Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20093 del 02/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 20093 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 25636-2010 proposto da:
A.C.M. S.R.L., in persona del legale rappresentante
pro tempore, già elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA ANTONIO BOSIO 22, presso lo studio dell’avvocato
PAGANO MARIA TERESA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato SEGATO GIULIANO, giusta
2013
2306

delega in atti e da ultimo presso LA CANCELLERIA
DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– ricorrente contro

ANDREACCHIO GIUSEPPE NDRGPP6ODO2E239L, domiciliato in

Data pubblicazione: 02/09/2013

ROMA, VIA FRATELLI ROSSELLI 2, presso lo studio
dell’avvocato VETTORELLO VIVIANA, rappresentato e
difeso dall’avvocato D’ACUNTO FABIO, giusta delega in
atti;
– controri corrente –

D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/04/2010 R.G.N.
7721/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE ) che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 2534/2010 della CORTE

Svolgimento del processo
Giuseppe Andreacchio proponeva appello avverso la sentenza del
efut st-a-ca.
Tribunale di Latina, con cui tettste respinta la sua domanda
diretta alla dichiarazione di nullità dei termini apposti ai contratti
di lavoro stipulati con la A.C.M. s.r.I., e conseguente loro
conversione in un unico rapporto a tempo indeterminato (o in via

2004), oltre alla condanna della convenuta al pagamento delle
retribuzioni maturate sino al ripristino del rapporto, ed al
risarcimento degli ulteriori danni, con le conseguenze derivanti
dall’applicazione della tutela cd. reale, o in subordine,
obbligatoria applicabili al caso di specie.
Si costituiva l’appellata resistendo al gravame.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 29 aprile
2010, dichiarava “la nullità dei termini apposti ai contratti (di
lavoro) tra le parti, con conseguente conversione del rapporto in
rapporto a tempo indeterminato sin dall’8 gennaio 2001”,
dichiarando inoltre “la prosecuzione giuridica del rapporto dopo il
20 gennaio 2004”, con “condanna della società a risarcire il
danno, in misura pari alla retribuzioni spettanti al lavoratore dalla
costituzione in mora del 6 febbraio 2004, oltre interessi e
rivalutazione monetaria”.
Riteneva la Corte distrettuale che il primo giudice si era
erroneamente limitato ad esaminare la questione relativa alla
sussistenza del giustificato motivo oggettivo relativo al
licenziamento del 2004, laddove il primo contratto a tempo
determinato (dell’8 gennaio 2001) risultava illegittimo alla luce
della L. n. 230\62.
Per la cassazione propone ricorso la società ACM, affidato a tre
motivi.
Resiste l’Andreacchio con controricorso.
Motivi della decisione

3

gradata l’illegittimità del licenziamento intimatogli il 20 gennaio

1.-Con il primo motivo la società denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 5 L. n. 230\62 e d.lgs. n. 368\01, nonché
omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione.
Lamenta che l’art. 5 L. n. 230\62 regolamentava tassativamente i
casi sanzionabili con la conversione, mentre i contratti in
questione erano tutti legittimi, difettando comunque la sentenza
impugnata di una congrua motivazione al riguardo.

Occorre innanzitutto rilevare che la disciplina legale applicabile al
caso di specie (contratto a termine stipulato l’8 gennaio 2001) è
quella, come statuito dal giudice di appello, di cui alla L. n.
230\62 e non quella di cui al successivo d.lgs 6 settembre 2001
n. 368. Occorre altresì evidenziare che l’art. 5 della L. n. 230\62
non riguarda le sanzioni derivanti dalla nullità del contratto a
tempo determinato, esse essendo piuttosto disciplinate dall’art. 2
in combinato disposto con l’art. 1, comma 1, della L.n. 230\62.
Al riguardo non può che rimarcarsi che la Corte di merito ha
02 ,
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accertato che nella specie non ricorreva, ne era state dimostrate
dalla datrice di lavoro, né l’ipotesi di cui alla lettera a) del
menzionato art. 1 (carattere stagionale dell’attività lavorativa), né
!Ipotesi c) relativa all’esecuzione di un’opera o servizio definiti e
predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od
occasionale.
La ricorrente non contesta tale accertamento se non rinviando
alle considerazioni svolte dal giudice di primo grado ed alla
relativa istruttoria.
Tali emergenze istruttorie non sono tuttavia minimamente
prodotte o riportate in ricorso in contrasto col principio
dell’autosufficienza, comportandone, sotto tale profilo,
l’inammissibilità (Cass. sez.un. 3 novembre 2011 n. 22726; Cass.
ord. 30 luglio 2010 n. 17915).
Da quanto sopra sinteticamente esposto deriva altresì
l’infondatezza del denunciato vizio di motivazione.
4

Il motivo è infondato.

2. Con il secondo motivo la società denuncia la “violazione e
falsa applicazione di disposizioni di legge”, nonché omessa,
contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine alla
sussistenza di un contratto a tempo indeterminato.
Lamenta che la Corte di merito non motivò le ragioni per cui
ritenne di discostarsi dalla ineccepibile motivazione del giudice
del Tribunale di Latina, basata sulle specifiche deduzioni della

Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato.
Inammissibile poiché la ricorrente neppure chiarisce quali siano le
disposizioni di legge violate dal giudice di appello, né produce, o
riproduce in ricorso, in contrasto con l’art. 366 c.p.c., le
motivazioni poste a base della decisione di primo grado, né, tanto
meno, i relativi riscontri probatori.
Infondato, quanto al denunciato vizio di motivazione, in quanto la
Corte di merito ha adeguatamente motivato sul punto, come
chiarito in ordine alla precedente censura.
3. Con il terzo motivo la società denuncia la “violazione e falsa
applicazione di disposizioni di legge”, nonché omessa,
contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine al mancato
recepimento delle risultanze della c.t.u., da cui a suo avviso
emergeva la giustificazione di legge per la stipula del contratto a
termine in esame.
Il motivo è inammissibile per la sua estrema genericità, non
risultando peraltro prodotta, né riprodotta in ricorso, la c.t.u. in
questione, né risultando specificamente indicate le ragioni per cui
la Corte di merito sarebbe dovuta giungere a diverse conclusioni.
4. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come
da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in

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società convenuta.

E.50,00 per esborsi, E.3.000,00 per compensi, oltre accessori di
legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 giugno

2013

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