Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20093 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. I, 24/09/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 24/09/2020), n.20093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36856/2018 proposto da:

K.S., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Giuliano Dalfini, giusta procura a margine del ricorso

per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 3128/2018 della CORTE DI APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/07/2020 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

K.S., nato in (OMISSIS), propone ricorso per cassazione con due mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia che ha respinto la domanda di protezione internazionale in tutte le sue forme proposta D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 confermando la decisione di primo grado.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese per le minacce di morte subite dai parenti della moglie, di religione (OMISSIS), che non avevano accettato la conversione della donna alla fede (OMISSIS).

La Corte lagunare ha ritenuto inammissibile l’appello afferente alle statuizioni di diniego della protezione primaria e sussidiaria per genericità delle doglianze, volte a criticare la completezza ed esaustività della motivazione, ravvisando il conseguente passaggio in giudicato delle stesse.

Ha quindi escluso la ricorrenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie sulla considerazione che non emergeva l’effettiva integrazione sociale del richiedente, nemmeno allegata, e che non si evinceva una compromissione del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost., da escludere secondo quanto desunto dalle COI 2017, nè motivi di vulnerabilità personale.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7, 8, 11 laddove la Corte territoriale ha escluso il riconoscimento della protezione primaria (status di rifugiato).

Il motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi.

La Corte veneta, sul punto, ha ritenuto inammissibile l’appello per genericità delle doglianze volte a criticare la completezza ed esaustività della motivazione, di guisa che ha ritenuto che le statuizioni relative al diniego di protezione primaria e sussidiaria erano passate in giudicato.

Il ricorrente insiste nella richiesta di protezione assumendo la sussistenza dei requisiti, in considerazione della minaccia, in caso di rimpatrio, di persecuzione per motivi religiosi, ma senza aggredire specificamente la ratio, concernete la definitività delle statuizioni considerate.

Peraltro, ove si intenda tenere conto che alla pag. 14 del ricorso si affronta, sia pure fugacemente, il tema della evidenziazione, asseritamente avvenuta nell’atto di appello, dei punti del decreto censurati, dovrebbe ugualmente concludersi per la inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza, in quanto il ricorrente, a fronte delle affermazioni del giudice di secondo grado, avrebbe dovuto riportare il passaggio dell’atto di appello relativo alla sottolineatura di tali punti. Come già chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte avgomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, pur senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U. n. 27199 del 16/11/2017); inoltre, il ricorrente in cassazione deve articolare puntuali e motivate doglianze, attesa la natura di giudizio a critica vincolata del giudizio di legittimità (da ultimo, Cass. n. 6519 del 06/03/2019), di guisa che il motivo di ricorso deve consentire l’apprezzamento del motivo di impugnazione.

Inoltre, pur essendo vero che la Corte di cassazione, ove sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, poichè il predetto vizio non è rilevabile ex officio, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n. 2771 del 02/02/2017), non essendo legittimata la Cassazione a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 20924 del 05/08/2019).

Nel caso di specie, tale onere non è stato assolto sia perchè il motivo sul punto è generico, sia perchè il ricorrente, non cogliendo compiutamente la ratio, insiste nel prospettare le prima ricordate violazioni di legge circa la ricorrenza dei presupposti della protezione invocata.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del principio di non refoulement in merito al diniego della protezione umanitaria. Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso completamente di valutare la sua personale situazione di pericolo per la vita, una volta rientrato in Patria, a causa della conversione alla fede (OMISSIS) della moglie, osteggiata dalla famiglia di origine. Si duole altresì che l’attività lavorativa svolta in Italia non sia stata ritenuta sufficiente a comprovare l’integrazione sociale, perchè ritenuta saltuaria, laddove, essendo stato egli assunto da un’azienda agricola con regolari contratti, la temporaneità era determinata solo dalla scadenza dei permessi di soggiorno.

Anche questo motivo risulta inammissibile per avere la Corte escluso, sulla base delle COI richiamate, la prova della compromissione del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost., in assenza della quale, come chiarito dalla giurisprudenza, non è sufficiente di per sè l’allegazione della raggiunta integrazione nello Stato italiano (Cass. n. 4455 del 23/2/2018), peraltro non ricollegabile a sporadiche prestazioni lavorative (la cui temporaneità non risulta sostanzialmente smentita dal ricorrente).

Infine, quanto alla asserita violazione del principio di non refoulement, si richiama il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (v., ex aliis, Cass., ord. n. 11110 del 2019).

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensive dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

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