Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20094 del 30/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20094 Anno 2018
Presidente: CRUCITTI ROBERTA
Relatore: CONDELLO PASQUALINA ANNA PIERA

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6931/2011 R.G. proposto da
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per
legge;

ricorrente

contro
GESCOM S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa
dall’avv. Remigio Sicilia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.
Francesca Romana Graziani, in Roma, piazzale Clodio, n. 14
– controricorrente –

Data pubblicazione: 30/07/2018

avverso la sentenza n. 42/10/10 della Commissione Tributaria regionale
dell’Abruzzo depositata il 28 gennaio 2010
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29/5/2018 dal Consigliere
Pasqualina Anna Piera Condello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
quarto, del quinto, del sesto e del settimo motivo di ricorso, il rigetto o la

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Paolo Gentili;
udito il difensore della parte controricorrente, Avv. Remigio Sicilia;

FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, con la sentenza
indicata in epigrafe, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate
– Centro Operativo di Pescara – avverso la decisione della Commissione
Tributaria provinciale di Pescara, che aveva accolto il ricorso proposto dalla
società Gescom s.p.a. avverso il provvedimento del 14.9.07, con cui il Centro
Operativo di Pescara aveva revocato l’ulteriore credito di imposta per
incrementi occupazionali, esposto nelle annualità comprese tra il 2003 ed il
2006 – in precedenza concesso a seguito di presentazione di cinque istanze
con le modalità di cui all’art. 63, comma 3, della legge n. 289 del 2002 – per
l’importo eccedente il limite del cd. “de minimis”, di cui all’art. 7, comma 10,
della legge 23/12/2000, n. 388.
Osservava la Commissione regionale che non si trattava di un “aiuto di
Stato” e che il beneficio si sottraeva alla regola “de minimis” prevista dalla
normativa comunitaria, che si applicava agli aiuti a favore delle imprese, con
esclusione di qualsiasi riferimento alla materia dell’occupazione; aggiungeva
che l’art. 63 della legge n. 289 del 2002 non costituiva una pura e semplice
proroga della disciplina introdotta dall’art. 7 della legge n. 388 del 2000.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle
Entrate, sulla base di sette motivi, cui resiste la società Gescom s.p.a.
mediante controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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inammissibilità degli altri motivi;

1. Con il primo motivo, articolato con quesito di diritto, la ricorrente,
denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, lett. h) del
d.lgs. n. 546/92, sostiene che il ricorso introduttivo del giudizio è stato
presentato avverso un atto non impugnabile, ossia avverso una nota
dell’Ufficio, avente scopo meramente informativo, di risposta alla istanza con
la quale la contribuente chiedeva il riconoscimento di un ulteriore credito in
esubero rispetto a quello determinato dalle procedure telematiche

provvedimento di diniego del credito di imposta, contenuto nell’atto del
6/6/2004, in precedenza emesso dall’Ufficio, ma non impugnato.
2. Con il secondo motivo, articolato con quesito di diritto, la ricorrente
deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 18,
comma 2, lett. d), e comma 4, del d.lgs. n. 546/92 e dell’art. 63 I. n 289/02,
in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la
C.T.R. ritenuto ammissibile il ricorso presentato dalla contribuente avverso
la seconda comunicazione dell’Ufficio, emessa in carenza di potere, in assenza
di impugnazione del provvedimento del 6/6/2004 integrante diniego implicito
del credito d’imposta.
3. Con il terzo motivo, articolato con quesito di diritto, deducendo
violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 63, comma 3,
legge n. 289/2002 e del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle
Entrate del 30/1/2003, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod.
proc. civ., lamenta che il giudice di appello non ha dichiarato la irricevibilità

e/o la improcedibilità del ricorso proposto per essere stata la istanza
presentata con procedura non consentita dalle norme che regolano
l’assegnazione del beneficio, le quali impongono che essa debba essere
unicamente effettuata per via telematica.
3.1. I motivi, che, per evidente connessione, possono essere esaminati
congiuntamente, sono inammissibili per difetto di autosufficienza.
L’Agenzia delle Entrate ha omesso di ritrascrivere nel ricorso sia il
provvedimento asseritamente emesso in data 6/6/2004, sia la comunicazione
del 14/9/2007, oggetto di impugnazione da parte della contribuente, e
neppure ha riprodotto le istanze inoltrate dalla contribuente – la quale

