 2, mancano sia l’allegazione, sia la prova che i dati summenzionati avrebbero consentito al L. di risultare egualmente vincitore nel caso in cui la procedura selettiva fosse stata regolarmente condotta a termine. Invero, come già chiarito nel corso della disamina del secondo motivo del presente ricorso, non può ritenersi che la sola illiceità del comportamento dell’amministrazione rappresenti un elemento decisivo per l’accoglimento della domanda di risarcimento, avendo la parte interessata l’onere di allegare e provare che si trovava in una situazione soggettiva destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole del concorso, solo che questo si fosse svolto regolarmente.

5. Con l’ultimo motivo si deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) con riferimento alle altre richieste risarcitorie disattese e si formula il seguente quesito di diritto. “Accerti la Corte se vi sia stata violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con contestuale omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la Corte d’appello ritiene di respingere le varie pretese risarcitorie del ricorrente senza dar conto della presenza o meno dei requisiti costitutivi della responsabilità extracontrattuale e senza considerare partitamente le distinte voci di danni richiesti (morale, esistenziale, perdita di chances)”.

Anche quest’ultimo motivo è infondato: invero il presupposto delle pretese richieste risarcitorie avanzate a vario titolo dal lavoratore risiedeva nell’accertamento della sussistenza della responsabilità extracontrattuale della P.A. che aveva indetto ed espletato la procedura concorsuale, successivamente annullata in sede giurisdizionale amministrativa. Tuttavia, la Corte territoriale ha concluso la propria indagine in merito pervenendo alla conclusione che una tale forma di responsabilità non era addebitabile all’ente territoriale presso il quale si era svolta la prova concorsuale che aveva visto il L. vincitore, prima che l’organo di giustizia amministrativa ne decretasse l’annullamento. Quindi, non è fondata la premessa sulla quale si basa il quesito innanzi esposto, vale a dire il fatto che la Corte d’appello non abbia dato conto della presenza o meno dei requisiti della responsabilità extracontrattuale, atteso che il giudice del gravame ha, invece, affrontato il problema della ricorrenza o meno di quest’ultima forma di responsabilità, pervenendo al convincimento, immune da vizi di tipo logico-giuridico per le ragioni sopra esposte, della sua insussistenza, per cui non poteva nemmeno sorgere il problema consequenziale della diversa quantificazione delle varie voci di danno indicate che presupponeva l’affermazione della responsabilità della P.A da illecito aquiliano.

Il ricorso principale del lavoratore va, perciò, rigettato.

Resta, di conseguenza, assorbito il ricorso incidentale del Comune di Pergine Valsugana avverso la sola statuizione sulla compensazione delle spese disposta in appello, atteso che tale ricorso è stato proposto solo condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale del lavoratore.

Motivi di equità, dovuti alla particolarità della materia trattata, inducono la Corte a ritenere compensate tra le parti anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2011

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