Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20088 del 24/09/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20088 Anno 2014
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 7460-2010 proposto da:
DONA’ MARIO, MINERVA DI DONA’ MARIO & C. SNC in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliati in ROMA VIALE PARIOLI 43,
presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA
FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PIVA GIUSEPPE giusta delega a margine;
– ricorrenti contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 24/09/2014

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

avverso

il

provvedimento

n.

8/2009

della

4.1 Vi,utiro
COMM.TRIB.REG. d4 VENEZIA, depositata il 23/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

CIRILLO;
udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 24/02/2014 dal Consigliere Dott. ETTORE

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 gennaio 2009 la Commissione tributaria
regionale del Veneto ha accolto l’appello principale proposto dall’Agenzia
delle entrate nei confronti della s.n.c. MINERVA di DONA’ MARIO & C. e
dei due soci DONA’ MARIO e SALMASO MARIA LUISA, confermando gli
avvisi di accertamento emessi, relativamente all’anno d’imposta 2000,
a carico della società per IVA e IRAP e a carico dei due soci per

l’appello incidentale delle parti private.
1.1. Il giudice d’appello, per quanto qui interessa, ha motivato la
decisione ritenendo (a) che la soc. MINERVA, esercente il commercio di
molluschi, avesse commercializzato quantitativi in misura superiore alla
capacità di produzione dei propri lotti di allevamento lagunare e (b) che,
accanto ad acquisti di molluschi regolarmente comprati sul mercato, ve
ne erano altri apparentemente provenienti da fornitori titolari sì di
partita IVA ma privi di contabilità e capacità produttiva, tanto da potere
essere considerati delle «teste di legno» destinate a coprire acquisti falsi
o comunque merce proveniente da raccolta di frodo fatta «vongolari»
ignoti.
1.2. In proposito, ha rilevato (a) che la società MINERVA era autorizzata
a effettuare allevamento nelle sole zone in concessione; (b) che il
quantitativo apparentemente raccolto superava del 40% il massimo
ottenibile dalla sfruttamento degli specchi d’acqua secondo lo studio del
Consorzio per l’ecologia e l’acquacoltura costiera di Padova; (c) che le
fonti dichiarative non giustificavano l’enorme divario e confermavano,
invece, che l’attività dei soci era prevalentemente quella della
commercializzazione e non della raccolta di molluschi; (d) che numerose
erano le discrasie tra documentazione sanitaria e di trasporto dei
molluschi e le necessarie iscrizioni del registro dei centri di depurazione
destinatari finali; (e) che la numerazione progressiva dei certificati
sanitari di accompagnamento della merce non era rispettosa dell’ordine
cronologico di emissione, (f) che, a fronte del fatto notorio delle raccolta
in acque vietate con i cd. «barchini», non poteva parlarsi di buona fede
della parte contribuente che non era riuscita a dimostrare la fonte
legittima degli acquisti e della fatturazione.
2. Propongono ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, le parti
private; il fisco resiste con controricorso.

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collegata IRPEF da partecipazione sociale; contestualmente ha rigettato

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Con il primo motivo, denunciando vizi motivazionali, i ricorrenti si
dolgono del malgoverno che il giudice d’appello avrebbe fatto delle
risultanze processuali rilevanti ai fini della detrazione dell’IVA
(buonafede dei soci e della società; effettività delle forniture e dei
pagamenti) e della deducibilità dei costi fatturati (effettività e necessità
degli acquisti di molluschi da fornitori esterni; conferme testimoniali di

3.1. Il motivo deve essere disatteso.
Esso, per un verso, procede a un’inammissibile e soggettiva rilettura e
rivalutazione globale del materiale probatorio (da pag.11 a pag.30),
senza che emerga un errore intrinseco al ragionamento del giudice
d’appello che sia verificabile in base al solo esame del contenuto della
sentenza impugnata (Cass. 50/14); per un altro, attinge profili non
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fattuali ma strettamente applicativi della norma tributaria chertrffetto
specifico del quarto e del quinto motivo, entrambi per violazioni di
norme di diritto, al cui esame in sede propria si rinvia.
4. Con secondo motivo, denunciando violazione di norme di diritto, i
ricorrente interrogano la Corte chiedendo «se violi l’art.115 la sentenza
che assimili alla categoria del notorio (di cui all’art. 115 c.p.c.), l’assunto
secondo cui tutti i pescatori della zona di Chioggia (VE) che utilizzino
barchini siano dediti ad attività illecite di pesca in acque vietate».
Il motivo va disatteso.
Si premette che il ricorso al fatto notorio, ai sensi dell’art. 115, secondo
comma, cod. proc. civ. attiene all’esercizio di un potere discrezionale
riservato al giudice di merito. Pertanto, l’esercizio positivo (o negativo)
di tale potere è insindacabile in sede di legittimità e il giudice di merito
non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si
fonda, essendo, invece, censurabile l’assunzione, a base della decisione,
di un’inesatta nozione del notorio, che va inteso quale fatto
generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona -0.
notorietà locale- o in un particolare settore di attività o di affari da una
collettività di persone di media cultura. (Cass. 15715/11; conf. 9001/05
e 4826/87).
In particolare, si è ritenuto che occorre il fatto notorio, costituente
l’oggetto della comune esperienza, sia di comune conoscenza, anche se
soltanto nel luogo dove è invocato agli effetti giuridici, o perche sia

