Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20094 del 02/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 20094 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MANCINO ROSSANA

SENTENZA

sul ricorso 24073-2010 proposto da:
DE

VIVO ANGELO

DVVNGL65M31G838J,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL CORSO 160, presso lo
studio dell’avvocato ALESSANDRINI RAFFAELLO, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
2319

SIMGENIA

INTERMEDIAZIONE

MOBILIARE

S.P.A.

05648491008, già Metzler Italia Sim S.p.A., in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

Data pubblicazione: 02/09/2013

GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO
HERNANDEZ, che la rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 8545/2008 della CORTE

10710/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. ROSSANA
MANCINO;
udito l’Avvocato GATTI GABRIELE per delega HERNANDEZ
FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE,che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/10/2009 R.G.N.

r.g.n. 24073/2010 De Vivo Angelo c/Simgenia s.p.a.
Ud 26 giugno 2013

Svolgimento del processo
Con sentenza del 13 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Roma accoglieva
l’appello principale svolto dalla Simgenia s.p.a. (già Metzler Italia Sirn s.p.a.)
contro la sentenza di primo grado che, riconosciuto il rapporto di lavoro
subordinato intercorso con De Vivo Angelo, aveva condannato la predetta
società al pagamento delle differenze retributive, del TFR e del risarcimento del
danno ex art. 2 L.108/90.
2

La Corte territoriale, a sostegno del dedsum, precisava, per quanto qui rileva,
quanto segue:
la collaborazione tra la Metzler Italia s.p.a., società di intermediazione
mobiliare, e De Vivo, promotore finanziario iscritto nel relativo albo, veniva
formalizzata con contratto di agenzia, nel marzo 2000, con previsione di un
compenso provvigionale, al quale veniva affiancato, nel gennaio 2001, un
contratto di consulenza “in relazione all’attività svolta dal committente, con
particolare riferimento alla stipula di nuovi accordi commerciali con
investitori istituzionali ed all’implementazione delle procedure tecniche ed
amministrative relative a detti accordi ed a quelli già in corso”;
in difetto di allegazione prima, e di prova poi, di un comune intento
simulatorio nella stipula del contratto di agenzia ed in quello, successivo, di
consulenza, doveva ritenersi la volontà delle parti nel senso di escludere
l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente;
l’esecuzione di entrambi i contratti, all’esito della prova orale, non evidenziava
significative difformità rispetto al programma negoziale concordato, sì da far
ritenere che in concreto il rapporto avesse assunto i connotati propri della
subordinazione;
la collaborazione si era svolta su un piano di sostanziale parità senza alcuna
imposizione da parte della società conferente in ordine ai tempi ed alle
modalità di espletamento dell’obbligo assunto dal De Vivo, né risultava che
egli avesse a sua disposizione alcuni dipendenti della società sui quali
esercitare il ruolo dirigenziale asseritamente rivestito;
in definitiva, il complessivo quadro probatorio, tenuto conto dell’inziale
volontà delle parti, non offriva elementi univocamente apprezzabili nel senso
della subordinazione.

3.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, De Vivo Angelo ha proposto
ricorso per cassazione fondato su due motivi. La parte intimata ha resistito con
controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Rossana Mancino est.
r.g.n. 24073/2010 De Vivo Angelo c/S1MGENIA s.p.a.

1.

Motivi della decisione

criteri di determinazione del rapporto di lavoro subordinato (per escluderne la
sussistenza) senza affatto considerare nessuno degli altri criteri complementari e
sussidiari, quali la collaborazione, la continuità della prestazione, l’osservanza di
un orario predeterminato, il versamento a cadenze fisse di un retribuzione
prestabilita, l’assenza, in capo al lavoratore, di una sia pur minima struttura
imprenditoriale.
5. Occorre premettere che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai
fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è
censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed
astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto,
come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed
immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che
hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno
o nell’altro schema contrattuale (cfr, exp/unrnis, Cass. 23455/2009).
6. Inoltre, l’esistenza del vincolo di subordinazione va valutata dal giudice di merito
avuto riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore ed al modo della
sua attuazione, fermo restando che, ove l’assoggettamento del lavoratore alle
direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle
mansioni, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari – come
quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un
orario predeterminato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione
prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo
dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima
struttura imprenditoriale – che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere
valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione (v.
Cass.1238/2011, Cass. 9256/2009).
7. Tanto premesso rileva il Collegio che, diversamente dalla prospettazione del
ricorrente, la Corte di merito non si è limitata ad attribuire rilevanza al nomen juris,
ma ha dato atto della volontà delle parti nel senso di escludere l’instaurazione di
un rapporto di lavoro dipendente, ampiamente spiegando per quale motivo, in
assenza di allegazione di un eventuale intento simulatorio, e di fronte a risultanze
2
Rossana Mancino est.
r.g.n. 24073/2010 Dc Vivo Angelo c/S1MGENIA s.p.a.

4. Con i due articolati motivi di ricorso, denunciando violazione degli artt. 2094
c.c. e dei principi in tema di individuazione degli elementi caratterizzanti il
rapporto di lavoro subordinato e vizio di motivazione, il ricorrente si duole che,
nella qualificazione del rapporto, la Corte di merito abbia dato rilievo al nomenjuris
ed abbia trascurato, nell’apprezzamento delle modalità di svolgimento della
prestazione,
l’inserimento
stabile
e
continuativo
del
dipendente
nell’organizzazione aziendale, escludendo profili di eterodirezione. Assume,
inoltre, che il giudice del gravame si è limitato ad esaminare soltanto uno dei

istruttorie che non palesavano alcuna difformità tra quanto pattuito e il concreto
svolgimento del rapporto, ci si trovava di fronte ad un rapporto di lavoro
autonomo. Ha dato atto, quindi, della volontà delle parti nel senso di escludere
l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente ed ha, quindi, preso in esame
l’effettivo svolgimento dei rapporti nei termini dalle parti voluti, non ravvisando
significative difformità rispetto al programma negoziale concordato.
8. Osserva, inoltre, il Collegio che il profilo di censura che investe l’apprezzamento
dell’inserimento stabile e continuativo del De Vivo nell’organizzazione aziendale
è in evidente contraddizione con la prima censura, imperniata sul peso esclusivo
dato al nomen juris.
9. Inoltre, la critica al peso attribuito, nella sentenza impugnata, all’elemento
dell’inserimento o no del ricorrente nell’organizzazione aziendale, ai fini di
escludere la subordinazione, è inconferente giacché i Giudice del gravame hanno
proprio negato l’esistenza di tale elemento sulla base delle risultanze istruttorie e
motivato logicamente la propria decisione sul punto.
10. In definitiva la decisione impugnata è immune da censure per avere la Corte
territoriale correttamente e logicamente motivato la valutazione delle risultanze
processuali non conducenti verso elementi univocamente apprezzabili nel senso
della subordinazione e a ritenere l’assenza di rischio, la continuità della
prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione, elementi
sussidiari e non decisivi nella specie.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese,
liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate
in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre euro 50,00 per esborsi e accessori
di legge.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2013.

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