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dell’Agenzia delle Entrate con la regola “de minimis”, e non già avverso il

sostiene di averle presentate con le modalità e con le forme previste dalla
normativa e dagli atti amministrativi richiamati nella rubrica del ricorso – al
fine di consentire a questa Corte di verificarne il contenuto e di valutare le
doglianze sollevate.
Le censure sono altresì inammissibili anche per il profilo della novità delle
questioni sollevate, non avendo la ricorrente riportato nel ricorso stesso i
passi dell’atto di appello con il quale dette censure sarebbero state formulate.

di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte
ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della
censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di
merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso
stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia
fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità
di tale asserzione prima di esaminare il merito della questione (Cass. n.
23675 del 18/10/2013).
4. Con il quarto motivo, articolato con quesito di diritto, la Agenzia delle
Entrate, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 63 della legge
n. 289 del 2002 e 7, comma 10, della legge n. 388 del 2000, nonché del
Regolamento CE n. 69 del 2002, censura la sentenza per avere il giudice a
quo ritenuto che al citato art. 63 non si applichi la regola “de minimis”.
5. Con il quinto motivo, articolato con quesito diritto, è denunciata
nuovamente la violazione e falsa applicazione delle norme richiamate nella
rubrica del precedente mezzo di ricorso, avendo il giudice di merito escluso
che l’agevolazione prevista dal menzionato art. 63 costituisca aiuto di Stato
e che, ricorrendo la contemporanea presenza delle quattro condizioni previste
dal criterio VIST (vantaggio economico per l’impresa beneficiaria, incidenza
sul commercio infracomunitario, selettività o specificità e trasferimento di
risorse pubbliche), si possa applicare la regola del “de minimis” senza porsi
in contrasto con l’art. 87 del Trattato CE.
6. Con il sesto motivo, articolato con quesito di diritto, si lamenta la
violazione oltre che della normativa già menzionata con il quarto ed il quinto
motivo, anche del Regolamento CE n. 2204 del 12/12/2002, nella parte in cui

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Infatti, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni

la sentenza impugnata ha ritenuto applicabile tale Regolamento, in
sostituzione del Regolamento CE n. 69/2001, in assenza delle condizioni
previste dal Regolamento n. 2204/2002.
7. Infine, con il settimo motivo, articolato con quesito di diritto, si
denuncia nuovamente la violazione della normativa già menzionata, per avere
il giudice di merito disapplicato la norma interna in funzione delle norme di
diritto comunitario previste dagli artt. 87, 88 e 89 del Trattato CE,

8. Rilevato, preliminarmente, che non si ravvisano, contrariamente a
quanto eccepito dalla controricorrente, ragioni di inammissibilità dei mezzi di
ricorso, in quanto l’art. 366-bis cod. proc. civ. non è applicabile nella
fattispecie ratione temporis, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo,
da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati
nel senso appresso specificato.
8.1. Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte (Cass.
n. 21797 del 20/10/2011; n. 16178 del 2014; n. 23994 del 24/11/2016; n.
15688 del 23/6/2017), cui si intende dare continuità, non ravvisandosi ragioni
per discostarsene, l’art. 63, comma 3, legge n. 289 del 2002, nel rinnovare il
regime di incentivi alle assunzioni, ha mantenuto esplicitamente ferme, per
quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui all’art. 7 legge n. 388
del 2000 e, quindi, anche quella dettata dal comma 10, in base al quale
“all’ulteriore credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola
“de minimis” di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità
Europee 96/C68/06″ e “ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente
concessi ai sensi della predetta comunicazione purchè non venga superato il
limite di lire 180 milioni nel triennio”.
Il criterio comunitario cd. “de minimis” è stato, infatti, espressamente
adottato – in via di rinvio alla relativa fonte normativa – dal legislatore
nazionale, fissando, nell’importo di euro 100.000,00 nel triennio, il limite
quantitativo al di sotto del quale gli “aiuti di Stato” non incorrono nel divieto
di cui all’art. 92 (poi 87), par. 1, del Trattato CE.
Tale delimitazione dell’agevolazione rientra nel legittimo esercizio
delle facoltà discrezionali del legislatore, essendo certamente consentito