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trasporti e consegne di vongole; effettività dei costi).

entrato a far parte della cultura media della collettività locale, o perché
questa ne faccia esperienza comune (Cass. 1814/79; conf. 12112/03).
Nella specie da un lato il giudice d’appello non ha affermato che tutti i
pescatori della zona di Chioggia che utilizzino barchini siano dediti ad
attività illecite di raccolta di molluschi in acque vietate, dall’altro i
ricorrenti non hanno smentito che quella dei pescatori abusivi che
lavorano su mezzi velocissimi -appunto i cd. barchini- e raccolgono i
molluschi in zone acquee precluse sia una vera e propria piaga della

zona di Chioggia, sì da rientrare nella notorietà locale di quella
collettività e da far parte dell’esperienza comune di operatore del settore
mediamente avvertito.
Infine, i ricorrenti non spiegano neppure quale sia la decisività del punto
specifico, che, invece, nella costruzione argomentativa del giudice di
merito pare essere più che altro un elemento di sfondo.
5. Col terzo motivo, denunciando error in procedendo ex artt. 112 e
360 n.4 cod. proc. civ., lamentano che il giudice d’appello avrebbe
omesso di pronunciare sul motivo di resistenza degli appellati che
avevano eccepito la violazione del divieto di ius novorum da parte
dell’appellante, laddove quest’ultimo, censurando la decisione di prime
cure, ha negato in capo alla società cessionaria la detrazione dell’IVA e
la deduzione dei costi in acquisto per inesistenza soggettiva delle
operazioni, rispetto alla motivazione dell’avviso di accertamento in cui
era stata rilevata l’inesistenza oggettiva delle operazioni.
5.1. Il motivo va rigettato.
In primo luogo, si osserva che il giudice d’appello ha implicitamente
disatteso la censura laddove afferma l’indifferenza, ai fini della
indetraibilità dell’IVA, che gli acquisti fossero «oggettivamente
inesistenti» o risultassero, invece, da «fatture soggettivamente false»
(pag.20).

4.1<. 1 iA In secondo luogo, si rileva chP, in, carenza di autosufficienza/A motivoi,ht non grascrii& le parti salienti degli avvisi dai quali risulterebbe che la contestazione delle operazioni contenuta nell'accertamento fosse (solo) di oggettiva inesistenza e non (anche) di soggettiva inesistenza (cfr. in gen. Cass. 12786/06 e 13007/07). 6. Con il quarto motivo, denunciando violazione dell'art. 75 TUIR, i ricorrenti censurano la sentenza d'appello laddove non ha riconosciuto la deducibilità dei costi d'acquisto di merci effettivamente comprate, in presenza di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Affermano 201007460_5def.doc 3 4441 che di tratta di costi deducibili perché certi, contabilizzati e realmente sostenuti relativi all'acquisto di molluschi la cui esistenza ed effettività era acquisita ed era discussa, invece, la provenienza dal soggetto fatturante la cessione. 6.1 Il motivo è fondato nei limiti di seguito precisati. Riguardo alle imposte sui redditi, a norma dell'art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537 del 1993 -nella formulazione introdotta con l'art. 8, per l'acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una frode carosello), per il solo fatto che essi sono sostenuti, anche per l'ipotesi che l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. (Cass. 10167/12; conf. 3258/13, 12503/13, 21992/13, 24429/13, 1565/14). Inoltre, in base a tale disposizione, non sono deducibili i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo (Cass. 5342/13). Trattasi di disciplina che ha effetto retroattivo, atteso il tenore del comma 3, del richiamato art. 8 (C. Cost. 190/12 e 248/12; conf. Cass. 5342/13, 8011/2013 e 27797/13), la cui pertinenza al caso di specie impone il rilievo anche ex officio (Cass. 661/14). 6.2. Non rileva, in questa sede, delibare la portata dell'espressione «direttamente utilizzati», onde verificare se la stessa comprenda soltanto i costi dei beni e servizi direttamente sostenuti per la commissione di un delitto non colposo, ovvero anche quelli strumentali o correlati ad attività Illecite (es. costi di beni e servizi acquistati per una finalità lecita ma concretamente adoperati per commettere il delitto). Infatti, l'art. 8 cit. precisa una regola per l'accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi senza riflesso sulla responsabilità penale in dipendenza delle condotte punite dall'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (Cass. 661/14; conf. Cass. pen. 41694/13, 29061/13, 40559/12; vedi Cass. pen. 36916/13). Peraltro, nella specie, va osservato da un lato che i molluschi acquistati dalla soc. MINERVA non sono stati utilizzati per commettere reati ma per essere commercializzati (vedi, in tema, Cass. 27720/13; conf. 10167/12 e 5342/13), dall'altro che raccolta abusiva di molluschi (un tempo 201007460_5def.doc 4 comma 1, del DL n. 16 del 2012, conv. L. n.44 del 2012- sono deducibili contravvenzione ex artt. 14 e 15 delle legge n.192 del 1977) è stata depenalizzata dal D.Lgs. n. 530 del 1992 che, all'art.16, prevede una mera sanzione amministrativa. 6.3. Tanto premesso, la novella del 2012, pienamente applicabile al caso in esame, non supera affatto - anzi rafforza - il tema pregiudiziale dell'inerenza del costo che il contribuente intende dedurre ove questo tragga origine da un'operazione soggettivamente inesistente e, nella «'operazione descritta nell'accertamento ... era un'operazione soggettivamente inesistente» (pag.8). Ne deriva che, alla luce dello ius superveniens, non è possibile ritenere che i costi per le operazioni contestate, sebbene solo soggettivamente inesistenti, fossero di per sé stessi indeducibili dal reddito assoggettabile ad IRPEF, nonché dalla produzione lorda soggetta ad IRAP. Infatti, ove si constati che si tratti di costi effettivamente sostenuti e correttamente imputati al conto economico dell'esercizio di competenza, ovverosia di elementi negativi concorrenti a determinare il reddito netto dell'impresa, i medesimi devono essere riconosciuti in deduzione, a prescindere dall'eventuale falsità ideologica delle relative fatture. Per questo motivo è necessario accertare, con verifica impossibile in sede di legittimità e devoluta al giudice di merito in sede di rinvio, che si tratti di costi che, a norma del TUIR, siano concretamente rispettosi dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. 7. Con il quinto motivo, denunciando violazione dell'art. 19 del decreto IVA in punto di ritenuta irrilevanza della buonafede dell'acquirente, i ricorrenti censurano la sentenza d'appello laddove, in assenza di versamento all'Erario da parte del proprio fornitore, non ha riconosciuto la detrazione dell'imposta assolta sugli acquisti di molluschi, pur mancando elementi sintomatici della consapevolezza da parte del cessionario circa eventuali inadempimenti fiscali da parte del fornitore. 