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“oltrepassando i limiti imposti dall’art. 111 della Costituzione Italiana”.

limitare la concessione di benefici fiscali entro soglie predefinite, mediante
rinvio a norme di altro ordinamento (segnatamente di quello comunitario).
8.2. Ne deriva l’irrilevanza in detta materia della normativa comunitaria
invocata (Regolamento 12.1.2001 n. 69), relativa all’applicazione degli artt.
87 e 88 Trattato CE, sugli aiuti di Stato in favore dell’occupazione, la quale
non impedisce che il legislatore nazionale circoscriva benefici fiscali entro
soglie ben definite, anche individuate per relationem rispetto a norme

Nessuna incidenza può, altresì, spiegare in detta materia il Regolamento
CE 2204/2002, atteso che l’esclusione del cumulo riguarda solo gli “aiuti di
Stato” che le norme nazionali abbiano concesso in misura superiore alla
regola comunitaria del “de minimis”, non anche l’ulteriore credito d’imposta
di cui si discute, che è stato determinato dal legislatore nazionale, quanto ai
suoi limiti, in misura corrispondente a quella regola (Cass. n. 7361 del 2012).
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in nessun modo la
disciplina del sopravvenuto regolamento CE n. 2204 del 2002 può ritenersi t
avere inciso, modificandola, sulla disciplina del credito d’imposta per
incremento occupazionale nelle aree svantaggiate di cui alla legge n. 388 del
2000, art. 7, richiamato dalla legge n. 289 del 2000, art. 63, sottraendola
all’applicazione della regola “de minimis”, come in dettaglio dimostra il
confronto tra la richiamata normativa interna e le disposizioni del citato
Regolamento C.e. n. 2204 del 2002 (Cass. n. 16735 del 2015; n. 23994 del
2016).
Non sussistono, pertanto, i presupposti per disporre il rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi degli artt. 234, comma 2, e 177
ai fini dell’esatta interpretazione del Regolamento C.e. n. 2204 del 2002 e
della sua corretta applicazione al caso in esame.
9. Infine, va esclusa ogni incidenza sulla questione del disposto dell’art.
1, comma 8, del d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito nella legge 6 aprile
2007, n. 46, citato dalla Commissione tributaria regionale, poiché l’esclusione
– ivi stabilita- del cumulo per il computo dell’importo massimo fissato per
l’applicazione della regola “de minimis” riguarda solo gli aiuti, rientranti in
tale previsione, che le norme nazionali abbiano concesso in misura superiore

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dell’ordinamento comunitario (Cass. n. 21797 del 2011 e 7362 del 2012).

a detta regola comunitaria, ma non “l’ulteriore credito d’imposta” in oggetto
perché l’ammontare massimo dello stesso è stato legislativamente
determinato in misura corrispondente a quella regola (Cass. n. 7362 del
2012).
La sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei suindicati principi
e, pertanto, va cassata.
In conclusione, vanno accolti il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo

la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384,
secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo della
contribuente.
Le spese delle fasi del giudizio di merito, in considerazione delle
vicende del giudizio, vanno interamente compensate tra le parti, mentre le
spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e
sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo e dichiara
inammissibili il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso; cassa la
sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della
contribuente.
Compensa tra le parti le spese relative ai gradi del giudizio di merito.
Condanna la controricorrente al rimborso, in favore dell’Agenzia delle
Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.900,00,
oltre spese prenotate a debito.
Così deciso nella camera di consiglio del 29 maggio 2018

motivo e vanno dichiarati inammissibili i restanti motivi del ricorso principale;

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