7.1. Il motivo non è fondato. Va premesso (sulla scorta delle indicazioni della Corte di giustizia riprese da questa Corte di legittimità) che spetta all'amministrazione finanziaria, che contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l'IVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall'effettivo cedente del bene o servizio (cd. operazioni soggettivamente inesistenti), provare che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse 201007460_5def.doc 5 specie, è la stessa Agenzia a riconoscere in controricorso che o potesse sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente avesse, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o compiuto una frode. (Cass. 23560/12). Si è, poi, precisato che la relativa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, dimostrando che, al momento in cui pagò l'imposta che successivamente intese portare in detrazione, il contribuente disponeva di elementi tali da porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto (sent. ult. cit.; conf. Cass. 9108/12). Si è, inoltre, chiarito che, nell'ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l'IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell'assenza di buona fede del contribuente, poiché l'immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore fatturante - cessionario o committente) induce ragionevolmente a escluderne l'ignoranza incolpevole circa l'avvenuto versamento dell'IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all'obbligo del pagamento dell'imposta. In tal caso, é il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell'IVA versata (Cass. 6229/13). In particolare, il cessionario ha l'onere di dimostrare almeno, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all'attività professionale svolta in occasione dell'operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all'operazione. (Cass. 23074/12). 7.2. I superiori principi di diritto sono confermati dalla recentissima decisione della Corte di giustizia del 13 febbraio 2014 (C-18/13), che ricorda come la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dal g diritto dell'Unione. A tale riguardo, la Corte ribadisce che i singoli non possono 201007460_5def.doc 6 yiA avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell'Unione e che è, pertanto, è compito delle autorità e dei giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente (v. §26; conf. sentenza Bonik §3537). E aggiunge che, se tale situazione ricorre nel caso di un'evasione fiscale commessa dallo stesso soggetto passivo, ricorre pure quando un acquisto, partecipava ad un'operazione che si iscriveva in un'evasione dell'IVA. Egli dev'essere allora considerato partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall'utilizzo dei servizi nell'ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle (v.§27; conf. sentenza Bonik, §38-39). Pertanto il beneficio del diritto a detrazione può essere negato ad un soggetto passivo qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un'operazione che si iscriveva in un'evasione dell'IVA commessa dal prestatore del servizio o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni (v. §28; conf. sentenza Bonik, §40). 7.3. Inoltre, siccome il diniego del diritto a detrazione è un'eccezione all'applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, l'amministrazione tributaria competente deve dimostrare adeguatamente che gli elementi oggettivi a cui si riferisce il punto precedente della presente sentenza sono riuniti. I giudici nazionali sono in seguito tenuti a verificare se le autorità tributarie interessate abbiano dimostrato la sussistenza di tali elementi oggettivi (v. §29; conf. sentenza Bonik, §43-44). In conclusione, sulla scorta della decisione in esame, il diritto dell'Unione deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un soggetto passivo effettui la detrazione dell'IVA riportata nelle fatture emesse da un cedente o prestatore qualora risulti che il bene o il servizio è stato sì fornito, ma non da tale cedente o prestatore alla doppia condizione che tali fatti integrino un comportamento fraudolento e che sia stabilito, alla luce di elementi oggettivi forniti dalle autorità tributarie, che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a 201007460_5def.doc 7 soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio fondamento del diritto a detrazione s'iscriveva in un'evasione, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare (§32 e dispositivo §1). 7.4. Nella fattispecie la verifica è stata pienamente conforme ai dettami della giurisprudenza nazionale ed eurounitaria, avendo il giudice d'appello accertato, con motivazione insindacabile nel merito, quanto segue: zone in concessione, aveva commercializzato quantitativi di molluschi in misura superiore alla capacità di produzione dei propri lotti di allevamento lagunare; (b) che il quantitativo apparentemente raccolto superava del 40% il massimo ottenibile dallo sfruttamento degli specchi d'acqua secondo lo studio del Consorzio per l'ecologia e l'acquacoltura costiera di Padova; (c) che le fonti dichiarative non giustificavano l'enorme divario e 42.. confermavano, invece, che l'attività dei soci n prevalentemente quella della commercializzazione e non della raccolta di molluschi (d) che, accanto ad acquisti di molluschi regolarmente comprati sul mercato, ve ne erano altri apparentemente provenienti da fornitori titolari sì di partita IVAima privi di contabilità e capacità produttiva, tanto da potere essere considerati delle «teste di legno» destinate a coprire acquisti falsi o comunque merce proveniente da raccolta di frodo fatta «vongolari» ignoti; (e) che, in tale situazione (e a fronte del notorio fenomeno della raccolta in acque vietate con i qd. barchini), non poteva parlarsi di buona fede della parte contribuente che non era riuscita a dimostrare la fonte legittima degli acquisti e della fatturazione; (f) che, inoltre, numerose ed evidenti erano le discrasie tra documentazione sanitaria e di trasporto dei molluschi e le necessarie iscrizioni del registro dei centri di depurazione destinatari finali. Dunque, la prova a carico del fisco è stata fornita attraverso presunzioni che, fondate su riscontri obiettivi (a prescindere da situazioni di endemica illegalità ambientale), dimostrano come, al momento in cui pagò l'imposta che successivamente intese portare in detrazione, la società contribuente disponeva di elementi tali da porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto. 201007460_5def.doc 8 (a) che la soc. MINERVA, autorizzata a effettuare allevamento nelle sole 8. Le ragioni complessive di accoglimento del quarto e di rigetto del quinto motivo comportano l'assorbimento del sesto motivo, con il quale i ricorrenti censurano la sentenza d'appello, per violazione degli artt. 75 TUIR e 19 D.IVA, laddove non ha riconosciuto la deducibilità dei costi d'acquisto e la detrazione dell'imposta per merci effettivamente acquistate, in quanto derivanti da attività illecite o comunque non legittime. (settimo motivo erroneamente rubricato VI) e violazione e falsa applicazione dell'art.9, comma 14, lett. b) della legge 289/02 (ottavo motivo erroneamente rubricato VII) in relazione agli avvisi di accertamento IRPEF notificati a DONA' MARIO e SALMASO MARIA LUISA. Sostengono che il giudice d'appello erri nel negare l'efficacia del condono tombale sull'IRPEF perfezionatosi il 28 marzo 2003 perché preceduto dalla notificazione, in data 9 agosto 2002, del decreto che disponeva il giudizio immediato nei confronti di DONA' MARIO e SALMASO MARIA LUISA per soli reati tributari commessi riguardo alle imposte dovute dalla s.n.c. MINERVA di DONA' MARIO & C.. Affermano che, siccome gli atti d'esercizio dell'azione per i reati relativi all'evasione dell'IRPEF da parte dei due soci erano intervenuti in data 6 settembre 2004 e 7 luglio 2005, era pienamente valido ed efficace il condono tombale sull'IRPEF anteriormente perfezionatosi il 28 marzo 2003. Rilevano, in proposito, che l'atto di esercizio dell'azione penale del 9 agosto 2002 non aveva effetti preclusivi della sanatoria sull'IRPEF perché riguardava diverse imposte (IRAP e IVA) dovute da diversa contribuente (la s.n.c. MINERVA di DONA' MARIO & C.). 9.1. I motivi, da trattarsi congiuntamente, non sono fondati. Questa Corte - premesso che per legge il condono fiscale non è ammesso per i soggetti nei cui confronti è stata esercitata l'azione penale per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione - ha più volte ribadito il principio secondo cui la condizione ostativa al condono si applica, non solo se vi sia piena coincidenza tra il soggetto indagato/imputato ed il soggetto contribuente, che si realizza quando la medesima persona fisica rivesta entrambe tali posizioni, ma anche se tali soggetti non coincidono, come avviene se il reato tributario contestato al titolare persona fisica di un organo societario ridondi, per 201007460_5def.doc 9 9. Con gli ultimi due mezzi i ricorrenti denunciano vizio motivazionale gli effetti economici fiscali che dallo stesso derivano, a vantaggio dell'ente societario (dotato di autonoma personalità giuridica) cui l'organo appartiene (cfr. Cass. 19862/12, 21795/12, 8324/12, 25474/13, 8705/13; v. D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 septies, conv. in L. n. 212 del 2003). L'IRAP è imposta assimilabile all'ILOR, in quanto essa ha carattere reale, non è deducibile dalle imposte sui redditi ed è proporzionale, potendosi, 44 del D.Lgs. n. 446 del 1997. Ne consegue che, essendo l'IRAP imputata per trasparenza ai soci, ai sensi dell'art. 5 TUIR, sussiste il litisconsorzio necessario dei soci medesimi nel giudizio di accertamento dell'Irap dovuta dalla società. (S.U. n. 10145/12). 9.2. Nel caso in esame, l'Amministrazione, con separati avvisi di accertamento, ha rideterminato per l'anno 2000 il reddito societario, liquidando maggiori IRAP e IVA e imputando per trasparenza ai due soci un maggior reddito ai fini IRPEF. Aderendo ai principi affermati dalle sezioni unite di questa Corte (S.U. n. 10146/12), sussiste il litisconsorzio necessario tra soci e società relativamente alle imposte dirette, stante la sostanziale coincidenza degli elementi economici che costituiscono i presupposti rispettivamente dell'imposta accertata a carico della società (IRAP) e dell'imposta a carico dei soci (IRPEF). Dall'unitarietà della fattispecie fiscale, imputata per trasparenza ai soci ai sensi dell'art. 5 TUIR, e della correlata fattispecie litisconsortile deriva l'ulteriore corollario che, una volta esercitata all'azione penale nei confronti dei due soci perché ritenuti penalmente responsabili dell'evasione da parte della s.n.c. anche dell'IRAP, la sua automatica imputazione per trasparenza ai soci medesimi non può che avere effetti preclusivi della sanatoria sulla conseguente maggiore IRPEF, ricorrendo la sostanziale inscindibilità nella stessa persona delle due figure di contribuente ed imputato (cfr. in generale Cass. 8705/13). 5. Concludendo, accolto il quarto motivo di ricorso e rigettati gli altri, la sentenza d'appello deve essere cassata in parte qua con rinvio alla Commissione tributaria del Veneto che, in diversa composizione, deciderà attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati (§ 6.1, 6.2, 6.3) e regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. 201007460_5def.doc 10 altresì, trarre profili comuni alle due imposte dagli artt. 17, comma 1, e La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e, rigettati gli altri, cassa in relazione la sentenza d'appello e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria del Veneto, in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2014.

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